Una gloriosa carriera, di corridore prima e di team manger poi, che si conclude amaramente. Un’onta difficile da accettare, che lascerà dietro di se tanti rimpianti. La carriera di team manager di Bruno Leali è giunta al traguardo finale. Un traguardo triste però, che coincide con la squalifica a vita in seguito all’inchiesta sul doping partita un anno fa durante il giro dilettanti.
Ieri il Tribunale Nazionale Antidoping di Roma, presieduto da Francesco Plotino, ha confermato la squalifica a vita, interrompendo per sempre l’attività di Leali. I fatti contestati risalgono al 10 giugno 2010: i Nas durante un sopralluogo nelle stanze d’albergo e nelle abitazioni dove dormivano i corridori della Lucchini-Unidelta-Ecovalsabbia, guidata da Leali, scoprirono la presenza di sostanze dopanti. Fu immediata la sospensione dalle corse, è ora irrevocabile la squalifica a vita. Due anni la squalifica invece ai ciclisti Luca Benedetti ed Emanuele Moschen.
E’ la fine di una carriera? Da tem manager o direttore sportivo sì, senza dubbio. Ma riesce difficile pensare a Bruno Leali lontano della corse che sono state la sua vita per 40 anni, da professionista ciclista e dirigente poi. Certo, avrebbe dovuto pensarci prima. In fondo queste sono le azioni che rovinano lo sport per cui Leali ha vissuto fin’ora.
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