Ma la Gioconda si rifà il trucco? Parte seconda… | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

16 giugno. Quasi esattamente un mese fa, lo scorso 18 maggio, è stata celebrata la Giornata Internazionale dei Musei promossa da ICOM (International council of museums), alla quale anche la Fondazione Brescia Musei ha aderito, proponendo una serie di proposte realizzate appositamente per l'occasione...

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

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Un museo dovrebbe essere un luogo
in cui perdiamo la testa.
(Marie-Alain Couturier)

intervista di Irene Panighetti a Doriana Galderisi* – 16 giugno. Quasi esattamente un mese fa, lo scorso 18 maggio, è stata celebrata la Giornata Internazionale dei Musei promossa da ICOM (International council of museums), alla quale anche la Fondazione Brescia Musei ha aderito, proponendo una serie di proposte realizzate appositamente per l’occasione. Il tema di quest’anno era: Musei per l’Educazione e la Ricerca, che sottolinea il ruolo cruciale delle istituzioni culturali nel fornire un’esperienza educativa olistica. Proprio di tal modo di esperire l’arte abbiamo iniziato a parlare nella scorsa rubrica, e oggi torniamo per approfondire alcuni concetti ivi enunciati.

Dottoressa Galderisi, nella scorsa rubrica abbiamo accennato al ruolo della psicologia dell’arte: ci spiega meglio di che cosa si tratta, quali gli ambiti di studio di questo settore della psicologia?

Buongiorno a lei e a chi ci legge… eh sì, come stiamo intuendo via via in questa rubrica la psicologia ha una dimensione trasversale, tocca le vite di tutte e tutti noi a 360 gradi!

La psicologia dell’arte in realtà non è un settore nuovo, poiché i primi studi specifici risalgono alla metà dell’Ottocento, ma è “solo” in questi ultimi anni che trova un suo preciso posto nella scienza.

La psicologia dell’arte va ad esplorare che cosa succede nella mente, quali sono i meccanismi e i processi mentali che si attivano, da un lato quando vi è la produzione di un’opera d’arte, cercando quindi di capire che cosa caratterizza l’atto creativo di un artista e, allo stesso tempo la sua unicità. Dall’altro lato la psicologia dell’arte si occupa di indagare che cosa succede nella mente di chi osserva, fruisce, beneficia di un’opera d’arte. In altre parole la psicologia dell’arte si occupa di tutto ciò che concerne la formazione del giudizio estetico, i meccanismi che generano le emozioni (come ad esempio piacere, apprezzamento, o, al contrario disagio, “fastidio) quando siamo di fronte ad un’opera d’arte.

La psicologia dell’arte quindi beneficia del contributo di vari filoni della psicologia: la psicologia cognitiva, le neuroscienze e la psicanalisi. Già uno dei padri della psicologia, Sigmund Freud, si occupò di psicologia dell’arte da un punto di vista, in questo caso psicanalitico, molto interessante.

Freud assimilava l’opera d’arte al sogno e quindi “leggeva” l’opera d’arte proprio come va “letto” il sogno, ovvero distinguendo tra ciò che si vede (cioè ciò che Freud definisce “contenuto manifesto) e ciò che non si vede ma anche si “avverte”, si deduce, si intuisce (definito da Freud “contenuto latente”, cioè la parte inconscia nell’opera d’arte). Anche Freud comunque di fronte alla potenza e alla bellezza dell’arte in qualche modo sentiva il limite della conoscenza, in quanto egli stesso sosteneva che la psicoanalisi dovesse arrivare fino ad un certo punto nell’interpretare l’arte, ma poi aveva l’obbligo di fermarsi, come se, andando oltre si varcasse un confine in verità invalicabile, come se venisse violata una sorta di zona d’ombra, che rappresenta il nucleo magico e l’incanto di un’opera d’arte.

Attualmente le neuroscienze dialogano fortemente con la psicologia dell’arte e con le correnti psicanalitiche, approfondendo gli studi sulla percezione, sul giudizio estetico e su tutti quei meccanismi che, a livello cerebrale, sono responsabili di esperienze come il piacere, la gratificazione, la ricompensa.

Sempre nella prima puntata abbiamo introdotto il concetto di benefici psico fisici derivanti dalle visite ai musei. Oggi le chiedo di approfondire questo concetto spiegandoci nel dettaglio se tali benefici hanno declinazioni anche in ambiti sanitario? E in contesti lavorativi, aziendali, produttivi?

Qui si apre un capitolo interessantissimo! Lo introduco ricordando un’osservazione della collezionista Rebecca Russo che mi colpì molto quando la lessi; questa donna, presidentessa della Fondazione Videoinsight (ente che promuove il benessere psicofisico della persona e della collettività attraverso l’arte contemporanea), disse: “L’arte è la mia missione di vita. Mi prendo cura dell’arte e l’arte si prende cura di me. Proteggo l’arte e l’arte mi protegge. Ogni opera d’arte è un petalo di me, mi racconta […] Accolgo dentro di me opere che celebrino la vita, rigenerino le energie, attivino la consapevolezza, promuovano l’evoluzione, narrino il presente e profetizzino il futuro”.

Queste parole sono di Rebecca Russo, che, oltre ad essere appassionata d’arte, è anche psicologa e psicoterapeuta; sono pensieri che si legano molto bene ad alcune riflessioni che avevamo trattato nella prima parte della nostra rubrica dedicata a tale tematica e pubblicata 15 giorni fa. Ovvero concetti legati a quanto l’arte ci faccia star bene, l’arte generi benessere, allevi tensioni, rigeneri.

Questa “funzione” dell’arte ha addirittura un riconoscimento istituzionale. Infatti in alcuni Paesi, come il Canada e il Regno Unito, è prevista “l’art on prescription”, cioè l’arte nella ricetta medica. Si tratta di una pratica che viene utilizzata in quelle situazioni in cui si riscontrano malessere psicologico, forme di lievi depressione o demenze, in quei contesti cioè in cui le persone sono sofferenti anche a causa della solitudine. Questo tipo di prescrizione, oltre che essere efficace per tutta questa gamma di problematiche, costituisce anche un risparmio per i piani di assistenza sanitari perché permette di ricorrere meno a farmaci, esami o ricoveri.

I benefici dell’arte si manifestano anche in ambito lavorativo, come confermano alcune prassi aziendali che stanno prendendo sempre più piede, come l’omaggio ai dipendenti di ingressi a musei o galleria d’arte in pausa pranzo prima di riprendere il lavoro. Questo perché viene ormai riconosciuto l’effetto benefico dell’arte, che allevia lo stress, mette di buon umore, predispone alla relazione positiva, aumentando così anche il benessere sul luogo di lavoro e, quindi, la produttività e il rendimento per l’azienda. Ricordiamo in proposito il concetto di  “Restorative Effect”  di Stephen e Rachel Kaplan illustrato nella prima puntata.

Inoltre l’arte come dono, come “gadget”, cioè nella forma di regalo di abbonamenti ad ingressi a musei o biglietti gratis, si ritrova sempre più spesso e in vari ambiti, così come non di rado troviamo una declinazione umanitaria dell’arte, attraverso eventi artistici promossi per sostenere associazioni, ong, onlus o cause benefiche. Per esempio lo scorso 25 maggio a Brescia è stata organizzata una sfilata di moda degli abiti del famoso stilista palestinese Jamal Taslaq al chiostro di San Salvatore al Museo Santa Giulia di Brescia. In quell’occasione tanti artisti bresciani, oltre che libanesi e palestinesi, hanno messo a disposizione le loro opere per l’evento organizzato con la finalità di raccogliere fondi in supporto di due ambulatori a Gaza gestiti direttamente da Palmed Italia Onlus. Tutto questo ribadisce quindi come l’arte possa diventare un volano che estende ad altri il benessere e la piacevolezza ricevuti per se stessi dalla bellezza delle opere.

Infine, focalizzando l’attenzione proprio alla persona attratta dall’arte: C’è una spiegazione psicologica a questa sorta di attrazione profonda, che, talvolta, spinge certi appassionati (e non di rado facoltosi) a diventare collezionisti?

Con questa domanda mi viene subito in mente il film: “La migliore offerta” di Giuseppe Tornatore, un film bellissimo che mostra la passione, vissuta in solitaria, del protagonista con le sue opere d’arte custodite gelosamente.

È un film che ci mostra la passione, in questo caso la passione dell’arte, che è fortemente connessa a emozioni intense, al piacere di vivere l’opera e, perché no, di poterne goderne ripetutamente. E quale modo lo consente maggiormente? Il fatto di possederla per poterla guardare in ogni momento.

C’è però una differenza tra chi è veramente un collezionista e chi invece è un mercante d’arte, cioè una persona che nell’arte trova un business. Infatti se per un mercante d’arte il prezzo dell’opera va valutato attentamente, per un collezionista Doc il costo raramente costituisce un limite, perché il valore di quell’opera sta in una serie di altri aspetti che riguardano il gusto, la scelta, la ricerca, quindi il resto, ciò che è denaro, passa quasi in secondo piano. Viene da sé che raramente collezionare opere d’arte è alla portata di tutti. Ecco quindi che ritorna l’importanza di aprire sempre più nei musei la possibilità per tutti di vivere l’arte e la bellezza che esprime in tutte le sue forme.

Collezionare infine ha un impatto anche sull’identità: infatti collezionare un’opera d’arte spesso porta a sviluppare un’idea di sé specifica: ci si crede competenti, in possesso di buon gusto e di alta classe nella scelta; tutto ciò fa sentire la persona eccezionale, molto brava, molto capace. In altre parole in questi casi collezionare opere d’arte è un aspetto che si lega molto all’autostima, al senso di sicurezza di valore personale.

Per concludere vorrei riallacciarmi al valore sociale e collettivo dell’arte, riprendendo delle affermazioni, ancora una volta, di Rebecca Russo, che afferma: “La mia collezione è privata, ma condivisa ampiamente con il pubblico”. E in questa condivisione di bellezza vi saluto aggiungendo un pizzico di magia, grazie alle parole del celebre filosofo e scrittore Walter Benjamin: “Basta osservare come un collezionista maneggia gli oggetti della sua vetrina. Non appena ne prende in mano uno, il suo sguardo ispirato sembra trapassare l’oggetto e perdersi nelle sue lontananze. Di qui il lato magico del collezionista”.

Ci rileggiamo tra 15 giorni

(Rubrica a cura della dottoressa Doriana Galderisi, nella forma di dialoghi con la giornalista bresciana Irene Panighetti).

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

LEGGI TUTTE LE PUNTATE DELLA RUBRICA DI DORIANA GALDERISI CLICCANDO SU QUESTO LINK


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