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Il futuro del Pd? E’ il centrosinistra, come a Brescia | di Claudio Bragaglio

di Claudio Bragaglio* – Con la polemica di Renzi e le risposte – condivisibili – di Gentiloni e Minniti verrebbe da dire – con la saggezza della Bibbia – “nihil sub sole novum”. Ma oggi non mi limiterei a questo. Si tratta invece di abbandonare tale campo di gioco per dare una risposta di diverso profilo. Trappole da aggirare per andare oltre.

Quindi niente commenti sulla psicopatologia d’una aggressione, o su un ego smisurato che dopo le sconfitte vaga come un fantasma senza alcun corpo in cui ritrovarsi. Niente Giglio che da magico, rischia di ritrovarsi tragico, con la chiusura del sipario su Luca Lotti. Niente cattiverie sui “social” per mesti cortei di prefiche in lutto o per tifoserie sgonfiate. Niente di tutto ciò.

Ritengo infatti si debba uscire dalla morsa di simili contese. Con un PD che discute anche nei suoi organismi dirigenti, oltre che sventagliato sulla stampa. Quasi ci fosse una “veritas duplex”. Quella degli “iniziati” che dottoreggiano su nuovi partiti o sulle spoglie del PD. Mentre partito ed organismi dirigenti del PD fan finta di nulla. Come nell’ultima Direzione nazionale.

Posso sbagliare e me lo auguro. Ma il Renzi di oggi mi pare si muova sulla scacchiera come un replicante del D’Alema di ieri. Qualcosa di speculare li accomuna. Con un Renzi – sia detto con benevola ironia – sempre più… “dalemizzato”.

Punti decisivi sono la salvezza del PD e l’alternativa democratica per il Paese. Quindi non se Renzi riguadagni o meno il palcoscenico, con la polemica. Cosa che gli si è ritorta pure contro, a danno del Renzi-sosia, già segretario del PD. E poi contro un Minniti ed un Gentiloni, fino a ieri icone d’un renzismo d’alto rango. Il primo addirittura candidato renziano alla segreteria del PD, seguito da una strambata su Giacchetti. E l’inarrestabile deriva.

Penso che il PD non sia del tutto uscito dalla decennale stagione di “vocazione maggioritaria” che lo ha portato all’isolamento ed alla débâcle”. E neppure ancora fuori da quel “modello romano”, per riprendere un caustico Romano Prodi, in cui – nonostante Zingaretti – il PD è ancora irretito.

La recente assemblea regionale del PD, con la relazione del segretario Peluffo approvata all’unanimità, ha indicato la strada. Quella già registrata sui territori. Dice infatti Peluffo: “bisogna far risalire lungo i rami questo protagonismo dei nostri amministratori, trovare insieme la formula per riuscire a scaricare il valore aggiunto del voto amministrativo anche sulle competizioni di carattere politico, a partire da quelle regionali per arrivare alle elezioni politiche”. Questo il problema, ripreso in modo convincente anche dall’on. Maurizio Martina, che ha insistito sul ruolo decisivo del PD, come partito-perno d’un più ampio Centro Sinistra.

Cosa non così ovvia. Ed è Martina stesso ad esplicitare il rischio d’un Centro Sinistra che parta invece da una divisione del PD. Dall’ipotesi di due forze del 15% circa. Ipotesi tutta da contrastare, ha sostenuto Martina. Posizione anche da me condivisa nel mio intervento in Assemblea, ritenendo indispensabili, nel PD plurale, sinistra riformista e cattolicesimo democratico.

Ben sapendo come non si possa esigere alcuna “separazione consensuale” mettendo una corda al collo del PD. Perché di questo si tratta.

Il PD non è una prigione. Anzi. E ciascuno va dove lo porta il cuore. Ovvio. Ma uno scontro tra pretoriani in armi, per una lotta fratricida, è tutta da contrastare. Così come una destabilizzazione del PD, a pretesto poi d’una rottura. Follie non solo contro il PD, ma contro il Paese, nel bel mezzo d’una crisi democratica e sociale tra le più gravi, come ben sappiamo.

Non temo tanto i mille fantomatici Comitati Civici dei Gozi e degli Scalfarotto, ma l’incertezza della risposta politica che ancora si trascina nel PD sul futuro Centro Sinistra. Temo la debolezza d’una iniziativa – evocando nomi – con Letta, Calenda, Pisapia e Bonino di + Europa, con Verdi e l’area civica e sociale. Temo pure l’assenza d’un cuneo del PD nella crisi profonda del M5S.

L’evocazione d’una “Costituente del PD” per ridefinirne l’identità è la scontata risposta del più ovvio dei “manuali”. Ma che non fa i conti con l’emergenza populista. Mi vedo mesi di “ammuina” sulla nave – come nell’anno del Congresso – mentre tempi e tempeste ci si mettono ancor più contro.

L’identità d’un partito è il suo “far politica” delle alleanze nelle istituzioni e nella società, con i suoi progetti. Quindi l’obbiettivo è la “Costituente del Centro Sinistra”. E’ l’Alternativa, con il PD protagonista. A partire dal territorio, “su per li rami” come dice il segretario Peluffo. Nel Paese reale delle Comunità locali c’è già un’area “potenziale”, fatta di diverse componenti, che con il PD collabora ed è al 40-45%. Metà della quale a livello nazionale è orfana di rappresentanze politiche.

La vittoria a Brescia di Del Bono Sindaco ne è la riprova. Come in molte altre città. Ma buon governo e programmi non bastano. Ci vuole un progetto politico. Lo stesso che a Brescia prese vita già nel 2013 quando si decise – pur con distinzioni nel PD – l’accordo ampio, con le liste di Fenaroli, di Castelletti e della rete civica di Centro.

Il futuro del PD è nient’altro che un nuovo e più ampio Centro Sinistra. “Politicismo”, lo definiscono i puristi della “Crusca”. Ma la politica non ha altre risorse che…fare alleanze sociali, politiche, civiche per condivisi progetti di governo e di cambiamento. Il PD, quindi, non può contemplarsi in un solitario “maquillage” identitario. E, solo dopo, occuparsi del “reame”. Illudendosi della risposta del proprio specchio. Lo stesso specchio delle fiabe e delle proprie…brame!

*Presidente della Direzione Lombarda del PD

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Redazione BsNews.it

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