🔻 Il Garda, dal mito agli ideali perduti🔺DAL GRUPPO G9
di Pino Mongiello – Con che ardente desiderio vorrei che i miei amici si trovassero qui con me, per gioire della vista che mi sta innanzi! (…) La mia gita sul lago si compì felicemente con grande esultanza del mio spirito per lo splendore dello specchio d’acqua e della riva bresciana, a ponente dove il suolo scende più dolcemente al lago, si stendono in fila per circa un’ora e mezzo i paesi di Gargnano, Bogliaco, Cecina, Toscolano, Maderno, Salò, sdraiati tutti sulla riva. (Goethe, Viaggio in Italia, (1786-88, pubblicato nel 1816-17).
Se il Garda è ancor oggi meta privilegiata del turista tedesco lo si deve in parte a questa tradizione secolare che ne ha fatto il luogo del mito. Il Gran Tour, con i suoi canoni, dalla seconda metà del Settecento ha tracciato un itinerario così che le acque del bacino e la ricca vegetazione mediterranea delle riviere apparissero l’approdo nel territorio del sole e del sogno.
Ben prima di Goethe tuttavia la cultura del lago non mancava. Nel 1564 nasceva a Salò l’Accademia degli Unanimi, una fra le prime in Italia (la Crusca è del 1582). Oggi l’Accademia, diventata Ateneo per volontà di Napoleone, pubblica il corposo volume degli Atti dei convegni (p.500) svoltisi nel 2014/15, a 450 anni dalla nascita. Più studiosi hanno indagato il lago di Garda: le antiche epigrafi, le carte d’archivio di Cinque e Seicento sulla Magnifica Patria, la Grande guerra, le parlate dialettali ancora vive sulle opposte sponde, le pagine di scrittori italiani e tedeschi degli ultimi secoli.
Lasciamo ai lettori più curiosi l’approccio analitico all’opera reperibile presso l’Ateneo salodiano. Qui offriamo soltanto una rapida sintesi su gli scrittori e il lago, saggio che chiude il volume.
Il Garda, che era rivissuto nelle pagine di Lucia Mor, docente di Letteratura tedesca presso l’Università Cattolica, in Der Bote vom Gardasee, Ateneo di Salò, 2012, lo riscopriamo in un arco maggiore di secoli con la studiosa tedesca Nìkola Roẞbach, proposta all’Ateneo dalla stessa Mor, nell’opera Il lago si innalzava con le sue onde blu, blu, oh così deliziosamente blu.
Quanto durerà l’idea che il Garda, sulla scia di Goethe, sia un lago che rimanda al sogno? Bisogna leggere il bel libro della Roẞbach, da cui attingo per queste note, sul rapporto tra scrittori tedeschi degli ultimi tre secoli e il Benaco per prendere atto che oggi è un’altra storia.
Lo aveva già compreso Heinrich Laube nelle sue Novelle di viaggio (1834-37) mentre s’interrogava se il Garda fosse un’entità maschile o femminile, propendendo per la seconda ipotesi e diceva, immaginando di vederla incedere verso di lui, di sentire dentro di sé “il cuore del timido, biondo uomo germanico disceso dalli Alpi” mentre guarda “la prima fanciulla italica con sguardo mediterraneo e intenso”. Insomma, nella femminilità del Garda c’è subito una bellezza seducente e voluttuosa che sollecita i sensi più che far emergere i ricordi di una idealizzata classicità.
A cavallo tra Otto e Novecento il Garda viene scoperto da turisti più “moderni”. La Riviera diventa luogo di vacanza, di cura, di bagni, di benessere. Grandi scrittori vi soggiornano e trovano il tempo e le condizioni favorevoli, per scrivere appunti, abbozzare capitoli di romanzi, mettere su carta qualche poesia. Alcuni bellissimi versi di Reiner Maria Rilke del 1897 scoprono la necessità e la difficoltà, al tempo stesso, di trovare immagini linguistiche nuove, non consumate:
Per dipingere i vicoli incavati
con i bambini bruni mendicanti
non riesco a trovare il tono vero
e nemmeno a comporre un canto breve
capace di librarsi alto nel cielo.
Nel secolo ventesimo le poesie segnano una svolta nel tratteggiare il paesaggio e nel raffigurare la vita dei borghi. Oskar Loerke poeta della natura, ad esempio, non posa più lo sguardo su cipressi, limoni, ulivi ma presenta situazioni e motivi inconsueti, come nella poesia Rassegnazione dove a prevalere è una sorta di aria stagnante, di opprimente calura:
Nell’ora in cui, di sopravento e sottovento
si raccoglie il fuoco gocciolante dai cieli
si avvicina del Lago di Garda
l’ampia nave silenziosa con i montoni.
Sei triste, sei come strangolato dal suono
nel vento contrario la pelle rabbrividisce,
la nostra e quella del gregge che caldo ci opprime.
Nel ‘900 è sempre più facile imbattersi in temi che aprono alla negatività, all’inquietudine, alla fragilità degli ideali. Si riduce lo spazio dedicato al Garda quale luogo idilliaco dell’amore. Ne è esempio il racconto di Bodo Kirchhoff, Il buco (1996). Lo scrittore di Francoforte, che ha anche una casa sul Garda, ci porta la “storia vera” di tre amici in barca, legati tra loro da relazioni artistiche ed erotiche, che si consumano nella banalità. Il lago diviene simbolo della patologia del vivere contemporaneo.
Del resto, lo stesso Kafka, in una lettera scritta nel 1913 da Riva del Garda ma ritrovata solo nel 2017 nell’Archivio della letteratura tedesca a Marbach, rivolgendosi all’amico Felix Weltsch, aveva confessato con struggente sincerità: “ No, Felix, non andrà bene; niente andrà bene con me. Qualche volta credo che non sono più sulla Terra ma che mi aggiro da qualche parte nel Limbo”.
Il mito goethiano si distanzia sempre più; il sogno idilliaco sbiadisce e, arrivando ai nostri giorni, lascia il posto alla povera, frantumata cronaca quotidiana.
Il Garda non è più salvifico ma cede al disincanto degli ideali perduti.
L’Ateneo di Salò nel suo programma celebrativo aveva inserito un intero convegno su “Il Garda degli scrittori”, affidandone il coordinamento a Pietro Gibellini, grazie al quale il tema si ampliò fino a toccare una serie di altri aspetti puntualmente riproposti negli Atti. Roberto Fedi, dell’Università di Perugia, divaga attraverso il tempo e i generi – letteratura, cinema, musica – presentando l’icona lacustre come un grande archetipo, che troviamo condensato nell’emblematico titolo Laghi di lacrime. Raffaella Bertazzoli (Università di Verona) vede il Benaco attraverso lo sguardo degli scrittori stranieri; Alessandra Giappi ha voluto sondare l’approccio laghista dei grandi lirici del ‘900, particolarmente dei lombardi: Sergio Solmi, Vittorio Sereni, Lento Goffi, Antonia Pozzi.
Di Vittorio Sereni, luinese ma molto legato per ragioni affettive a Desenzano, riporto una breve poesia del 1947-’48 intitolata Un ritorno, contenuta nella raccolta del ’65 Gli strumenti umani:
Sul lago le vele facevano un bianco e compatto poema
Ma pari più non gli era il mio respiro
E non era più un lago ma un attonito
Specchio di me una lacuna del cuore.
Infine Franca Grisoni ha offerto una sua immagine del Garda adombrata nei propri versi nel natio dialetto sirmionese.
L’Ateneo, che ora pubblica gli Atti, a fine Cinquecento fu particolarmente attivo. Due opere dell’epoca sono state ripubblicate nel contesto delle sue celebrazioni dei 450 anni di vita, con commento e analisi critica del prof. Riccardo Sessa: Bongianni Gratarolo, Le tragedie: Altea, Astianatte, Polissena, e Milio Voltolina, De hortorum cultura e altri scritti, liberedizioni.
ARTICOLO A CURA DEL GRUPPO G9
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