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Brescia sotto le bombe, la storia è da record: superati i 2mila visitatori

(a.tortelli) Sono numeri da record quelli di “Brescia sotto le bombe”, la mostra che si è aperta il 13 ottobre e che racconta – attraverso testimonianze provenienti dagli archivi storici e dagli album delle famiglie – gli anni che vanno dal 1940 al 1945, in cui la leonessa conobbe direttamente la guerra e la paura delle armi.

Nei primi due fine settimana, infatti, i visitatori che si sono recati a Palazzo Martinengo sono stati oltre 2mila (di domenica l’affluenza media è stata di oltre 100 persone all’ora) e  la ragionevole attesa è che questi numeri raddoppino prima della chiusura, fissata – salvo proroghe – per l’11 novembre.

Un successo che va ben oltre le più rosee aspettative dei promotori e dei curatori, Elena Pala e Roberto Chiarini, tanto più alla luce del fatto che si tratta di un evento ben lontano dal mainstream e dalle esposizioni dedicate ai filoni artistici più popolari.

“Ho riflettuto sulle ragioni di questo successo”, spiega a BsNews.it il professor Roberto Chiarini, “e ne ho individuato le cause soprattutto in due fattori. Il primo che in molte vite c’è una ferita non ancora chiusa: sono passati 70 anni, ma sono in tanti a ricordare le paure che hanno vissuto direttamente da bambini o nei racconti dei familiari. Brescia sotto le bombe, per certi versi, è un’occasione per riapparcificarsi col proprio passato. Il secondo elemento”, ha proseguito Chiarini, “va cercato nel grande sostegno comunicativo che abbiamo ricevuto in particolare dal Giornale di Brescia, che ci ha portato ad avvicinare – in cinque incontri – almeno un centinaio di famiglie, arrivate da noi per offrirci le loro testimonianze dell’epoca”.

Insomma: una mostra nata dal basso e che si è dimostrata “straordinariamente” attuale. “Le ultime tre generazioni non hanno conosciuto direttamente la guerra”, commenta Chiarini, “ma di fronte al disordine del presente e alle paure per il futuro questa iniziativa rappresenta quasi un modo per rassicurarsi sul fatto che ciò che è accaduto in passato non possa tornare. Osservo poi che anche tra i bresciani c’è un crescente desiderio di storia: una storia, però, che racconti di te e del tuo mondo, non di cose lontane. Gli amministratori”, ha aggiunto, “farebbero bene a tenerlo ben presente nelle loro programmazioni. Non è stato facile trovare le energie per portare avanti questo progetto: oggi è molto più semplice trovare risorse per le mostre d’arte, anche se costano molto di più e lasciano minore traccia”.

Anche il recente dibattito circa il futuro del Colosso di Arturo Dazzi, secondo Chiarini, si inserisce in qualche modo in questo ragionamento. “Perché non proviamo a parlare della storia di Brescia anche in epoca fascista?”, domanda, “le testimonianze – come quelle sui luoghi in cui venivano torturati i partigiani, vicino a piazza Loggia – non mancano e sarebbe interessante ricordare ai bresciani anche questo terribile paragrafo della nostra storia. Il dibattito sul Bigio oggi tocca soprattutto le élite: i giovani e gli impolitici forse sono in maggioranza favorevoli al ritorno della statua in piazza Vittoria. Il Bigio potrebbe essere un’occasione per tornare a parlare di quel periodo. A patto ovviamente”, ha concluso, “che non si voglia far diventare quella statua – carica di una forte simbologia politica – una sorta di rivalsa degli sconfitti”.

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