Risale a più di un anno fa ormai il divieto per diciotto aziende agricole bresciane di utilizzare il foraggio coltivato nei propri terreni per alimentare i bovini da latte, divieto per la presenza di pcb e diossine nel suolo che poi veniva trasferito nel sangue degli animali e da lì nel latte. A distanza di 15 mesi ora le aziende coinvolte (situate tra la zona sud della città e l’hinterland, San Zeno, Borgosatollo e Roncadelle) tornano a sperare in un aiuto per far fronte alle spese sostenute per l’alimentazione delle vacche che hanno mangiato foraggio e mangime acquistato da terzi, il che ha fatto tornare entro i limiti accettati dall’Unione Europea la quantità di pcb nel latte (soglia massima di 6 picogrammi per grammo di grasso equivalente, 2 picogrammi la quantità "raccomandabile"). Ora si è aperto un tavolo al quale si sono seduti la Provincia, il Comune di Brescia, la Coldiretti, la Cia e l’Upa. Gli enti coinvolti cercheranno di trovare la modalità migliore per risarcire gli agricoltori che certo non hanno colpe se i loro terreni sono malati; è possibile, se non probabile, che vengano utilizzati fondi europei. Più arduo risalire alle responsabilità dell’inquinamento: le grosse aziende metallurgiche certo non sarebbero esenti da colpe, come neppure l’inceneritore A2A, ma la questione è molto più complessa e stratificata nel tempo.
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