La Corte d’Appello di Brescia ha rigettato il ricorso al sequestro e confisca che era stato emesso nel 2018 dal Tribunale di Brescia, su proposta del direttore della Dia, nei confronti dell’imprenditore edile 45enne originario del Crotonese, ma residente nel Mantovano accusato di essere in contatto con alcune cosche ‘ndranghetiste.
Il provvedimento originario era infatti scaturito a seguito di indagini svolte dalla Dia di Brescia e dai carabinieri del Comando provinciale di Mantova, coordinate dalla Dda di Brescia. L’inchiesta aveva permesso di dimostrare la “pericolosità sociale dell’imprenditore, non solo per i gravi fatti di usura per i quali era stato condannato in via definitiva nel 2013, ma soprattutto per la sua accertata contiguità alle cosche ‘ndranghetiste insediatesi nella Lombardia orientale, rilevata nell’ambito dell’operazione ‘Pesci’, in cui venne condannato, in secondo grado, alla pena di 2 anni, per favoreggiamento personale”.
Inoltre, le verifiche finanziarie hanno portato alla luce una netta sproporzione tra i redditi dichiarati e il patrimonio accumulato e di proprietà dell’imprenditore e familiari.
La confisca riguarda quindi quote di società e compendi aziendali, 48 immobili siti in provincia di Mantova, 11 immobili in provincia di Crotone e altri 7 immobili di proprietà dell’imprenditore e dei familiari, un’automobile e titoli finanziari.
Il valore complessivo dei beni confiscati ammonta a oltre 5 milioni di euro.
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