E’ fresco di stampa il nuovo libro dell’associazione Cicolo dei papaveri. In “quattordici minuti”, il giornalista bresciano Camillo Facchini racconta l’altra storia – le storie – del quartiere più popolare di Brescia.
Storie minime? O Grandi storie? Dipende dall’ottica con cui le si guarda: storie minime se rapportate al tempo in cui si erano generate, grandi storie osservando il nichilismo diffuso di oggi in cui tutto viene “tritato” e nulla ha più valore.
Si muove tra queste due domande “C’era una volta quel Carmine”, pubblicato nella collana “I minuti” del Circolo dei papaveri editore, una raccolta di racconti che Camillo Facchini, giornalista bresciano, aveva raccolto molti anni fa e che ora sono diventate un ‘libricino’, diminutivo quasi obbligatorio perché tutto sta in quattordici pagine che si leggono in quattordici minuti.
Storie minime di un quartiere che non è più come una volta, minime perché scritte da gente comune e non da eroi. Anche se chi quotidianamente combatteva con la fame, il freddo e gli stenti a suo modo qualcosa di eroico aveva dentro di sé: eroica era la levatrice che le notti d’inverno lasciava la casa per andare ad aiutare le purpere; eroica era la signora Fleride della trattoria Mentana; eroiche erano le donne che andavano alle Mase a lavare ogni mattina i panni con l’acqua gelida.
Birboni invece erano i ladri di biciclette, i furbi per necessità di cui il vecchio Carmine era zeppo come il patuner che per scaldarsi i piedi d’inverno li metteva nel bacile dell’acqua tiepida, che poi avrebbe usato per impastare la pattona. O castagnaccio, dessert recuperato oggi, prelibata squisitezza in anni innocui non c’era nulla e la farina di castagne era un premio.
Si muove in questi spazi il racconto di Camillo Facchini, per trent’anni giornalista del Giornale di Brescia, a lungo corrispondente del Corriere della sera da Brescia poi collaboratore de Il Sole 24 ore e che oggi si occupa d’altro.
Dice l’autore: “Ovviamente nessuna pretesa letteraria siamo nati cronisti, moriremo (tra duecento anni naturalmente) cronisti: ed allora ho voluto regalare, come avrebbero detto una volta in redazione, due colonne in cronaca, ovvero dar spazio al piccolo. Che, al Carmine, molto spesso era briccone ma altrettanto spesso sapeva esser anche altamente buono”.
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