di Andrea Tortelli | Le elezioni politiche del 25 settembre hanno parlato molto chiaro. Ha vinto soltanto un partito, quello di Giorgia Meloni, che in pochi anni – capitalizzando il vento internazionale e l’opposizione a Draghi – ha sestuplicato i voti. Ora, però, la leader di Fratelli d’Italia è attesa alla prova dei fatti, con una spada di Damocle ben affilata sulla testa: nel Paese degli “elettori bambini” i leader di maggiore successo sono durati quasi sempre meno di una legislatura, cadendo rovinosamente dopo i risultati più eclatanti.
Come andrà a finire stavolta è presto per dirlo. Ma in questo quadro mi pare evidente che tutti gli altri – a destra come a sinistra – hanno perso. O comunque hanno buone ragioni per non festeggiare.
Nel centrodestra Forza Italia ha tenuto, e – anche se i fasti del passato sono lontanissimi – con i seggi derivanti dal suo 8 per cento sarà ancora determinante in Parlamento. Ma Berlusconi non è un eterno, se non altro per questioni anagrafiche, e il dopo è ancora lontanissimo da venire (e anche solo dall’essere immaginato). Non festeggia la Lega, che – pagando soprattutto la scelta di governo e l’appoggio a Draghi – ha perso per strada la leadership dell’alleanza e milioni di voti, oltre che il progetto di un partito nazionale (il Sud è tornato a guardare altrove). Non è chiaro se nei prossimi mesi perderà anche il segretario, Matteo Salvini, ma di certo l’esperienza di governo targato Meloni – con queste premesse, a cui si sommano l’Europa e i problemi delle famiglie, in un Paese in cui i governi durano mediamente meno di due anni – non si annuncia scontata nel medio e lungo periodo.
Sul fronte opposto il Pd è ai suoi minimi storici, senza un segretario (dopo le dimissioni di Enrico Letta), senza un leader potenziale riconosciuto, senza alleati di peso in grado di portare la somma della coalizione oltre gli avversari e, dunque, senza una prospettiva. Con il rischio concreto di non confermare a Brescia la Provincia (ipotesi oggi data per probabile) e nemmeno il baluardo della Loggia (anche se i movimenti di voto su base locale indicano che il centrosinistra tiene ancora).
Non possono festeggiare, però, nemmeno Calenda e Renzi: non sono stati decisivi, non riporteranno al governo Draghi (che già non era convinto e che lo è ancora meno oggi, dopo che gli elettori hanno premiato chi più lo ha criticato) e non saranno determinanti in Parlamento, salvo crisi di governo e terremoti politici. Quanto ai cinquestelle, stanno festeggiando di non essere morti politicamente: essere vivi, viste le premesse, è già un successo, ma hanno perso la metà dei voti e dal Nord sono scomparsi.
In questo quadro di incertezza si apre ora una nuova stagione, in cui potrebbero arrivare forti stravolgimenti nell’attuale assetto politico. La speranza – al di la degli orientamenti politici personali di chi scrive e di chi legge – è che la nuova fase del governo dia stabilità e certezze al Paese, perché mentre il mare è in tempesta pensare all’orchestra che suona sul ponte o litigare sul menù della cena non aiuta a impedire che la nave dell’Italia finisca a picco.
* Direttore BsNews.it
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