Anno nuovo, vita nuova: sì, ma come si fa? | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA
(Anno nuovo rubrica nuova! Ricomincia la rubrica psicologica per Brescia, dal titolo “Brescia vista dalla psicologa”, a cura della dottoressa Doriana Galderisi, nella nuova forma di dialoghi con la giornalista bresciana Irene Panighetti).
di Doriana Galderisi* – Si è chiuso un anno eccezionale per la nostra città, che, insieme a Bergamo, è stata Capitale della Cultura Italiana. La sfida ora è capire se e come verranno mantenuti i propositi fatti lo scorso gennaio, all’inizio dell’avventura: come far sì che non finisca tutto alla fine del 2023? Come agire affinché l’anno di Capitale sia stato solo l’inizio di un lungo percorso virtuoso?
Interrogativi e buoni propositi che non riguardano esclusivamente questa vicenda, anzi! Per questo li prendiamo come spunti per introdurre il tema di questa prima puntata del nuovo look della rubrica.
Dottoressa Galderisi, con il nuovo anno in tanti si ripromettono di cambiare, in particolare di lasciarsi alle spalle ciò che non serve più, ciò che è inutile, sia a livello di oggetti sia a livello di relazioni, sia a livello di pensieri. Ma è possibile davvero tagliare i rami secchi? E se sì, come?
Prima di rispondere c’è bisogno di una premessa: i buoni propositi vanno sempre salutati con piacere!
Infatti solo porsi degli obiettivi di evoluzione e miglioramento significa aver adottato un’ottica prospettica, ovvero avere uno sguardo in avanti, verso la crescita e l’inizio di un cammino per una migliore qualità della nostra vita.
I buoni propositi pertanto non sono un problema, il problema vero è trovar loro il “posto”, trovar loro una collocazione, un loro spazio, nel nostro mind set, cioè nel nostro assetto mentale.
Sembra una cosa semplice, in verità non lo è affatto perché riservare un luogo adatto ai buoni propositi e ai desideri di cambiamento può risultare difficile a causa del fatto che nella nostra mente, nelle nostre relazioni, ma anche nel nostro ambiente di vita come può essere nelle nostre case, non c’è uno “slargo” necessario per ospitare qualcosa di diverso.
Fare spazio, svuotare, preparare il terreno per far germinare cose nuove è un’azione che va sotto il nome di decluttering e che si declina in tre modi: spaziale, mentale e relazionale.
Il decluttering è qualcosa di più profondo del semplice mettere a posto o buttare via!
Il decluttering è una selezione di ciò che consapevolmente si ritiene abbia fatto il suo tempo, che sottende anche una certa forma di riconoscenza verso quel qualcosa che è stato importante nella nostra vita, che ci ha rallegrato e che ci ha fatto vivere delle emozioni ma che ora… non serve più.
Quindi dottoressa Galderisi tagliare i rami secchi è possibile, ma oltre a ciò che ci ha appena detto, c’è qualche altro motivo che ci può far capire perché è così difficile lasciar andare qualcosa che ci pesa, o che non ci serve più, che ha fatto il suo tempo? Perché è così complesso fare spazio tra oggetti e ricordi?
Lasciar andare è sempre complicato, anche perché, senza rendercene conto, oltre a ciò che viviamo giorno per giorno, noi portiamo comunque con noi anche ciò che abbiamo raccolto nei periodi precedenti della nostra esistenza. Ciascuno di noi infatti riempie la propria vita di oggetti, di emozioni, di situazioni e di persone e da tutto questo non ci si riesce a distaccare facilmente, nemmeno quando qualcosa o qualcuno diventa ingombrante. I motivi che stanno alla base di questa difficoltà di “svuotamento” sono molteplici ma tre sono quelli più importanti.
Il primo fattore da considerare riguarda una sorta di cecità o sordità psichica, nel senso che non sempre si è davvero così consapevoli, cioè si sente o si vede davvero l’inutilità di una cosa o di una situazione, e non sempre si è coscienti completamente del bisogno di “andare oltre”.
In questa dinamica entra in gioco una specie di idealizzazione del passato. Lo spiega bene la teoria della prospettiva temporale elaborata dallo psicologo statunitense Philip George Zimbardo, che ci fa capire in che modo ci poniamo rispetto al passato, al presente e al futuro: chi ha un orientamento rivolto al passato tende ad essere nostalgico e a ritenere che non ci sarà nulla di meglio di ciò che è stato.
Un secondo fattore che ci impedisce di “buttare via” è la convinzione secondo cui quella cosa potrà ancora servirci.
In questo caso è come se fossimo scollegati dalla realtà e non vedessimo effettivamente la situazione del presente per quello che è. Facciamo un esempio? Un esempio classico è quello di un abito che non ci va più bene ma che teniamo lo stesso nell’armadio e lo facciamo pensando che in un futuro potremmo di nuovo essere della taglia di quel vestito, come se non considerassimo che nel tempo il nostro corpo cambierà comunque, indipendentemente dalla taglia, e quell’abito potrebbe non vestire più così bene la nostra figura o addirittura non rispondere più ai nostri gusti, o, perchè no? alla nostra nuova età.
Il terzo fattore che entra in gioca per ostacolare il decluttering è il senso di colpa: spesso ci dispiace lasciare qualcosa che abbiamo tanto desiderato, “andare oltre” una situazione per la quale si è lottato tanto, per la quale si sono impiegate tante energie, magari si è speso anche tanto denaro, o comunque c’è stato un forte investimento di tempo e di emozioni. Viene in mente l’esempio della famosa sindrome del Concorde: con questa espressione si intende la difficoltà di dismettere un qualcosa che ha richiesto tante energie, tanti sforzi, perché non più adatto e non rispondente alle aspettative e alle necessità del momento. In altre parole a volte facciamo fatica perché ci sembra di sprecare quello per cui abbiamo lavorato molto. Va detto che il senso di colpa, nella società attuale, è più ridimensionato rispetto al passato: viviamo infatti in una società del cosiddetto usa e getta e quindi questo terzo fattore non sempre è così presente e non crea un blocco così massiccio come invece i due fattori sopra esposti.
E se questo spazio alla fine si riesce a farlo, con quali criteri, scegliere cosa tagliare?
Come detto il decluttering è spaziale, mentale e relazionale, quindi ci sono consigli differenziati.
Per quel che riguarda il primo, una cosa delle cose utili da fare è non pretendere da noi troppo, non voler a tutti costi selezionare subito. In altre parole non bisogna avere fretta, anche per non pentirsi dopo: è opportuno creare una specie di area di sosta. Il consiglio classico è quello di preventivare dei contenitori, uno per le cose che si è certi voler tenere, uno per quelle che si è certi di voler buttare e un altro per quelle per cui siamo in dubbio. Inoltre è meglio non fare queste scelte da soli, bensì con qualcuno di cui ci si fida, a cui magari si vuole bene, e, perché no?, qualcuno con il quale si crea un’atmosfera di allegria; perché il rischio che si corre nel procedere in solitudine in questa azione di “smaltimento del vintage” è quello da un lato di essere trascinati dal vortice delle emozioni che compaiono in abbinamento ai ricordi, e, dall’altro, di impiegare così tanto tempo da far subentrare stanchezza oltre che diventare dispersivo. Tra l’altro lasciar andare degli oggetti superflui per noi potrebbe anche essere un gesto di altruismo, di beneficienza, poiché ciò che a noi non serve più può invece essere utile ad altre persone, che magari non hanno mezzi a sufficienza per vivere.
Il decluttering mentale prevede che ci si chieda quante volte al giorno si fanno pensieri negativi, ci si dica quali sono e che, quindi, anche per questi pensieri, si predisponga una sorta di uscita secondaria: non li si scaccia bensì, in una sorta di self talk, si chiede loro di uscire ogni tanto dalla mente, fare un giretto e, caso mai, rientrare più tardi. La cosa sorprendente è che ci si accorgerà che sarà piano piano più il tempo che staranno fuori dal nostro circuito mentale rispetto a quello invece nel quale invadono la nostra mente. Sarà una sorpresa piacevole.
Infine il terzo tipo di decluttering, quello relazionale: per questo il consiglio è di evitare il ghosting, lo scomparire tutto d’un tratto; è sufficiente dire di no, qualche volta, a degli inviti e, se tutto ciò non è possibile, cercare di creare delle vie di fuga, per esempio preventivare un tempo limitato e contenuto per un incontro poco desiderato. Questo modo di porci produce una sorta di selezione naturale nel tempo.
Dottoressa Galderisi, grazie per il suo contributo, ci ritroviamo la prossima settimana.
Grazie a lei dottoressa Panighetti, mi piace concludere con una frase di Steve Jobs che sintetizza quanto ci siamo appena dette: “Negli ultimi 33 anni, mi sono guardato allo specchio ogni mattina e mi sono chiesto: Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare ciò che sto per fare oggi?. E ogni volta che la risposta è stata: No per troppi giorni di fila, ho capito che bisognava cambiare qualcosa”.
Alla prossima e ancora buon anno nuovo.
CHI E’ DORIANA GALDERISI?
Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.
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