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Brescia, c’è civismo e “civismo” | di Claudio Bragaglio

di Claudio Bragaglio – Scrutando l’affanno del Centro Destra alla ricerca d’un candidato sindaco, mi sono venute alla mente alcune vicende della nostra storia municipale.

L’ultima “new entry”, nel vortice delle candidature, è Enrico Agabiti Rosei, medico neo pensionato degli Spedali Civili. Una scelta successiva al nome dell’ing. Enrico Zampedri – balzato alla cronaca politica, per una cena romana fatta con gli on. Gelmini e Paroli – che aveva poi spinto al galoppo le fantasie dei giornalisti. Senza però che una sola parola venisse dal diretto interessato.

Ma una tale moltiplicazione di nomi civici non si sa se dovuta all’incauto ottimismo d’uno slancio in aria o piuttosto ad una rassegnazione per troppi dinieghi.

Intanto c’è civismo e civismo. C’è quello che interagisce dialetticamente con la politica, ma anche un civismo ben diverso, di cui la politica s’avvale strumentalmente per nascondere con una maschera il proprio volto, quand’è sfuocato od impresentabile.

La storia nostra è fatta di queste opposte situazioni. Vi sono state candidature non direttamente partitiche, ma comunque espressione di specifiche identità politico-culturali. Penso nel 1975, a Cesare Trebeschi o, nella crisi esplosiva del ‘91, a Gianni Panella. Vi sono state candidature, poi, che hanno percorso crinali civico-politici “borderline”, come quella di Laura Castelletti. O di Francesco Onofri, o quella – non ci si sorprenda – di Laura Gamba per il M5S, entrambi ritrattisi ora dalla contesa della Loggia. Scelte da rispettare, ma che, a mio parere, fan venir meno un valore positivo per la città.

Lo spirito che ha ispirato questi vari percorsi è stato di immaginare un civismo come “un di più” per la politica. Un plusvalore qualitativo. Verificabile anche in fatto di Liste civiche, come quella di Marco Fenaroli.

Quello che invece s’è affacciato a Brescia sul fronte del centro destra – dalla destra D.C. fino ai nostri tempi – assume tutt’altro tenore. Si tratta di candidature civiche che sono sì evocate, ma in alternativa ai partiti, quando la destra locale s’è trovata in preda a convulsioni o paralisi.

A conferma di tale tesi, ancora oggi, parla la cronaca che vede la Lega contrapposta, con proprie candidature, ad una Forza Italia in cerca di candidature civiche, direi: … a prescindere.

Alcuni precedenti mi son suggeriti dal profilo stesso del dott. Agabiti Rosei. Penso, in particolare, a due candidature, quella del ‘91 di Mauro Piemonte, esimio professore degli Spedali Civili, e nel ’98 di Giovanni Della Bona, già presidente di AIB. Tutti e tre in quiescenza, caratterizzati dal loro ambito professionale, ma del tutto improvvisati per un’amministrazione municipale.

Un tale civismo è del tutto opposto a quello che, pur dalle professioni o dall’impegno sociale, ha incrociato e vissuto i problemi del governo locale. Chi sul versante d’una azienda, l’ASM, come Trebeschi, chi alla guida d’un grande sindacato, la Cgil, come Panella, che ha saputo dar avvio, in una fase molto aspra, al Termovalorizzatore, nel ‘91.

Ricordo ancora gli imbarazzi del prof. Piemonte – capolista D.C. – nel bel mezzo della frontale contrapposizione tra il sen. Padula e l’on Prandini. Stessi imbarazzi anche per Dalla Bona, già fin della campagna elettorale, fatta in solitudine col suo ex Direttore di AIB. Nel loro ritrovarsi spaesati – e poi subito sparire – dopo la sconfitta, come giapponesi nella giungla dei problemi della città e del Consiglio. Meritevoli biografie, macinate però dalla politica. Dal cinismo più che dal civismo Ma anche per loro scarsa avvedutezza.

Il civismo non è un’incauta improvvisazione, se vuole esprimere un cambiamento della politica.

Il civismo è stato a suo tempo un’impronta della sindacatura di Paolo Corsini, dal ’98 in poi e, in forme diverse, poi sviluppato con coraggio da Emilio Del Bono, nel quadro più complesso d’una risposta autonomista e lombarda alla crisi dei partiti, e che porta anche i nomi del sindaco Sala, a Milano, di Gori a Bergamo e come candidato in Regione. Un civismo che con Del Bono ha assunto il profilo più avanzato in quanto antepone la città al suo stesso partito. Vi si identifica. Nella scelta dei programmi e dello schieramento ampio – politico, ma sempre più civico – che sostiene la sua candidatura.

Forse è proprio questo che è sfuggito a Paroli sindaco quando, anche col suo doppio incarico di parlamentare e sindaco, ha dato netta l’impressione di non identificarsi con la centralità della città. Di sentirsi un po’ un sindaco precario. E proprio in una Brescia che ha nel suo DNA un sindaco come Bruno Boni, che ha sempre preferito la Loggia a Montecitorio. E non il contrario.

Il civismo, più che la pesca all’amo d’un fortuito nome in riva al Mella, è quindi un modo di vivere la città. E’ costruzione di reti e di coalizioni sociali e civiche. E’ politica che privilegia la vita della città, con l’ambizione di poter essere un laboratorio anche per un problematico quadro nazionale. Civico è dunque processo partecipativo e non già furbizia d’una scorciatoia. E quando la ricerca d’un nome – d’un apolitico, purchessia – si fa così spasmodica, suona solo come una campana disperata per la propria causa. Come conferma d’una propria delegittimazione.

Nella storia, quando s’è cercato – a prescindere – un “principe straniero” si sapeva poco nulla del futuro principe, ma invece molto del gran marasma che già investiva la corte regia.

 

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Redazione BsNews.it

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