Il vescovo? Chiamiamolo pure direttore generale | di Elio Marniga
di Elio Marniga – I titoli dei servono ad invogliare la lettura ma, si sa, sono spesso fuorvianti. E’ capitato – in misura di certo non commensurabile al mirabile “dalla finestra gamba rotta” di un, allora, noto quotidiano meneghino – anche al CorseraBS del 13 di questo mese per l’articolo di Massimo Tedeschi che, trattando del prossimo arrivo del nuovo Vescovo, titola “Le tre sfide di un pastore”. A parer mio sarebbe stato più appropriato scrivere “sfide di un direttore generale” poiché tratta dei problemi che riguardano la più vasta organizzazione operante sul territorio bresciano, filiale locale della più grande Multinazionale esistente.
A questa importante Azienda, che da tempo non è più un ovile, serve un manager che riesca a rimettere in funzione le varie officinette sparse sul territorio; spesso vi si trovano anche macchinari non obsoleti; ma mancano tecnici capaci di metterli in funzione; e di mantenerveli. Perché non si trovano, in abbondanza come una volta? Che le famiglie te li portavano, anche se magari loro, quei bravi ragazzotti, volevano fare il fornaio? Non si trovano perché il mercato del lavoro offre una serie di opportunità, alternative ed attraenti; che non vincolano alla fedeltà a vita; che non chiedono rinunce eroiche e innaturali; che non pretendono ubbidienza cieca ed assoluta. Per ovviare a questa grave carenza il Direttore Generale attuale è ricorso all’assemblaggio dei piccolo capannoni contigui; con scarsi risultati per le ripicche, le invidie e l’attaccamento alla propria roba di tanti vecchi tecnici; sull’esempio di quel loro alto superiore il quale, pur avendo superato da un bel pezzo gli ottanta, non rinuncia alla sua gratificante.per lui, posizione presso la Sede Centrale e manco si sogna di far ritorno al natio Borno selvaggio.
Avrà poi, il nuovo manager, da affrontare la situazione finanziaria perché in cassa mica c’è più tanta roba.Un tempo ce n’era di roba! se non di proprietà, di disponibilità. A quel tempo, l’Azienda aveva operai intraprendenti che, ispirati dall’Azienda e magari anche con il suo sostegno economico, diventavano contoterzisti dell’Azienda stessa, che ne ricavava utili e dava loro, ascoltata, gli indirizzi operativi. Così c’erano banche; c’erano congreghe; c’erano fondazioni, c’erano editori; e tutti concorrevano al bene dell’Azienda che, con mano magari leggera ma ferma, tutti guidava. C’era perfino un quotidiano, ch’era quasi un house organ; ma qualcuno, molto abile di certo, ne ha sfilato il comando all’Azienda, se l’è preso e portato, seguendo una Linea D’Oro, fino alla Capitale, dove la voce dell’Amministratore locale neppure si sente. E’ stato sostituito da un settimanale che, pur ben fatto, economicamente si regge sull’obbligo che hanno le piccole officinette di acquistarne buon numero. Anche i contoterzisti, pur sempre professandosi ammiratori e partecipi sinceri delle fortune dell’Azienda, da tempo hanno visto che fare e vendere per conto proprio è più conveniente e quindi… ne avrà di polenta da menare il nuovo Direttore Generale!
E sul terzo dossier aperto da Tedeschi, quello che riguarda “il rapporto con la società di oggi e la cultura corrente”, Egli dovrà mettercela tutta; perché sviluppare l’Azienda in un territorio che sa ben nascondere le sue magagne sotto dieci giornate continue di canti e feste parlanti è roba tremenda. Forse Egli dovrà compiere quella scelta di fondo che i suoi predecessori, per eccessiva prudenza; o per incapacità; o per ignavia, hanno evitato: rinnovare il prodotto. Dalla Sede Centrale della Multinazionale, da tempo, partono segnali deboli ma chiari, contrastanti e contrastati ma unidiretti: bisogna ritornare al primo prodotto, al prodotto primario; quello che rivoluzionò la vita della società; quello inventato, progettato, disegnato anche nei dettagli dal Fondatore e da Lui illustrato, in maniera univoca, ai suoi primi Collaboratori, durante la famosa Convention tenutasi all’hotel Montagna. Tanto tempo fa.