Le perplessità della Procura: “Elementi non idonei a chiedere il giudizio, ma uso aziendalistico e sprovveduto. Scarsa austerità nel qualificare d’interesse pubblico spese non essenziali”

Niente dolo, nessuna volontà di appropriarsi di denaro pubblico, ma leggerezza e disinvoltura sì. Per la procura della Repubblica di Brescia non ci sono gli estremi per un rinvio a giudizio della giunta comunale sulla vicenda carte di credito (“gli elementi raccolti sono giudicati “non idonei a sostenere utilmente l’accusa in giudizio”). Per questo è stata chiesta l’archiviazione.Ma per nelle 5 pagine che raccolgono le motivazioni della richiesta il pm Silvia Bonardi esprime “più di una perplessità”. Innanzitutto se manca il dolo appropriativo, cosa diversa è per il dolo erariale: le condotte degli indagati sono infatti ritenute “rilevanti sotto il profilo del danno erariale” ma “non sono state realizzate al deliberato scopo di appropriarsi delle risorse pubbliche”. Per la procura la vicenda è poi “paradigmatica di un modello di gestione della cosa pubblica fortemente influenzato dall’importazione di metodologie aziendalistiche”.

Il pm, in sostanza, si chiede perché le “riunioni prodromiche alle sedute istituzionali non potessero tenersi in ufficio anziché al tavolo di un ristorante”. Perché gli incontri con la stampa “non si limitassero alle conferenze indette quotidianamente dal Comune”, perché “non si potesse procrastinare l’inserimento dell’allarme negli assessorati in caso di riunioni che si protraevano oltre l’orario di chiusura”. Perplessità anche per le giustificazioni degli assessori, giudicate “alquanto sprovvedute per provenire da soggetti che governano una delle città più importanti del Paese”; per il pm sindaco e assessori hanno mostrato “disattenzione nel momento in cui capire bene entro che limiti le carte di credito potessero essere utilizzate” (molti assessori hanno detto di non aver capito bene le specifiche che ne regolano l’uso) oltre che “una scarsa austerità nel qualificare d’interesse pubblico spese forse non essenziali”. Dubbi amplificati da alcune posizioni singolari, come la giustificazione fornita da Di Mezza: nei palazzi comunali non c’è la riservatezza necessaria. “Difficile anche comprendere in che modo – si legge nelle motivazioni – il prestigio del Comune sia stato accresciuto dal pagamento da parte di Nicola Orto di centinaia di aperitivi ai ragazzi della campagna Brindo con prudenza”.

L’ultima stoccata della Procura è infine per gli uffici comunali preposti ai controlli sull’utilizzo delle carte: “Il loro mancato esercizio – scrive il pm – ha finito con il confermare la sostanziale buona fede degli indagati che hanno ritenuto le spese d’interesse per l’Ente, ma anche formalmente eseguibili con quelle modalità di pagamento”.

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Redazione BsNews.it

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