(a.marsigalia) La Lonati Spa il mercato estero mondiale lo ha già conquistato da anni, esportando fino al 92% della propria produzione. Non si tratta di una scelta dettata dalla crisi, ma di una direzione consapevole che l’azienda ha intrapreso 30 anni fa. “Abbiamo iniziato con la prima fiera del tessile a Manchester a farci conoscere e da lì abbiamo iniziato a esportare le nostre macchine”, ricorda Ettore Lonati, Presidente del gruppo. Il primo mercato è stato quello Europeo, poi, tra gli anni ’70 e ’80 sono arrivati gli Stati Uniti e infine, negli anni ’90 i mercati asiatici come Cina, Pakistan, Indonesia, Bangladesh. Con le macchine per la produzione di calze da donna la Lonati ha il 99% del mercato mondiale, con quelle per produrre calze da uomo il 60-65%. Anche l’azienda Santoni Seamless, creata da Tiberio Lonati, esporta il 60% della produzione e ottimi risultati sui mercati internazionali sta facendo anche il ramo, nato 10 anni fa, delle macchine atte a produrre calze medicali.

Su cosa bisogna puntare per esportare con successo?
Bisogna avere un prodotto che possa competere sui mercati internazionali. Ci vuole grande innovazione, prodotti sempre nuovi e tecnologicamente più avanzati degli altri.

Il prezzo incide?
Su quello bisogna fare delle valutazioni: vanno ridotti i costi di produzione per mantenere prezzi adeguati se ci sono molti competitori. Se invece si creano macchinari unici si possono dettare migliori condizioni.

Ha parlato di innovazione: quanto investite sulla ricerca?
Moltissimo: abbiamo circa una quarantina di persone che fanno solo questo, ricerca e sviluppo.

Come è strutturata la vostra rete internazionale?
In ogni Paese abbiamo uno o più agenti del posto, e un marketing manager per ogni area specifica. Il mercato va studiato, capito: va cercato qualcuno in loco che sia già del settore e poi puntare sul cliente più importante in quel mercato. Una volta conquistato quello le porte si aprono, come è successo a noi in Usa. Abbiamo corteggiato il maggior produttore per 10 anni e una volta che è diventato nostro cliente la strada è stata in discesa.

La crisi nazionale per voi cosa ha significato?
Un momento di stasi passeggera nel 2009, ma poi il mercato è ripartito alla grande. La Cina ha avuto un calo, mentre sono risorti gli Stati Uniti, dopo che Obama ha varato una legge che dava incentivi a coloro che fossero tornati negli Usa a produrre. Il mercato americano è così tornato florido e non solo abbiamo aumentato la produzione e siamo ripartiti, ma abbiamo fatto lavorare diversi interinali per far fronte alle richieste.

Oltre agli Usa quali mercati oggi sono più appetibili?
Per il nostro settore quelli asiatici. Non tanto la Cina, ma Bangladesh, Thailandia e recentemente Vietnam. Anche l’Indonesia sta diventando un mercato molto interessante. Buono anche Sudamerica, come Argentina, Cile, Brasile e Ecuador: non grandi ordini, ma costanti.

E l’Europa?
Non sta bene: fanno la parte dei leoni i Turchi con le macchine per calze da uomo e gli Italiani, ma solo alcuni grandi gruppi, con quelle per  le calze da donna. Il mercato europeo resta comunque scarno: se avessimo solo quello ci basterebbe lavorare un solo giorno al mese per soddisfarlo.

L’Italia è a un punto di non ritorno?
Dispiace dirlo, ma a parte i tre grandi e qualche produzione di nicchia, la fotografia italiana nel campo della produzione tessile è poco promettente. La ripresa è possibile solo attraverso un grande cambiamento: è essenziale che questo Governo faccia realmente qualcosa in campo di tasse e di lavoro. Eppure vedo che continuano a parlare dell’articolo 18, come se fosse quello il nodo centrale. Che vantaggio ha un imprenditore a licenziare un bravo operaio? Nessuno. E quindi si vada oltre.

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Redazione BsNews.it

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