📕 La vecchia zia | 📮 IL RACCONTO DELLA SETTIMANA/14
LA VECCHIA ZIA – racconto di Umberto Tanghetti
La vecchia zia la conosco ormai da un po’.
Non è mia zia, è la zia di tutti quelli che le vanno a genio e di tutti quelli che aiuta.
Sembra burbera, ma non lo è: sa il fatto suo e quando parla di quello che sa, sbuffa, alza la voce, le si gonfia la giugulare.
È abituata a non essere ascoltata, non tutti la capiscono, è una Cassandra nel suo ambiente. Dice cose che lasciano perplessi soprattutto quelli che devono decidere e così, quello che lei dice, spesso non si fa.
Ha lavorato per tanti anni in un ospedale enorme, (prima di andare in pensione neanche il mobilio aveva più anni di servizio!) e per interi lustri si è occupata di dimissioni pediatriche protette.
Argomento ostico da trattare costringendo chi scrive a barcamenarsi tra il serio e il faceto, usando quest’ultimo per rendere più digeribile il primo.
L’argomento è, però, solo serio, direi vitale.
La stupida vecchia zia che parla, ma che non è ascoltata, si è occupata per anni di seguire nelle loro esigenze quei bambini affetti da malattie inguaribili, ma con aspettativa di vita anche lunga che, una volta dimessi dall’ospedale, spariscono dai radar sia per la struttura ospedaliera (non può che essere così) che, spesso, per la società.
Esistenze liquide inafferrabili per chi non ci ha a che fare, totalmente a carico delle famiglie da un punto di vista non tanto economico (anche), ma soprattutto fisico, morale, psicologico.
Per il sistema tutto a posto, per la vecchia zia no.
Lei sbraita dagli anni ottanta, quando aveva già una certa età:
“Ma come cazzo facciamo a dimettere Tizio?
Gli è stato spiegato come usare le apparecchiature di cui necessita?
E le apparecchiature le hanno già consegnate?
O se le devono comprare?(spesso è così..)
E se avrà una crisi a casa, i genitori sapranno chi chiamare?
C’è un referente? (spesso era la vecchia zia il referente, ovviamente oltre l’orario di lavoro, di sua iniziativa, senza dire niente a nessuno, senza che le famiglie sapessero. È su queste figure che si regge il sistema..)”
Le risposte a tutte queste domande (più altre mille) si chiamano proprio cure palliative pediatriche.
Normale amministrazione per chi si abitua presto a fare da solo, per chi si abitua a saperne di più dei professionisti che dovrebbero seguirli.
Per chi si abitua a non averle queste fantomatiche cure palliative pediatriche.
Ci sono madri che entrano in sala operatoria col figlio perché le uniche a saperlo ventilare per davvero in caso di crisi respiratoria.
Tutto normale? Tutto civile?
Quando la vecchia zia sbraita le si gonfia la vena e le scappa qualche parolaccia, perché lei sa di avere ragione, lei sa che quando dice :
“La persona al centro” non è la retorica di chi ha qualcosa da guadagnare, è la verità di chi ha visto troppe volte lo stesso film guasto.
È dagli anni ottanta che sostiene la necessità di attivare una RETE TERRITORIALE di specialisti ( medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti ) che si prenda in carico le famiglie sparite dai radar..
Troppo LUNGIMIRANTE la vecchia zia..
Vorrebbe dire investire oggi in formazione per risparmiare domani (secondo studi dal 40 al 70 per cento parlando dell’economia che tanto interessa e giustamente a chi tira le righe) e vorrebbe dire cambiare la qualità di vita degli inguaribili, guariti solo per il Sistema.
Vorrebbe dire rivoluzione copernicana..
Nel 2010 uno spiraglio: approvata legge 38, che prevede l’istituzione delle CURE PALLIATIVE PEDIATRICHE.
La vecchia zia ha un sussulto:
“Cazzo, ma allora non sono rincoglionita!
Allora è fatta!!
Ci siamo!!” ( Le parolacce erano più di queste, la giugulare sembrava la aorta ).
Siamo nel 2020 e ancora non si parte..
L’inerzia è enorme..I bambini a 18 anni diventano maggiorenni, dimenticati per la seconda volta;
parliamo di patologie importanti, oncologiche, muscolari, neurologiche, metaboliche, cardiopatiche, genetiche…
Le famiglie sono sole, le PERSONE non sono al centro..Sono ostracizzate, le persone semplicemente non esistono.
Poi ad inizio anno arriva il Coronavirus e si scopre che in Lombardia il sistema sanitario ha proprio nell’assistenza territoriale l’anello più debole, quello che ha fatto saltare il banco, quello che si è tradotto in migliaia di morti.
E se ci fosse stata una rete di sanitari per gestire a casa i malati covid?
E se si fosse preservato l’ospedale inteso come struttura, dai malati covid?
Se quell’anello territoriale fosse stato il più forte e non il più debole?
E se la persona fosse stata al centro?
La vecchia zia è stremata, incredula, sa che sarebbe stata un’ottima cosa..
La vecchia zia sa che tra un po’ verrà la fase della normalizzazione da covid, verrà la fase della pioggia emotiva di soldi e spera tanto ( lei che non ha quasi più la forza di sperare) che non verranno usati per lucidare chiodi su cui appendere cappelli di paternità, che non saranno inaugurati nuovi ospedali, nuovi macchinari, nuovi nastri di cui compiacersi.
La vecchia zia spera che si parta dalla PERSONA AL CENTRO: persona che è il malato e persona che è l’operatore che forma la rete.
ASCOLTO delle esigenze del malato e FORMAZIONE delle competenze.
La rete è come la nebbia di Totò: se c’è, non si vede, ma tutto funziona.
Sarebbe assai bello, per una volta, partire dagli ultimi che da sempre aspettano: i bambini candidabili alle cure Palliative pediatriche e le loro famiglie..
Una rete specializzata proprio nel prendersi cura di questi piccoli pazienti.
Loro sono pronti, da sempre.
Loro sono nati pronti.
La Vecchia zia è inguaribile, come i bambini di cui si è occupata per una vita intera.
Per chi volesse approfondire
https://www.sdb.unipd.it/terapia-antalgica
hospice pediatrico di Padova dottoressa Benini
un luminoso esempio di come ci si può strutturare.
Parole chiave:
Legge 38/2010
CURE PALLIATIVE PEDIATRICHE
ASSISTENZA DOMICILIARE
UMBERTO TANGHETTI, CHI E’?
LEGGI I RACCONTI DI UMBERTO TANGHETTI PUBBLICATI SU BSNEWS.IT A QUESTO LINK
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