Articolo 2043 del Codice Civile «ogni soggetto è tenuto a reintegrare il danno che abbia cagionato con il proprio comportamento». Questo il punto chiave utilizzato dai giudici del Tar nella sentenza che ieri ha sancito l’obbligo per l’azienda di via Milano di bonificare falde, acque superficiali e terreno contaminati dalle lavorazioni effettuate in fabbrica durante tutti gli anni di attività.
Una sentenza per certi versi storica, un giro di boa che inchioda l’azienda alle proprie responsabilità. Gli avvocati della Caffaro sono ricorsi al Tribunale Amministrativo Regionale per contestare molte delle prescrizioni ed ordinanze emesse dal Comune di Brescia e dai vari tavoli tecnici attivati in seguito all’accertamento del danno ambientale (ricordiamo che nel 2003 il sito inquinato da Pcb nell’area urbana è stato inserito tra quelli di rilevanza nazionale). Bene, i giudici del Tar, presidente Giuseppe Petruzzelli, consigliere Sergio Conti, referendario estensore Carmine Russo, hanno respinto punto su punto i ricorsi della Caffaro, stabilendo tra l’altro che dovrà essere l’azienda a bonificare le rogge, con aportazione di sedime che va contestualmente trattato, il parco Calvesi e quello di via Passo Gavia e le falde acquifere (i cui livelli dovranno contestualmente essere innalzati). I giudici hanno stabilito che la mappatura dell’area inquinata, contestata dagli avvocati dell’azienda, è corretta, e che il monitoraggio e l’analisi del rischio ambientale e per la salute umana delle acque delle rogge e delle falde spetterà all’azienda. Cosa succederà ora? La Caffaro è molto probabile che ricorra al Consiglio di Stato.
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