Islam moderato bresciano: se esiste lo dimostri

di Fabio Rolfi* – Le notizie ricorrenti di attentati di matrice islamista, a volte realizzati da singoli soggetti particolarmente radicalizzati, impongono una seria riflessione, anche a livello locale, su come impostare le nostre relazioni con le comunità islamiche organizzate presenti sul nostro territorio. Si tratta di un ragionamento necessario, dato che il tema rimarrà centrale per i prossimi decenni; i conflitti che attraversano e insanguinano quella parte di mondo, ormai riguardano e coinvolgono anche noi, ma soprattutto non finiranno con un bombardamento sulla Siria.

Se da un lato non si può certamente fare di tutta un erba un fascio, dall’altro occorre però pretendere dalle comunità islamiche bresciane molto più di quello che fino oggi hanno dato o fatto per creare le giuste distinzioni tra chi si limita a pregare un Dio diverso dal nostro e chi invece, in nome di quest’ultimo, ammazza o più prosaicamente pretende di ricostruire, anche a casa nostra, una diversa civiltà improntata sui precetti dell’islam.

Ritengo sia importante, da parte di queste realtà, un impegno a combattere anche dal punto di vista culturale ogni forma di estremismo, lo stesso che dai pulpiti di certe moschee favorisce la diffusione delle idee violente e radicali. Questo perché se è vero che chi è disposto a sparare costituisce una piccola minoranza è altrettanto indubbio, come dimostrato dalle inchieste degli inquirenti e da alcune interviste fuori dai luoghi di ritrovo, che la condivisone delle azioni dei criminali che si rifanno all’Isis è molto più diffusa di quanto taluni credano.

Cosa fare quindi? Nessuno di noi ha la bacchetta magica, specialmente su temi così complessi. Ciò non toglie che Brescia potrebbe rappresentare un esempio di innovazione, una città in grado di cogliere la sfida della vera integrazione, quella sancita non solo a parole o lasciata ai mediatori culturali.

Un modello che però non deve prescindere da un’accettazione totale dei nostri valori fondativi, il ché comprende necessariamente il far proprie le regole e le sensibilità della comunità bresciana, abbandonando qualsiasi velleità di mutarne lo spirito. È un processo complicato, che richiede ragionamenti ben più complessi e deve partire dall’analisi del fallimento dei modelli di inclusione sociale che hanno dominato fino ad oggi e che sembravano ormai consolidati, e ciò vale sia per l’assimilazionismo di matrice francese, che per il multiculturalismo di stampo anglosassone.

Brescia però deve aver comunque il coraggio di agire, in virtù del peso del fenomeno migratorio nella nostra città, unitamente al fatto che, volenti o nolenti, come la cronaca ci ricorda puntualmente, non siamo esenti dalla presenza di estremisti ed esaltati. In questo senso bisognerebbe provare a costruire un patto con le comunità islamiche bresciane, una carta di cittadinanza con la quale anticipare le richieste di legalità e integrazione dell’islam organizzato che si professa democratico e moderato, richieste che prima o poi dovranno, come fatto da altri paesi più coraggiosi e meno ipocriti del nostro, essere codificate anche e livello legislativo nazionale. Un patto, che essendo di cittadinanza, dovrà partire da un’amministrazione che non deve preoccuparsi unicamente di compiacere le comunità immigrate, ma ha anche il dovere di pretendere, perché l’integrazione è fatta sia di diritti che di doveri.

Nello specifico vanno soddisfatti alcuni presupposti di grande importanza. In primo luogo le prediche dovranno essere soltanto in lingua italiana e dovrà esserci una rinuncia a luoghi di culto non riconosciuti e oggetto di difficoltà di relazione con i residenti (vedi quelli di viale Bonardi e di viale Piave). In secondo luogo la trasparenza finanziaria e gestionale, con la pubblicazione su un sito internet delle donazioni e dei finanziamenti, è un altro requisito fondamentale, a cui deve sommarsi l’impegno a non ospitare predicatori stranieri o appartenenti ad organizzazioni borderline. Infine non potranno mancare le garanzie di denunciare qualsiasi forma di radicalizzazione o simpatia per organizzazioni estremistiche e di accettazione della legalità, rinunciando ad ogni pratica o tradizione religiosa in contrasto con essa.

Se questo islam democratico, moderato e rispettoso della società in cui vuole vivere e che lo ospita, esiste veramente, si faccia avanti, non soltanto per qualche sterile e poco partecipata manifestazione di condanna postuma, ma facendo scelte precise, chiare, coraggiose e soprattutto senza ambiguità. E se esiste davvero un’amministrazione comunale lungimirante che si pone realmente il tema della sostenibilità dell’islam per la nostra comunità, allora affronti la sfida senza ipocrisie.

* Consigliere regionale della Lega Nord 

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Redazione BsNews.it

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