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La questione femminile passa dalla sensibilità maschile

(li.sa) La questione di genere sta diventando sempre più attuale nel dibattito, anche nel Bresciano. E non si tratta soltanto di pari opportunità (anche, talvolta…), ma di mettere in campo un differente approccio ai problemi cambiando la prospettiva con cui li si affronta e promuovendo nuove sensibilità.

Vale per la politica, dove negli ultimi anni c’è stata una crescita significativa di rappresentanti delle istituzioni al femminile. Ma la città di Brescia, la Provincia, la Regione e lo Stato negli ultimi anni (e decenni in alcuni casi, se si esclude il Pirellone) non sono mai riusciti a eleggere nel ruolo di vertice una donna (ci andò vicinissima la Beccalossi contro Corsini nel 2003, perdento al ballottaggio con il 52 per cento).

Lo stesso discorso vale, se pure in maniera leggermente attenuata, per l’economia. Quante sono le associazioni di categoria bresciane guidate da una donna? Una. Ma nella più importante non è mai accaduto. Certo ci sono i segni di una inversione di tendenza, come testimoniato anche da una recente indagine della Camera di commercio di Milano, secondo cui il 10 per cento delle imprese bresciane operanti in settori tradizionalmente classificati come maschili (costruzioni, trasporti, riparazioni e ingegneria, finanza, fogne, rifiuti, energia, auto, caccia e pesca) è guidato da una donna. Ma non basta.

Anche scendendo nella scala economica fino al livello più basso, quello del consumatore, la questione non cambia. Anche nella Leonessa, infatti, resta aperta la questione la questione della Women tax, cioè del fatto che prodotti identici costano più se declinati al femminile che al maschile. Una scelta di mercato, scientemente sostenuta dalle grandi case di moda e di prodotti-benessere. Pare banale, ma prodotti equivalenti e talvolta identici – tranne che nella fragranza – come lo shampoo o il deodorante costano di più nella versione benessere donna. E lo stesso vale spesso dell’abbigliamento. Una questione non certo inventata da femministe esagitate, dato che alcuni stati (come la California) hanno perfino pensato di vietare per legge i cosiddetti prezzi di genere.

Il quadro oggettivo, insomma, è molto complesso. Ma la questione femminile oggi va affrontata anche sotto un altro punto di vista. Basti pensare a tutta la vicenda dei femminicidi, sempre più presente nel dibattito mediatico. Ma non solo. Una recente indagine che ha trovato grande diffusione nei media italiani ha indicato che un milione di madri italiane (una su cinque) sarebbe stata vittima di qualche forma di violenza ostetrica, fisica o psicologica durante il primo parto. Un trauma tale da spingere il 6 per cento delle donne a non affrontare una seconda gravidanza. Il bilancio sarebbe quindi di circa 20mila bambini in meno all’anno. Una forzatura, forse, visto che la qualità e la sensibilità dei medici in servizio è certamente aumentata rispetto al passato, quando di figli se ne facevano molti di più. Ma non possiamo far finta di niente.

Il problema di fondo, infatti, è la sensibilità nuova che oggi viene richiesta all’intero sistema – politico, economico, sociale – per affrontare le questioni del quotidiano. Una sensibilità che deve aprirsi al femminile e rispettarne più anche le paure irrazionali. In questo contesto le commissioni con donne che parlano a sole donne, le quote panda, i rappresentanti di “categoria” nominati dall’alto e i convegni servono a poco. Serve una svolta culturale. E devono farla gli uomini per primi.

 

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Redazione BsNews.it

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