Per comunicare con mio figlio ci vorrebbe un bravo interprete… | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA
intervista di Irene Panighetti a Doriana Galderisi* – Il fatto di cronaca avvenuto a Paderno Dugnano dove un minore ha sterminato la famiglia, pone interrogativi inquietanti a tutti, anche a Brescia. Perché anche il nostro territorio è attraversato da quello che, in forma estrema, ha manifestato l’autore dell’episodio di sangue: un profondo disagio giovanile. Le stime sono chiare: con impennata da dopo la pandemia, in Italia, e il nostro territorio non fa eccezione, un adolescente su due rischia di sviluppare depressione, ansia e disturbi analoghi. I sintomi sono allarmanti e vanno dapprima colti, poi affrontati e, se possibile, evitati con azioni di prevenzione.
Dottoressa Galderisi, come si inquadra il tema del disagio giovanile? Qual è la linea di confine tra aspetti “fisiologici” della crescita e quello che invece non è affatto nella norma?
Il disagio giovanile è un tema che, soprattutto dopo la pandemia, è molto all’ordine del giorno: se ne discute a scuola, in società, in ambiti medici e psicologici, oltre che sui media e sui social. La domanda che un po’ tutto il mondo adulto si pone, molto in sintesi, è la seguente: come stanno i nostri giovani? Quale è la loro temperatura psichica?
Quando poi avvengono episodi come quello di Paderno Dugnano si creano le condizioni per avanzare riflessioni diffuse e approfondite, senza dimenticare tuttavia che casi come quello sono l’espressione massima, estrema, definitiva, di un malessere, di un disagio, di un problema o di una serie di problemi.
Ma per fortuna non tutto il disagio giovanile ha epiloghi così cruenti!
Oggi è fondamentale riuscire a capire e a tracciare con nettezza la linea di demarcazione tra il disagio che esce dalla normale situazione di età evolutiva e quel disagio che invece è connaturato all’età adolescenziale, età per antonomasia di tempeste, cambiamenti, preparazione al raggiungimento di alcune mete e di alcuni aspetti che connoteranno poi tutta la vita successiva, dalla forma del corpo alla maturità affettiva.
L’adolescenza è un viaggio in un mare in burrasca, che tutti abbiamo vissuto, ciascuno a modo proprio, attraversando momenti di smarrimento, disorientamento, incomprensione, solitudine, anche di tensione e di rabbia. Tutto questo è però “normale”, rientra cioè nelle fasi dello sviluppo psico-fisico di ogni essere umano.
Tuttavia a volte, e da dopo la pandemia sempre più spesso e sempre più precocemente, questo disagio adolescenziale fisiologico deraglia in una caduta. E non sempre si riesce a vedere questa caduta in tempo per essere fermata prima che provochi danni irreparabili.
Questa difficoltà di intercettare un disagio fuori dalla norma può essere definita anche come la condizione di “Elephant in the room”, di un elefante nella stanza, ovvero di una verità che c’è, è enorme, molto appariscente e debordante eppure non viene colta, viene ignorata o, quand’anche vista, minimizzata.
Quali sono i campanelli d’allarme, le manifestazioni cui dobbiamo prestare attenzione per evitare un deragliamento?
Conditio sine qua non per avere le capacità di cogliere i segnali di allarme è quella di tenere sempre un atteggiamento di attenzione, di acuta attenzione e profonda osservazione, evitando tuttavia di risultare invasivi, quindi con tatto e discrezione. Una persona adulta deve prestare molta cura nella relazione di ascolto con il giovane, deve tenere aperti dei canali di dialogo e di confronto.
Questo è solitamente molto complesso perché spesso la persona giovane è nostra figlia e nostro figlio e quindi non è affatto facile mantenere uno sguardo lucido, scevro da influenze emotive da parte del genitore. Ma è una difficoltà che ogni madre, ogni padre, ogni educatore, ogni adulto in generale deve saper sostenere, altrimenti non sarà in grado di essere di aiuto al giovane in situazione di disagio.
Il punto di partenza quindi è l’osservazione dei cambiamenti che in ogni adolescente avvengono e, in quest’azione di monitoraggio, annotare alcuni aspetti che possono presentarsi e valutare se essi sono, o meno, sintomi di un disagio che sta uscendo dalla normale strada evolutiva.
E quali sono questi aspetti?
Dapprima la repentinità di questi cambiamenti: si tratta cioè di notare se fattori come cambi di umore, di alimentazione, di abitudini relazionali, calo del rendimento scolastico, chiusure e silenzi, sono improvvisi, violenti, inaspettati, o se, invece, frutto di un processo graduale, progressivo, in qualche modo prevedibile.
Poi è importante misurare la durata della nuova situazione creatasi nell’adolescente: il tempo per capire se c’è qualcosa che non va o se invece si tratta di una nuova condizione dovuta all’età, può oscillare dai 3 ai 6 mesi minimo. Questo è il tempo adatto da far trascorrere per valutare se è il caso di intervenire o no, cioè se è bene o meno andare più a fondo, rivolgendosi ad uno specialista per un consiglio o chiedendo aiuto ad un professionista del settore.
Il terzo elemento è la pervasività della situazione: si tratta cioè di osservare se la condizione in cui il giovane si trova si manifesta anche fuori dagli ambiti ristretti della famiglia, se si estende e coinvolge anche altri aspetti della vita dell’adolescente.
Una volta osservati questi fattori è essenziale saper cogliere le forme di richiesta di aiuto, richieste che spesso possono non essere esplicite, anzi, molto mascherate e molto difficili da decifrare. Infatti spesso i giovani riescono a mascherare molto bene il loro disagio, al punto che genitori o adulti non siano affatto in grado di averne coscienza e, quindi, non colgano minimamente il bisogno di aiuto che, seppur nascosto, c’è.
A questo si aggiunge anche il fatto che non di rado agli adulti mancano gli strumenti, le competenze emotivo-relazionali o affettive per capire la situazione che sta vivendo il loro figlio o la loro figlia. Per questo l’opera di formazione di genitori, insegnanti e adulti in generale è oggi sempre più necessaria per prevenire il deragliamento delle fisiologiche forme di disagio adolescenziale. E non a caso, anche nella nostra città, sono molti i progetti di informazione, sensibilizzazione e aiuto messi in campo da enti formativi come scuole e università, istituzioni sanitarie e associazioni del terzo settore.
Quindi ci sta dicendo che ci sono forme di disagio giovanile che talvolta possono non essere così facilmente inquadrate come tali?
Esattamente. Nello specifico ci sono espressioni di disagio che, lungi dall’essere stigmatizzate, sono invece socialmente accettate, viste cioè come manifestazioni positive. Quando una ragazza o un ragazzo sembrano avere una specie di ossessione per i bei voti, o per le vittorie nello sport, o per il raggiungimento di una forma di bellezza corporea, non si considera generalmente questo fatto come qualcosa di negativo. Anzi, vi è una sorta di approvazione sociale. Questo non aiuta di certo a vedere che, sotto una patina magari dorata, ci può essere un disagio.
In altre parole gli adulti non vedono nell’atteggiamento del giovane un problema, attuando una sorta di negazione della realtà. Questo, come dicevo alla fine della risposta precedente, è legato al fatto che non di rado gli adulti non hanno strumenti adatti per intercettare il problema.
Quando tuttavia un adulto riesce a cogliere le se non mute comunque fievoli richieste di attenzione e di soccorso sottese ad alcune espressioni giovanili, è importante riuscire a dare una risposta e, soprattutto a dare un nome al disagio, ad inquadrare la situazione al ragazzo o alla ragazza, in modo da mostrare chiaramente ai suoi occhi lo spessore della problematica. Mi capita spesso di vedere il sollievo che vivono i giovani quando si dice loro che tipo di condizione stanno attraversando, che nome ha e da che cosa derivi.
In altre parole, per essere d’aiuto ad un ragazzo o ad una ragazza che dicono vagamente essere depressi, occorre fornir loro la definizione di questa depressione e la sua causa. Si può trattare di una depressione subentrata in seguito ad una rottura, ad un abbandono, ad un trauma, e quindi essere di tipo esogeno-reattivo.
Ma può anche essere una depressione endogena, derivante da cause interiori molto intime e profonde. In questo caso è importante rivolgersi ai professionisti della mente e non vergognarsi a chiedere aiuto: imparare a conoscere un problema significa imparare a domarlo o anche solo ad accettarlo e a conviverci.
Quindi, cari adulti che state leggendo, ci salutiamo con un consiglio: occhi e orecchie aperte e soprattutto… no panic! E ricordatevi che “Raccontare a un adolescente i fatti della vita è come fare un bagno a un pesce”.
(Arnold Glasgow)
Grazie per l’attenzione, ci ritroviamo tra 15 giorni
(Rubrica a cura della dottoressa Doriana Galderisi, nella forma di dialoghi con la giornalista bresciana Irene Panighetti).
CHI E’ DORIANA GALDERISI?
Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.
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