di Gloria Berardi – La modernità è l’avvento del rumore. Soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta è penetrato nella vita quotidiana. Ha scritto Picard: Nulla ha tanto mutato la vita quotidiana quanto la perdita del silenzio. Rumore mascherato da agio, ricchezza e prepotenza: radio, televisioni, elettrodomestici cellulari, altoparlanti, musiche a bomba da auto e appartamenti, moto, camion, ambulanze, cantieri, allarmi, movide, festival notturni. Se questi rumori cessassero all’improvviso, per un momento, sentiremmo il cuore della città fermarsi.
Non siamo più capaci di vivere il silenzio, diventato come una rarità da ricercare, da ascoltare e da vivere come spazio, luogo tranquillo per pensare, riposare, rilassarsi e svuotare i sensi e la testa; silenzio che però si può trovare anche in una città rumorosa come Brescia.
Silenzio, non come assenza di rumore, ma come luogo per concentrarsi, smettere di sentire e per cominciare ad ascoltare, spazio per ridare voce all’essenziale, dimensione più vera di noi stessi e del nostro vivere.
Quando si cammina lungo le vie, in mezzo alla gente, abbagliati dalle luci, attirati dai segnali e dalle immagini, può prevalere in noi il desiderio di svuotare i sensi e i pensieri.
Si sogna di essere catapultati in un’altra dimensione spazio – temporale, dove regnino il silenzio ed il lento passare del tempo.
Quando pensiamo ai “luoghi del silenzio” il nostro pensiero corre a monasteri o a spazi mistici o a cime di alte montagne
Però ci sono luoghi vicini che lo custodiscono, per fare in modo che noi possiamo scovarlo e assaporarlo anche per pochi attimi, dove ascoltarlo diverrà un vero e proprio atto spirituale.
Luoghi che possiamo trovare anche nel centro storico di Brescia. Infatti, da piazza del Foro, imboccando il vicolo Lungo, una suggestiva viuzza che conserva antichi richiami romani, si è catapultati in uno spazio asincrono.
Percorrendone l’andamento irregolare, scortati da mura dense e da una serie di archetti murati di origine misteriosa, si è invasi da una quieta ed inspiegabile atmosfera .
L’unico rumore che si percepisce è quello rilassante dell’acqua della fontana semicircolare posta nella parete, dove la viuzza si innesta in una sinuosità del vicolo San Clemente.
Proseguendo lungo quest’ultimo, sotto il vigile sguardo dei mascheroni-mensole del cornicione di coronamento di un palazzo, si giunge ad un quadrivio ricco di elementi architettonici.
In quel punto si deve operare una scelta tra via Gambara e i vicoli San Clemente (al n. 25 una targa ricorda che quella fu dimora del pittore Alessandro Bonvicino, detto il Moretto) e S. Paolo: c’è chi ritiene che questo sia il vero tracciato del decumano massimo, invece di via Musei. Lungo quale percorso continuare, per godere della tranquillità, rallentare, ascoltare e soprattutto stare soli con se stessi?
Viuzze che sembrano non aver subito il passare del tempo, dove chi le percorre in pieno giorno si immerge nel silenzio. Piccoli luoghi che lo valorizzano e lo custodiscono, per aiutarci in un temporaneo decondizionamento dalle frenesie del vivere umano.
No auto, no negozi e bar, solo porte di case in muri di cinta che paiono quelli di una fortezza, custode di uno spazio privilegiato: per liberare ciò che, in un mondo che ci appare sempre più disorientante, il nostro spirito tiene segregato in una gabbia di ferro, come la fatica del vivere, per ritrovare un rapporto soddisfacente dell’individuo con se stesso e con l’ambiente.
Proseguendo per il Vicolo San Paolo ci si inoltra nelle stradine ad impianto romano della “Colonia Civica Augusta Brixia” . E’ un vicolo stretto e silenzioso che unisce via Veronica Gambara con Piazza Tebaldo Brusato delimitato da interessanti case, su una delle quali si leggono tenui affreschi del XV secolo. L’interno, di poco successivo, ha cortili e gentili loggette.
Il vicolo piegava verso nord congiungendosi con la Contrada di Santa Giulia, ora via Musei, mentre a sud fiancheggiava il complesso monastico di San Paolo, che dopo vari cambi d’uso, è ora un istituto assistenziale
Verso Piazza Tebaldo Brusato, ex piazza mercato Nuovo, la viuzza sembra biforcarsi ed il percorso alla destra prendeva il nome di vicolo Paradiso, denominazione derivante da una immagine dipinta sul muro, rappresentante la gloria dei Santi in cielo: un mondo immateriale, non soggetto al trascorrere del tempo, dominato da pace e felicità.
Sarà dopo l’Unità d’Italia che tutta la stradina prenderà l’attuale indicazione: è arrivata fino ad oggi mantenendo in serbo un tesoro, la dolcezza della città.
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