La sconfitta di Berlusconi: “E’ la democrazia, bellezza”

Ancora una volta nessuno l’aveva previsto. Il bello della democrazia, come nel calcio, sono le continue sorprese. La parafrasi della battuta finale di Humphrey Bogart  (“E’ la stampa, bellezza”) nel famoso film degli anni Cinquanta  si  può attagliare perfettamente, ancorchè  convenzionalmente, all’imprevisto esito delle elezioni amministrative. Con una peculiarità che tutti, destra e sinistra, rimuovono: l’astensionismo è  il primo “partito apolitico” nazionale. Al punto che  la sua riconquista sarà lunga e difficile. Ma possibile.

Occorre puntare su una democrazia matura e sicura di sè. In tale prospettiva il civismo (liste civiche) e il trasversalismo (osmosi o passaggio dall’uno all’altro campo)  saranno le armi più efficaci per battere e recuperare l’astensionismo (il disgusto, non solo il rifiuto, della attuale “partitica”, più che della politica tout court).  E’ questa la prima lezione da trarre dal risultato delle ultime elezioni. Una rottura non solo col passato remoto ma anche con quello prossimo della nostra tradizione politica. E una lezione sulla quale riflettere. Più che un merito dell’opposizione, siamo di fronte a un demerito di Berlusconi. E’ vero che le due cose sono in relazione diretta ed eziologica (causale), ma è anche vero che ha vinto il rigetto contro il Cavaliere, ossia  la condanna e il rifiuto dei suoi eccessi  egoici  e personalistici:  ossessivi, possessivi e compulsivi. Ecco perché  contro la politica della  licenza quale  “possesso”  occorre passare alla politica della decenza  come  “processo”, quindi come  progetto e progresso. Sta nascendo un “partitismo apolitico”? O meglio, una  nuova “politica apartitica”? Ci si passi l’ossimoro, ma il primo “partito apolitico” nazionale è ormai  l’astensionismo, che nelle ultime elezioni amministrative ha raggiunto il 50% degli elettori, una dimensione mai vista in passato, nemmeno nei momenti più bui della storia repubblicana. Di chi la colpa? Del “sistema politico” in quanto tale? Ma ogni sistema ha una nomenclatura di partiti e di persone. Ecco perché il “civismo”, inteso come movimento  delle liste civiche locali, può essere una risposta credibile  (non  esclusiva né risolutiva bensì decisiva) al declino della politica (pardon, della “partitica”).  A condizione che si saldi al “trasversalismo”, ovvero il superamento della separazione tra destra e sinistra. Ebbene, possiamo dire di essere alla vigilia della rimozione della dicotomia novecentesca  tra “destra” e “sinistra”? Una lettura obiettiva dei risultati elettorali evidenzia  tre fenomeni convergenti e concomitanti. Il primo è l’astensionismo, che ha raggiunto il 50% degli elettori facendone di gran lunga il primo “partito apolitico” nazionale; il secondo è il tendenziale superamento della obsoleta separazione novecentista tra “destra” e “sinistra” con la conseguente apparizione di un nascente “trasversalismo”  che potremmo definire “palindromico”,  da destra a sinistra e viceversa, e una osmosi  (passaggio) di  idee e persino ideali dall’uno all’altro campo; il terzo è il civismo, ossia le liste civiche, quale risposta non esclusiva ma decisiva contro il degrado (e quindi  disgusto e disprezzo) della politica.       

La sconfitta di Berlusconi va letta a diversi livelli. Il primo è personale   e comportamentale, il secondo è politico e istituzionale.  Sul piano personale, i ripetuti  e reiterati scandali sessuali della vita privata del Cavaliere, con l’ostentazione non solo di ricchezza ma anche  di lusso gratuito e di inutile spreco distribuiti a piene mani in un momento di crisi dell’economia e impoverimento crescente della popolazione, hanno sedimentato – al di là del “puritanesimo moralistico” evocato da Giuliano Ferrara – sordi malumori e diffuse quanto profonde riprovazioni  che sono affiorate nel voto. Sul piano comportamentale, inoltre, non ha giovato a Berlusconi la sua crescente parossistica “ipertrofia egoica”, il suo straripante irrefrenabile incontenibile narcisismo, il patologico e francamente eccessivo (ossessivo e compulsivo) culto di sé, divenuto cieco “culto della personalità” da parte dei suoi fedelissimi. Con la conseguente assurda e rischiosissima personalizzazione della contesa elettorale e la implicita richiesta di  un referendum sulla sua persona, come se lui fosse il centro dell’universo o l’ombelico del mondo. Un comportamento che va sotto il nome di “sindrome” o meglio “delirio” di onnipotenza, una patologia che coglie persone altrimenti intelligenti e geniali, come Berlusconi in diversi momenti e occasioni ha dimostrato peraltro di essere.  Si veda il bipolarismo, la più importante riforma del sistema parlamentare italiano, e la conversione del qualunquismo alla politica con l’assunzione di funzioni e responsabilità governative.  Per inciso, il delirio di onnipotenza è una piega subdola  e una china suicida che colgono sempre,  sia pure in  forme e gradi  differenti, non solo i dittatori o i despoti ma anche gli autocrati pur democraticamente eletti e gli autoritari pur democraticamente “eretti” , a qualunque colore o ideologia  appartengano, sia conservatrice o moderata che riformista o progressista.

Sul piano politico e istituzionale c’è l’altro gigantesco macigno che ha pesato sul risultato elettorale. Intendiamo la patologica esasperazione del Cavaliere  contro la magistratura, in particolare i magistrati che per competenza territoriale o materiale sono obbligatoriamente chiamati a indagare sulle notizie di reato relative alla sua persona.  Una “coazione a ripetere” che lo ha spinto persino alla famosa e autolesionistica esternazione davanti a Barack Obama nel corso dell’ultimo G8. Una irrituale e deprecabile uscita che, oltre a rivelarsi pateticamente querula per il modo con cui è stata espressa, ha ulteriormente danneggiato Berlusconi e le liste da lui rappresentate, in particolare Milano.  Sempre sul piano della dignità e credibilità  istituzionale, hanno nuociuto al centro-destra anche il dilettantismo politico manifestato nella guerra di Libia e le incongruenze sull’emergenza  immigrati.  Insomma, non ci si può meravigliare, visti i suddetti precedenti, di reazioni emotive come quella di Bossi (“Con Berlusconi si perde”). L’eccessiva polarizzazione e radicalizzazione (leggi politicizzazione e personalizzazione) della contesa elettorale si sono rivelati un sonoro boomerang. La cosa sconcertante è che la Destra al ballottaggio, lungi dal cambiare atteggiamento, lo ha ulteriormente aggravato accentuando la deriva personalistica, populistica e plebiscitaria. Una lunga stagione sembra dunque al tramonto, mentre la nuova non è vicina ma, forse, non è più così lontana come appariva fino a ieri. Attenzione: la nuova stagione per essere tale deve costituire davvero una novità, una rottura radicale e irreversibile col passato (da noi tutto passa ma tutto ritorna). Non solo quello remoto ma pure quello prossimo. E la principale rottura, madre di tutte le altre, è, ripetiamo, il superamento della distinzione manichea tra destra e sinistra. Superamento difficile, in particolare per la generazione adulta cresciuta storicamente all’ombra di tale separazione, ma non impossibile. Il civismo è figlio di tale superamento, e il trasversalismo ne è la conseguenza diretta.  Civismo e trasversalismo sono e saranno, oltre al punto più alto di una democrazia finalmente matura e sicura di sé, le armi più efficaci per battere e recuperare l’astensionismo.  

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Redazione BsNews.it

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