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Modello: #Chivapianovasanoevalontano… chiavi in mano? PARTE 1 | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

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Epigrammi geometrici:
“Uomo retto,
dopo una vita lineare,
morto in curva”.
(Marcello Marchesi)

intervista di Irene Panighetti a Doriana Galderisi* – Gli incidenti stradali sono la prima causa di morte tra i giovani tra i 18 e i 24 anni: quasi uno su 10 è correlato all’uso di alcool, il 3% a quello di droghe. Prevenire è l’obiettivo fondamentale, per il quale anche la nostra città è in campo con diverse iniziative soprattutto nelle scuole. Tra queste spicca il progetto, «Corse e sicurezza: dalle gara alla strada», realizzato coinvolgendo oltre 500 studenti delle scuole Leonardo, Calini, Baracca, Mantegna e Perlasca, proposto da Automobile Club di Brescia, in collaborazione con la Provincia di Brescia e l’Ufficio Scolastico Territoriale di Brescia e la Polizia di Stato.

Dottoressa Galderisi, questo è un tema molto delicato e che coinvolge davvero tutte e tutti noi, quindi vi dedicheremo due puntate della nostra rubrica. Oggi ci concentriamo dapprima su come sia possibile fare prevenzione in questo ambito da un punto di vista psicologico…

Buongiorno a lei e a chi ci legge… ebbene sì, il tema è delicato e con grande riscontro nel presente, nella vita quotidiana delle persone, sui media e nel dibattito pubblico.

Quando si pensa alle morti accidentali si è portati a mettere in evidenza soprattutto il numero delle vittime, tendendo a dimenticare che quando parliamo di vittime “non sono numeri, sono persone: è un fenomeno sociale di prima grandezza che tocca tutti: una famiglia su tre in Italia ha l’esperienza stradale e delle sue conseguenze”, come sottolineano Lewanski e Tintori (Rodolfo Lewanski, docente di Politiche dell’ambiente e Scienza dell’amministrazione nell’Università di Bologna; Chiara Tintori è dottoressa di ricerca in Scienze politica).

Lewanski e Tintori sottolineano come questo tema ci riguardi, come non possiamo non confrontarci con esso, perché davvero tutti noi potremmo essere coinvolti in un incidente, farne dunque esperienza, diretta o indiretta; cioè vale per ogni momento della nostra vita. Eppure la tendenza è quella di pensare che gli incidenti avvengano solo in alcune circostanze o situazioni particolari, ad esempio in seguito allo “sballo del sabato sera” o agli esodi per le vacanze o a momenti in cui c’è molto traffico. Senz’altro queste sono situazioni che facilitano l’avverarsi degli incidenti stradali. Ma la spiegazione di un fenomeno così importante e tragico non va cercata soltanto in questo tipo di cause.

I dati infatti ci dimostrano chiaramente che l’incidente è dietro l’angolo, che può accadere in circostanze del tutto imprevedibili e repentine. A chiunque. È quindi importante avere degli strumenti di riflessione che analizzino il problema anche da altri punti di vista, tra i quali quello psicologico ha un ruolo rilevante.

Partiamo dall’aspetto della prevenzione.

Nel discorso della prevenzione, entra in gioco un comparto di fattori che è legato al sistema di convinzioni, ai pregiudizi, ai cosiddetti miti da sfatare, a quelli che in psicologia sono definiti bias cognitivi, ovvero quelle spiegazioni fai-da-te, che non hanno nessuna base scientifica, che semplificano molto il ragionamento, ma che sono errate, come per esempio il bias dell’ottimismo che fa sì che si tenda a sovrastimare le nostre possibilità di successo. In questo comparto di meccanismi, di convinzioni, di idee self made, si situa una parte dell’insuccesso costante che continuiamo a ritrovare nella bassa efficacia di tanti programmi costruiti con le migliori intenzioni e volti a migliorare la sicurezza sulle strade e quindi a prevenire i disastri stradali.

Che cosa allora è importante andare a indagare? È importante esplorare che cosa succede nella nostra mente quando siamo esposti a messaggi di prevenzione stradale oppure quando siamo alla guida noi stessi.

Per quanto riguarda le campagne mediatiche, se ci soffermiamo ad analizzare i tanti messaggi pubblicitari da un’angolatura psicologica-socio-semiotica, cioè andando a comprendere come il messaggio viene costruito e trasmesso, ecco che allora ci accorgiamo che in tali comunicazioni si fa leva sull’orrore, l’errore, il difetto, l’incapacità.

Purtroppo questo tipo di comunicazione ha effetti molto limitati, se non altro perché il funzionamento umano tende, di per sé, ad allontanare, a spostare fuori da sé la responsabilità (è il cosiddetto fenomeno di “etero attribuzione”), la fallacia, l’errore o la colpa e quindi a ritenere che quelle tragedie viste sui media siano realtà che non coinvolgono la persona che osserva in quel momento, ma che siano invece fatalità che solo ad altri possono accadere, per sfortuna o mancanza di abilità.

A questo si aggiunge un altro fenomeno, che la letteratura scientifica definisce il “paradosso del giovane guidatore” (Annamaria Giannini e Fabio Lucidi): se un guidatore neopatentato o comunque non esperto, commette degli errori o imprudenze alla guida ma non sperimenta, per sua fortuna, le conseguenze di tali errori, ecco che nella mente del guidatore stesso avviene paradossalmente un rafforzamento dell’idea di essere immuni da qualsiasi rischio o pericolo, di essere invulnerabile.

La prevenzione dunque deve lavorare molto sul concetto di padronanza e competenza, ma anche sui concetti di pericolo e di rischio, che, come sottolineano i ricercatori, in particolare dell’università di Padova, come il professor Giuseppe Sartori, Ordinario di Neuropsicologia Forense e di Cognitive Neuroscience, sono aspetti diversi. Il pericolo si riferisce a qualcosa di “sicuro”, a qualcosa cioè in cui vi è una certezza dell’avvenimento negativo. Il rischio invece è solo una probabilità, più o meno elevata, ma sempre e solo una probabilità che accada qualcosa di “brutto”.

Per fare un esempio: guidare, in particolare in autostrada, è un’attività rischiosa, ma guidare contromano in autostrada configura una situazione di pericolo. La capacità di cogliere il pericolo è un presupposto indispensabile e questo presupposto in alcune fasce d’età è meno percepito. Ecco che il riferimento è ad un secondo comparto di fattori responsabili della maggior o minore efficacia della prevenzione, ovvero fattori riguardanti il funzionamento cerebrale umano, così come le neuroscienze ci evidenziano. Ed è proprio dalle neuroscienze che capiamo uno dei motivi per cui tra i 18 e 24 molti giovani perdono la vita sulle strade: le aree cerebrali della corteccia prefrontale legate al controllo, alla pianificazione, alle decisioni e anche alla percezione del rischio, non sono del tutto ancora mature. I giovani quindi, per un certo tempo nella loro crescita, faticano a cogliere il pericolo ma anche ad individuare le corrette probabilità di rischio. È importante perciò lavorare su questi aspetti con le ragazze e i ragazzi che prendono la patente,

Lei ci insegna che tra i tantissimi settori della psicologia vi è anche quello che si focalizza sul traffico e sulla strada. Che ruolo ha tale settore della psicologia nel supporto a chi ha vissuto sulla propria pelle incidenti stradali gravi?

La domanda porta l’attenzione su un settore della psicologia che, nel nostro Paese, è ancora poco conosciuto, ovvero la psicologia del traffico, che è una branca della psicologia che si occupa del fattore umano alla guida, cioè che studia il comportamento alla guida e tutto ciò che ne consegue.  Inoltre la psicologia del traffico si concentra anche sulla relazione con i problemi legati alla mobilità, ai fattori individuali e di comunità nel movimento di veicoli e di persone.

Ecco dunque che lo psicologo del traffico, oltre a collaborare con le autoscuole, a lavorare alla costruzione delle campagne di prevenzione, a progettare dispositivi ergonomici per una guida sicura e programmi terapeutici riabilitativi per ridurre il rischio di infrazioni o trasgressioni ripetute, a formare gli operatori… oltre a tutto ciò lo psicologo del traffico è chiamato anche ad intervenire nelle dinamiche di trauma che un incidente stradale provoca nelle vittime e nei familiari, sia quando vi sono perdite subite, quindi persone che muoiono, sia  quando si determinano delle lesioni.

In questo l’efficacia del supporto della psicologia è in campo a tutto tondo per affrontare le due fasi che entrano in gioco nell’occorrenza di un incidente stradale: il momento vero e proprio dell’incidente e la fase post crash, fase nella quale, oltre allo shock si presenta la condizione di trauma psicologico, sia in chi è sopravvissuto sia in chi ha perduto il proprio caro.

Il trauma è una frantumazione inaspettata della sicurezza, dell’integrità, della sensazione di padronanza della propria vita. Un incidente stradale irrompe in maniera travolgente nell’esistenza di una persona. Le tecniche usate dagli psicologi in questo caso sono molto specifiche e si diversificano anche a seconda della fase dell’evento: dal comunicare la cattiva notizia all’elaborazione del lutto o all’accompagnare chi ha subito una lesione permanente nella capacità di rappresentare a sé stesso una nuova modalità del vivere. Le tecniche principalmente utilizzate provengono dalle teorie cognitivo-comportamentali e una delle metodologie che ha risultati molti efficaci negli interventi di emergenze è EMDR (eye movement desensitization and reprocessing cioè desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), una tecnica specifica nella desensibilizzazione da eventi traumatici.

E come può la psicologia aiutare familiari e/o affetti a superare un lutto provocato da un incidente stradale?

La psicologia nei contesti degli incidenti stradali ha un ruolo decisivo in quanto è di aiuto a tutta la rete di relazioni che attornia la vittima di un incidente. In più zone d’Italia e da tempo sono attivi programmi di sostegno integrato ai familiari alle vittime, che prevedono un numero stabilito di incontri con lo psicologo per chi è coinvolto in esperienze traumatiche di questo tipo.

Se pensiamo ai rilievi di Fevr, cioè Federazione europea delle vittime della strada, da cui si evidenzia che il 90% delle famiglie di persone che perdono la vita in un incidente stradale e l’85% delle famiglie di persone che rimangono lese, hanno un grandissimo decadimento della qualità della vita, allora ci rendiamo ancora più conto di quanto l’intervento psicologico sia determinante.

Tanto più che, sempre dai dati di Fevr, capiamo che negli incidenti stradali le vittime non sono solo le persone coinvolte direttamente, ma anche tutti coloro i quali ruotano attorno alla vittima stessa, defunta o lesa. E proprio queste persone sono quelle che necessitano di aiuto, anche nel riorganizzare una vita in cui il dramma subito ha sconvolto i piani, oltre che ad avere una guida nei percorsi sanitari necessari.

Un incidente stradale infatti ha una ricaduta molto importante nelle esistenze delle singole persone, in quanto scardina routine, frantuma progetti e crea spesso un senso impotenza e sentimenti depressivi oltre, non di rado, a gravi problemi economici e lavorativi. L’aiuto quindi è sempre da rivolgere anche a chi ha a che fare con l’incidentato, perché l’evento dell’incidente non dura un attimo, bensì dura tutta una vita, dura in tutte le vite di coloro i quali sono a contatto con chi ha avuto un incidente. Si tratta di lavorare sulla comprensione del trauma, sul fornire, anche ai familiari, una serie di strumenti cognitivi e emotivi per supportare il proprio caro, supportare gli altri familiari coinvolti, ma anche per reggere la propria vita.

Infine non di rado in chi ha perso un proprio caro in un incidente, o in chi deve accudire la vittima di un incidente sulla strada vi possono essere spesso dei sentimenti che vanno sotto il nome di “sindrome del sopravvissuto”. Si tratta della comparsa di un profondo e talvolta invalidante senso di colpa in chi, in una situazione tragica come appunto un incidente stradale, si salva. È come se la persona avvertisse un privilegio immeritato rispetto invece a coloro che hanno perso la vita nell’incidente o che comunque sono stati irrimediabilmente lesi. Il senso di colpa riguarda soprattutto il senso di responsabilità, di non aver saputo proteggere quella persona, o comunque, il non essere riusciti in qualche modo a prevenire quella tragedia.

Tale sindrome porta con sé una serie di problemi psicologici, che vanno dal senso di colpa ad aspetti depressivi, alla sensazione di inutilità, di impossibilità a reggere il contesto.

Dottoressa Galderisi, grazie del suo contributo; ci salutiamo con pensiero molto calzante di  Robbins B. Stoeckel: “Le automobili non sono feroci… è l’uomo che è da temere”.

Sempre su questo tema torneremo tra 15 giorni con un ulteriore focus su questo tema così importante

Nel ringraziarvi per l’attenzione rimando al prossimo appuntamento tra 15 giorni

(Rubrica a cura della dottoressa Doriana Galderisi, nella forma di dialoghi con la giornalista bresciana Irene Panighetti).

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

LEGGI TUTTE LE PUNTATE DELLA RUBRICA DI DORIANA GALDERISI CLICCANDO SU QUESTO LINK


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Ultimo aggiornamento il 22 Maggio 2024 17:21
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Published by
Redazione BsNews.it

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