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Alcune riflessioni sulla morte di Sana Cheema | di Donatella Albini

di Donatella Albini* – Sento di dovere a Sana un pensiero, nel rispetto della sua persona, unica ed irripetibile, preziosa, spazzata via da un gesto violento ed insensato.

Sana non aveva bisogno di parole, segnate da uguale violenza ed insensatezza, come quelle che vedo correre in questi giorni, ma di atti concreti di protezione, così come ne hanno urgente bisogno oggi tutte le donne, che sono in pericolo.

Il fondo per le nazioni unite per la popolazione stima che il numero dei cosiddetti “delitti d’onore” in tutto il mondo potrebbe essere di 5000 donne.

Si tratta di un numero sottostimato, la maggior parte di quelli stimati sono poco altro che presunzioni .

Stime definitive ed affidabili, mondiali, sull’incidenza dei “delitti d’onore” non esistono .

Le diverse concezioni dell’onore convergono tutte sul controllo dell’attività sessuale femminile, considerata come bene di proprietà della famiglia che lo deve proteggere e ne può disporre a piacimento anche con la pratica dei matrimoni combinati, anche precoci.

“E’ tutto collegato all’idea che le donne sono una proprietà e con la tua proprietà puoi farci quello che vuoi” dice Heather Barr ricercatrice per i diritti delle donne a HumanRights Watch.

Il delitto d’onore nell’ordinamento penale italiano fu contestato in modo crescente dal Sessantotto, poi dichiarato “anacronistico” dalla Corte Costituzionale nel 1972 e infine abrogato nel 1981 con la legge 442 di riforma del codice penale, ben dopo la riforma del diritto di famiglia (1975), che sancì il principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, 20 anni prima delle “misure contro la violenza nelle relazioni familiari” (2001).

Ma le donne straniere, ahimè tali anche se nate, cresciute, amate in Italia,così come le  rifugiate e le richiedenti asilo sono esposte a rischi e violenze, frutto di un’oppressione multidimensionale: in fuga da paesi, che ne mettono a repentaglio l’esistenza, approdate in paesi sempre più intolleranti verso le diversità, comunque donne in società, sia quelle d’origine sia quelle d’arrivo, nelle quali il principio della parità di genere e la lotta alla violenza alle donne sono molto lontani dall’essere realizzati.

Sappiamo che anche nell’ambito dei fenomeni migratori le donne ricoprono in forte ruolo a tutela della sicurezza e del benessere della propria famiglia e della società, dunque solo politiche di integrazione e accoglienza che tengono conto della prospettiva di genere consentono alle donne, protagoniste del processo di stabilizzazione dei vari percorsi migratori, di divenire soggetti attivi in grado di mettere in campo capacità relazionali, progettuali ed organizzative, competenze lavorative e conoscenze culturali utili alla crescita anche dei paesi ospitanti.

Primo passo è smontare culturalmente il contesto di sostegno culturale al delitto d’onore, che si traduce poi in omertà e aspettative di impunità, è quindi bene che la comunità pakistana abbia preso la parola, abbia spinto perché si facesse chiarezza in Pakistan sulla morte di Sana ed è bene che le giovani donne pakistane, insieme alle compagne di scuola di Sana, prendano la parola in un luogo pubblico, in una piazza.

E poi è necessario mettere in campo programmi di fuga in case protette e proteggere in particolar modo le donne minori, che possono essere facilmente rimandate nei paesi d’origine.

La garanzia dell’acquisizione della cittadinanza per ius soli sarebbe per queste giovani donne uno strumento di protezione fondamentale.

L’immigrazione nel nostro paese, in Europa, deve poter essere un’occasione di riscatto e di libertà per tutte le donne straniere e non solo.

Servono intelligenza e generosità per fondere orizzonti.

Pensando a Sana.

* Consigliere comunale

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Redazione BsNews.it

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