Ma se i soldi potessero parlarci, cosa direbbero? Goodbye, baby! | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA
“Quando si parla dei soldi degli altri,
allora si dice che non danno la felicità”
Gandolin
intervista di Irene Panighetti a Doriana Galderisi* – Settembre è tempo di ripresa: scuole, corsi sportivi, abbonamenti culturali e… anche la nostra rubrica!
Ma se la rubrica con la dottoressa Galderisi è gratuita, tutto il resto ci presenta il conto, e anche salato… Lo sanno bene coloro i quali si trovano, per esempio, a dover affrontare la spesa massiccia per il materiale scolastico e per i libri di testo, aumentati mediamente del 4,9%. Si stima che a studente l’esborso che ogni famiglia dovrà sostenere si aggirerà tra i 700 e i 1000 euro. E questa cifra riguarda solo la scuola… se poi ad essa si sommano corsi sportivi o culturali e le periodiche spese di bollette e servizi, si capisce facilmente perché far quadrare il bilancio familiare sia un’impresa impegnativa, anche dal punto di vista psicologico
Dottoressa Galderisi innanzi tutto bentrovata e grazie per questa nuova stagione insieme. Il tema di oggi è sicuramente trasversale e riguarda tutte e tutti e noi: i soldi e il nostro rapporto con essi. Per prima cosa le chiedo: le preoccupazioni legate al denaro afferiscono meramente all’aspetto della vita materiale o nascondono qualcosa di più profondo?
Bentrovata a lei e a chi ci segue!
Il tema di oggi è proprio calzante con il periodo che stiamo vivendo, quello, appunto, della ripartenza dopo la fine delle ferie, per le quali magari si erano messi da parte dei soldi che, una volta terminati gli svaghi, non ci sono più. È quindi un momento in cui è più facile essere “nervosi” quando si tratta di gestire le spese e le finanze in generale. In altre parole in questo periodo non è infrequente avere più preoccupazioni legate ai soldi.
E del resto la parola preoccupazione è già nella sua domanda ed è un termine molto appropriato in proposito dell’argomento che stiamo trattando. Infatti essere preoccupati per i soldi è una cosa, avere problemi di soldi è un’altra. E questo ce lo dice John Armstrong l’autore di un libro che ha avuto molto successo dal titolo: “I soldi non sono il problema”. È proprio Armstrong a distinguere tra i problemi di soldi che riguardano l’aspetto materiale, cioè la penuria di disponibilità economica, e le preoccupazioni sul danaro. Le preoccupazioni, come Armstrong ben sottolinea, infatti prescindono dalla quantità di denaro a disposizione. Quindi di per sé sono indipendenti dalla mancanza del denaro stesso.
Per capire questo, basti pesare a quante volte noi, nella vita di ogni giorno, ci stupiamo da un lato a volte anche della positività con cui affrontano la vita persone che noi capiamo effettivamente essere molto povere e dall’altro lato invece rimaniamo sbalorditi di fronte a persone che ci appaiono molto ricche ma che vediamo essere infelici e tristi, magari anche sempre preoccupate per i soldi stessi, come se il fatto di averne tanti non fosse un elemento di aiuto ad una vita emotiva serena e positiva. Ed ecco che allora intuiamo e sempre meglio comprendiamo che quando si tratta di questioni che fanno riferimento ai soldi entra in gioco un elemento molto potente cioè la nostra emotività, il nostro subconscio e quindi la relazione che noi instauriamo con il denaro.
In questo caso si tratta di questioni che fanno riferimento al rapporto che noi instauriamo con il denaro. La fisionomia di questo “legame” è frutto di una serie di fattori: dapprima le esperienze di vita, nostre e della nostra famiglia: il modo in cui i nostri genitori hanno vissuto, in quali condizioni socio-economiche sono cresciuti e ci hanno cresciuti, con quali modalità hanno gestito le finanze familiari… sono tutti elementi che modellano il nostro modo di relazionarci ai soldi.
Anche nella coppia le questioni economiche hanno una forte influenza… ma su questo aspetto non vado oltre perché rimando alla puntata de “La scienza di eccellenza” del prossimo 26 settembre dal titolo: “Ma chi è che paga? Il denaro in mezzo agli affari di cuore e di famiglia”. In diretta sui miei canali social dalle ore 12, la puntata vedrà la presenza di illustri esperti e studiosi della materia.
Oltre ai fattori intimi e familiari, tra noi e il denaro trovano spazio e quindi hanno un ruolo importante anche aspetti meno personali, come il tasso di inflazione, la disponibilità di spesa per i servizi ai cittadini da parte degli enti pubblici come i Comuni, o, addirittura il contesto culturale in cui si è nati. Per esempio una serie di studi hanno individuato come sia diverso il modo di rapportarsi ai soldi di una persona italiana da una statunitense. La prima in generale ha una base di partenza, come la casa di proprietà derivante dalla famiglia, mentre la seconda si ritrova indebitata già da giovane, visto l’elevato costo degli studi.
Per riassumere la risposta; quando parliamo di soldi parliamo di qualcosa di immateriale, di emotivo, di intimo, quindi di molto di più del concreto conto in banca o del portafogli in tasca.
In che modo il pensiero del denaro incide sulla formazione e sullo sviluppo del proprio carattere, sullo stato del proprio benessere personale e della vita di relazione?
Come introdotto nella risposta precedente, il denaro non è un semplice mezzo di scambio, bensì un qualcosa che incide inevitabilmente sui nostri processi cognitivi, sul nostro sistema di credenze, sulle nostre attitudini e sui nostri rapporti con gli altri.
Ci sono molti studi del settore della psicologia del denaro, di cui diversi si focalizzano sulla domanda se il denaro porti la felicità. A questo proposito mi viene in mente che ad una domanda come la sua, dottoressa Panighetti, Woody Allen risponderebbe con la sua famosa affermazione: “Il denaro non dà la felicità, ma procura una sensazione così simile alla felicità, che è necessario uno specialista molto avanzato per capirne la differenza.”
E specialisti molto avanzati ci sono e hanno osservato come, sebbene i soldi contino molto per il benessere dal punto di vista pratico, arrivare alla felicità è più una questione di personalità che di beni materiali o finanziari in proprio possesso: chi ha una personalità positiva nei confronti della vita tende maggiormente ad essere felice indipendentemente dal denaro. Con buona pace di Woody Allen che sosteneva: “Se la ricchezza non fa la felicità, figuriamoci la povertà”!
In proposito il professore di economia Richard Easterlin ha studiato il cosiddetto paradosso della felicità che prevede che al raggiungimento di un certo livello di ricchezza, la felicità diminuisca. Secondo Easterlin dunque all’aumentare del benessere economico la felicità nelle persone cresce fino a un certo punto, ma poi cala.
E questo perché? Studi successivi che hanno esplorato e approfondito il paradosso di Easterlin evidenziano come le questioni di soldi si colleghino sì con il benessere ma che riguardino soprattutto ciò che Maslow indicava come dei bisogni fondamentali, ovvero il soddisfacimento delle necessità fisiche, il bisogno di sicurezza… mentre altri bisogni che nella piramide di Maslow si collocano ad un livello più superiore come per esempio il bisogno di legami, di affetti, di sentirsi valorizzati e realizzati sono un qualcosa che non si può avere attraverso la ricchezza.
Una bella immagine che mi piace ricordare portata da Easterlin, Kahneman e altri studiosi che si sono occupati di approfondire il paradosso è l’effetto treadmill, cioè l’effetto “tappeto rullante” che era stato analizzato dagli studiosi Brickman e Campbell e che fa capire come in noi esseri umani vi sia continuamente la ricerca di qualcosa di più. In pratica si tratta un po’ di un’incapacità di “accontentarsi”: all’aumento della ricchezza si desidera qualcosa d’altro, di più grande, di più bello, e il risultato è che… chi troppo vuole nulla stringe. In altre parole si corre come su un tapis roulant rimanendo sullo stesso punto.
Che cosa perciò fanno i soldi? Gli studi dimostrano che, oltre a dare maggiore tranquillità sul piano materiale, la ricchezza porti ad avere maggiore autostima, ad un maggior senso di controllo della propria vita, ad un senso di autonomia maggiore.
Se il denaro è davvero così fonte di preoccupazione come mai sempre più persone lo sperperano al gioco?
Lo sperpero del denaro può portare ad una patologia vera e propria, quindi il tema è chiedersi perché si arriva alla patologia, quali dinamiche si attivano per portare una persona a quel punto.
La patologia del gioco d’azzardo rientra nella categoria di studi dei financial disorders, disturbi causati da una molteplicità di fattori, come gli psicologi Ted e Brad Klontz nel loro famoso testo “Mind over money” evidenziano. Gli autori individuano ben 12 problemi di rapporto con il denaro, che sfociano in delle vere e proprie patologie se vengono sottovalutati. In tal senso il gioco d’azzardo viene inserito nella categoria che gli autori indicano come disturbo da adorazione dei soldi, financial worshipping disorder.
Altri studi, tra cui per esempio quelli del noto studioso Giuseppe Imbucci, vedono il gioco d’azzardo come un lenitivo per i dolori della vita, un modo anche per evadere dai problemi. Un po’ come, diceva il dottor Imbucci, se prevalesse una sorta di pensiero magico, come quando si è piccoli e nel pensiero di un bambino “tutto è possibile per magia”. Secondo il professor Imbucci, nei momenti invece in cui c’è un benessere economico maggiore, il gioco d’azzardo avrebbe più una funzione di svago, di divertimento, di gioco vero e proprio
A far da contraltare a coloro che giocano d’azzardo o sperperano il denaro, ci sono invece i cosiddetti avari patologici, ovvero persone afflitte da una patologia denominata iperopia. Ma c’è dell’altro, perché tra chi sperpera, tra chi non spende nemmeno per le cose necessarie, vi è anche chi con il denaro ha un rapporto equilibrato e positivo e magari anche un atteggiamento estremamente onesto. A proposito di onestà di cui ci stupiamo sempre un po’ perché di solito prevalgono le notizie sulla disonestà, mi viene in mente il caso di fine di agosto, riguardante il gesto di una persona che, avendo trovato per terra in terra in via Corsica, a Brescia, un portafogli contenente circa 2mila euro, quindi una somma non indifferente, si è affrettata a consegnarlo alle Forze dell’ordine. Un gesto di onestà bellissimo e, ripeto, che oggi ci stupisce, perché diventato purtroppo un comportamento sempre meno frequente e forse anche troppo poco valorizzato.
In ogni caso questo episodio verificatosi a Brescia ci rimanda al “test mondiale dei portafogli”, pubblicato sulla rivista Science. che coinvolse 40 nazioni, 355 città, con il coinvolgimento delle università di Zurigo, dello Utah e del Michigan. Era un esperimento che andava ad analizzare i comportamenti delle persone rispetto a denaro smarrito e trovato casualmente. Il test era molto complesso ma una cosa interessante emersa era che l’Italia non si era collocata bene: era all’ultimo posto della tranche dei Paesi europei perché risultava dai dati che solo un italiano su due avrebbe restituito i soldi.
Il test ha messo in evidenza come in comportamenti di restituzione del denaro altrui trovato per caso, o dell’appropriazione di tali somme i fattori sono numerosi. In merito al denaro ritrovato non sempre siamo a conoscenza del fatto che la legge punisce chi non restituisce un portafogli smarrito e nemmeno sempre si sa che è prevista una ricompensa. In ogni caso il test, indipendentemente da ciò che legge prevede, sembra sottolineare come l’aspetto principale che spinge all’onestà non sia tanto l’esistenza di un eventuale risvolto giuridico quanto il costo morale del gesto disonesto.
In altre parole non sempre e non tutti, sono disposti a perdere l’immagine di sé come “brava persona”. La disonestà quindi ha un “costo psicologico” che non tutti sentono di voler pagare. In questo senso il famoso meccanismo ben studiato dalla finanza comportamentale che va sotto il nome “avversione alla perdita” riguarda una perdita non tanto materiale, cioè tenere per sé i soldi trovati per caso, quanto una perdita di immagine personale, una perdita morale.
Mi viene quasi da dire che dovremmo chiedere al famoso cantautore Venditti di cambiare alcune parti della sua canzone quando dice: “In questo mondo di ladri”… ecco, magari non tutti sono così!
Per oggi ci fermiamo qui ma per altri spunti e approfondimenti vi aspetto il 26 settembre in diretta streaming per la nuova puntata de “La scienza di eccellenza”.
Grazie per l’attenzione, ci ritroviamo tra 15 giorni.
(Rubrica a cura della dottoressa Doriana Galderisi, nella forma di dialoghi con la giornalista bresciana Irene Panighetti).
CHI E’ DORIANA GALDERISI?
Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.
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