di Flavio Pasotti – La proposta di Fausto Di Mezza sulla collocazione del Bigio nel grande cavedio antistante il Quadriportico è nel solco del suggerimento dell’ex candidato sindaco del Centrodestra Paola Vilardi che suggerisce un luogo “neutro” (forse meglio “neutrale”) per una collocazione temporanea, essendo il riposizionamento in Piazza Vittoria sostenuto dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali un passaggio politicamente forte. Non manca a Di Mezza intelligenza nella proposta e ha un pregio: fa piazza pulita (sic) dell’idea insopportabilmente ipocrita che la ricollocazione della Statua “Era Fascista” (il vero nome del cosidetto “Bigio”) sia un problema di filologia architettonica.
No, non lo è perché se fosse come molti sostengono, surrettiziamente se non ipocritamente, un problema puramente “filologico” allora andrebbe ripristinato anche il fregio ugualmente fascista sottostante il Faro della Civiltà strappato e distrutto (ma non è detto… pare ne esistano ancora cospicui frammenti) nel dopoguerra e quello sì riconosciuto come opera d’arte di valore.
Soprattutto: se fosse “filologico”, perché fare prima un passaggio “neutro”?
No, la ricollocazione del Bigio è a tutti gli effetti un passaggio politico, è il tentativo in versione “artistica” di sdoganare un pezzo di passato con il quale non abbiamo fatto i conti e che l’opportunismo di una parte della politica vuole recuperare furbescamente senza sporcarsi le mani se non addirittura in qualche caso rivendicando quell’eredità dei treni puntuali e della Previdenza Sociale (fake news sed transit) ma facendo dimenticare la perdita delle libertà, la guerra prima di aggressione e poi civile e la morte della patria l’8 di Settembre. Tutte cose con cui appunto “furbescamente” non abbiamo mai fatto i conti.
In un momento in cui la politica riscopre un luogo, il balcone, in cui il linguaggio politico rispolvera il “me ne frego” non accidentalmente, perché sarebbe un insulto alla intelligenza del fine dicitore, ma con la consapevolezza di riallacciarsi ad una destra di ordine e sicurezza, in un momento simile chi si deve opporre non è definibile semplicemente come di “sinistra” nelle sue innumerevoli e ormai minoritarie divisioni: si deve opporre chi vede nella libertà un riferimento senza compromessi, un valore da coltivare quotidianamente, una conquista mai definitiva da difendere anche in modo sofisticato e scomodo, in una parola impopolare di fronte al populismo. Non ci si deve stancare di difendere la libertà, non ci si deve stancare di ricordare che ciò che accadde non è sepolto ma come il bollire la rana nell’acqua può tornare a piccoli ed equivoci passi ogni giorno. Non è vero che il fascismo è una cosa del passato perché lo scambio meno libertà e più sicurezza è cosa che oggi in Italia molti accetterebbero, “sentono” anche in buonafede non ricordandosi che nella storia quello scambio non funzionò mai.
Tutti ricordano il Machiavelli del Principe, quello dell’uomo forte. Nessuno ricorda il Machiavelli dei “Discorsi sulla prima decade di Tito Livio” nei quali Niccolò scriveva dall’esilio ai giovani degli Orti Oricellai di salvaguardare la Repubblica dall’uomo forte come Tito Livio rivendicava la bontà della antica Repubblica dai danni del Principato.
Noi stiamo con quelli che dissero che “Freedom is not free”, che sanno di pagare un prezzo combattendo per essa: per questo il Bigio non è neutrale, perché nessuno lo considera tale, né i contrari né i favorevoli, ma solo gli ipocriti. Stia dove è, abbattuto in una cassa e non calcinato a ricordare che per la libertà si combatte e il pericolo è dentro di noi.
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