Le imprese devono iniziare a valutare la solidità delle banche con cui hanno a che fare, andando oltre parametri “ufficiali” come il chet1, con la stessa attenzione con cui gli istituti di credito valutano le aziende. E’ stato questo uno dei leitmotiv del dibattito che si è tenuto ieri sera, dalle 18, alla biblioteca della facoltà di Economia, in città. Un appuntamento promosso dal Dipartimento di Economia e Management dell’ateneo (Osservatorio sulla crisi e sui processi di risanamento delle imprese) in collaborazione con Banca Santa Giulia, rappresentata nell’occasione dalla vicepresidente Daniela Grandi.

L’incontro – intitolato: “Gestire i rapporti banca-impresa alla luce delle ultime direttive europee (bail in) – era finalizzato ad approfondire il tema del rapporto tra gli istituti di credito e le aziende del territorio alla luce delle normative Ue che impongono al sistema bancario di essere in grado di fronteggiare le eventuali crisi dei singoli istituti anche senza l’apporto diretto dello Stato.

“Quello tra banche e imprese è un rapporto non risolto”, ha sottolineato il prorettore dell’Università di Brescia Claudio Teodori aprendo i lavori, “da una parte le imprese spesso non sono attrezzate a presentarsi in maniera adeguata, dall’altra le banche sono troppo quantitative nel misurare il rating delle aziende”.

Del resto, come evidenziato da Gabriele Maggiorini e Valentina Di Nunno di Consultique (analisti finanziari indipendenti), il quadro generale non aiuta l’incontro dei due punti di vista. Dopo Basilea3, infatti, le banche italiane hanno portato a galla 360 miliardi di sofferenze su circa 2mila miliardi di impieghi: quasi il 18 per cento del totale. Tra il 2007 e il 2015, in particolare, i crediti deteriorati sono sostanzialmente raddoppiati, fino ad arrivare al 21 per cento del Pil italiano. E anche per questo alle aziende che puntano ad avere accesso al credito è chiesto oggi uno sforzo in più per “conoscersi”.

Anzi, ha chiarito Patrizio Basile (Consultique), “gli investitori devono iniziare a valutare le banche come quest’ultime valutano le aziende”. Anche perché se una banca va in liquidazione coatta (il bail in è l’ultimo tassello di un percorso che prevede diversi passaggi guidati, dalla bridge bank alla bad bank) le imprese sono chiamate a restituire immediatamente ogni debito (fino a 31 dicembre 2018, in caso di dissesto, le grosse aziende con più di 100 mila euro di depositi concorrono prima degli altri correntisti, alla stregua di chi ha obbligazioni senior).

La normativa internazionale, oggi, impone il chet1 come indicatore principale per valutare la solidità degli istituti. Con la conseguenza che le banche, non potendo chiedere patrimonio al mercato, hanno solo due strade: ridurre il rischio stringendo la borsa del credito oppure investire in titoli di Stato, a rischio zero. Ma il chet1 non basta a indicare la salute di una banca: “bisogna anche vedere se ha sofferenze, quante ne ha, come le spesa, se ha capacità reddituale e se ha posizioni di stress sulla liquidità a breve”.

Ivan Fogliata (CEO e docente InFinance, analista finanziario esperto di Corporate Finance), infine, ha tracciato un quadro in chiaroscuro delle condizioni attuali delle banche italiane. “Il business degli istituti di credito”, ha detto, “deriva da tre fonti: uno è il margine di interesse, l’altro è il margine sui servizi e il terzo è la gestione della finanza. Ma tutti e tre stanno creando problemi”.

Gli utili da finanza, in particolare, “sono stati la cuccagna delle banche negli anni passati. Tra il 2011 e il 2012 molte banche hanno preso in presto somme importanti a un tasso dell’1 per cento e li hanno reinvestiti in bot che rendevano il 6,65 netto. Oggi la Bce presta denaro a tassi negativi, ma con il vincolo che non vengano più usati per fare finanza, bensì prestati a imprese e famiglie”. Ma l’attività creditizia, oggi, “rende molto meno perché assorbe capitale e, se l’economia non riparte, espone al rischio di deterioramento del credito”. Senza contare le nuove minacce derivanti dalle innovazioni sulla finanza (fintech) e dalle piattaforme elettroniche che forniscono consigli finanziari (roboadvisor). Gli gli istituti più lungimiranti vedono in questi cambiamenti opportunità su cui investire, ma difficilmente il quadro attuale sarà sostenibile ancora a lungo. E nel frattempo diventa importante valutare la salute degli istituti a cui ci si rivolge. “Il cet1 non basta”, ha ribadito Fogliata, “uno dei parametri da tenere in considerazione è senza dubbio la Texas ratio, che misura il rapporto fra i crediti non performanti e tutto quello che la banca ha per coprirli”.

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Redazione BsNews.it

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