La Tav rimane un’opera al centro delle polemiche (e non solo). Ma nel frattempo il sistema Brescia una prima vittoria l’ha avuta. “Lavorando uniti i risultati arrivano ed esser passati dalle sette cave di prestito previste a una soltanto, da 230 ettari a 34, è un risultato eclatante ottenuto grazie agli sforzi congiunti di tutti gli attori del territorio ed è un percorso che dobbiamo continuare”. Con queste parole la responsabile del settore Cave di Aib Daniela Grandi ha commentato il successo ottenuto nelle scorse settimane sul fronte della questione delle nuove cave di prestito previste da Cepav2 per la realizzazione dell’opera.
Cepav2 aveva annunciato infatti di voler aprire sei nuove cave di estrazione per estrarre 11 milioni di metri cubi di “riempitivo”. Ma Aib era insorta chiedendo di istituire un tavolo di confronto nel quale “verificare le nostre proposte: atte ad ottimizzare i costi dell’opera, creare indotto sul territorio bresciano e, non per ultimo minimizzare l’impatto ambientale dell’infrastruttura”. Tanto più alla luce del fatto che il danno economico per le imprese bresciane sarebbe stato evidente, dato che le nuove cave sarebbero state “contigue a cave già attive e momentaneamente sottoutilizzate a causa delle crisi edilizia”.
Il tavolo è partito. E il coro di no seguito a quello di Aib è stato unanime: contro le cave di prestito si sono schierate infatti le amministrazioni locali interessate, gli ambientalisti e il Pirellone con una mozione – bipartisan – che ha sancito la contrarietà alle cave di prestito (sottolineando che “il piano cave provinciale è in grado di rispondere alle necessità dei cantieri dell’opera”). Un pressing – per una volta condiviso da tutta la società bresciana – che ha funzionato e che ha convinto Cepav2 a ridimensionare notevolmente l’impatto dell’opera sul territorio della Leonessa.
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