(da.bac.) – Altro che ripresa alle porte. La crisi economica picchia ancora duro e artigiani e piccoli imprenditori devono fare i salti mortali per non chiudere le loro attività. A volte ci riescono, altre, purtroppo, no. La fotografia, impietosa, è quella di Enrico Mattinzoli, presidente dell’Associazione Artigiani di Brescia. Dal suo osservatorio registra ormai da un paio d’anni una “situazione drammatica, destinata a peggiorare. L’accenno di ripresa di qualche mese fa” spiega “non è stato altro che un parziale recupero delle scorte. Abbiamo assistito ai famosi sbalzi keynesiani, vale a dire al ripristino minimo dei magazzini. Nulla di più. Qualcuno si era illuso, io no”.

L’export ha però registrato segnali incoraggianti

La metà di quello che esportiamo, lo esportiamo in Germania. Una Germania che corre e che ha trascinato anche le imprese italiane. Ma è tutto qui. Noi, come associazione, elaboriamo i cedolini paga di alcuni nostri associati per un totale di circa 4mila dipendenti: gli ordini non vanno oltre le due settimane di lavoro, nei tempi d’oro si parlava di sei-otto mesi per la meccanica e tre per i servizi. Questo vuol dire che non c’è futuro, non c’è prospettiva, non c’è la possibilità di programmare. La situazione è drammatica ed è destinata a peggiorare. Chi dice che le cose vanno meglio non so dove prenda i dati. Vorrei che venisse qui e parlasse con i nostri associati: alcuni non si vedono più, hanno chiuso, gli altri mi dicono che se si va avanti così chiuderanno presto. La meccanica e l’edilizia – che sono le attività portanti di Brescia, Bergamo e Milano – sono ferme.

Nessuno spiraglio?

No, nessuno. Per questo avevo proposto la cassa integrazione anche per gli artigiani. Un pittore, un muratore o un calzolaio che resta senza lavoro rischia di morire di fame se non si è messo via due soldi. Ogni giorno vedo persone che hanno dovuto vendere tutto, casa compresa.

Se questo è il quadro, cosa si può fare?

Il vero dramma è che il mondo politico è assente. Le piccole imprese ce la stanno mettendo tutta, soprattutto per non licenziare, per tenere aperto, per investire e innovare. Ma la domanda è: quanto si potrà andare avanti così?

Il governo l’ha delusa?

Diciamo che non c’è la percezione esatta della gravità della situazione. Se è vero che le condizioni economiche non hanno permesso di ammodernare il Paese, è altrettanto vero che senza le imprese non si creano ricchezza, sviluppo e occupazione. Non c’è altra via d’uscita. Tremonti ha garantito la tenuta dei conti. Ha agito da buon ragioniere. Ma non basta chiudere i rubinetti della spesa, bisogna stimolare l’economia. Le parole d’ordine restano sempre quelle: semplificare e ammodernare.

E non lo si è fatto?

No, e la delusione viene dall’avere creato l’illusione che l’Italia potesse cambiare. La riforma del fisco è una cosa che tutti si aspettavano: ad ogni riunione o assemblea i nostri artigiani ce lo ricordano, in dialetto. “I gaia dit che i diminuia le tase…, invece paghom de piò”. La riforma Brunetta? Non è vero che quando si ammala un lavoratore basta un mail del medico curante all’Inps, invece della raccomandata. Non è così, checché ne dica il ministro. E’ lì dove la gente su sente presa in giro.

Una misura da mettere subito in campo?

Non c’è nulla da inventare. Basta copiare i tedeschi che stanno crescendo al 4% (4 volte l’Italia!): hanno portato l’Iva dal 15 al 19%, parallelamente hanno diminuito il costo del lavoro per le aziende e in busta paga i dipendenti si sono ritrovati più soldi, dai 200 ai 400 euro. Così si è rimessa in moto l’economia, si è data fiducia al mercato. In Germania c’è euforia, qui c’è calma piatta. È anche una questione psicologia, così l’impresa non investe.

Anche le imprese però hanno le loro responsabilità. Mesi fa il patto di Capranica sembrava la panacea per la rappresentanza delle Pmi, non se ne è saputo più nulla

Perché si è trattato di un’operazione di facciata che nel concreto non ha dato alcun risultato. Purtroppo anche a livello bresciano si è legati a vecchi schemi e si preferisce lasciare tutto com’è piuttosto che perdere spazi di potere. Ma per le Pmi non c’è futuro se non ci si aggrega. E’ quello che vuole la base: i piccoli artigiani ci chiedono, “ma è possibile che ci siano quattro associazioni artigiane? Tre per l’agricoltura?”. L’ho già detto e lo ripeto: io mi chiamo fuori. Non ho ambizioni, non è questo il problema. Ma il mio sogno è un’unica organizzazione che rappresenti l’industria e l’artigianato. Anche confluire in Confindustria non mi creerebbe problemi così come essere rappresentato da Dallera. In Aib c’è già lo spazio per la Piccola impresa: le necessità e i problemi sono comuni. Spezzettare la rappresentanza ci rende più deboli. È finito il periodo delle piccole associazioni di categoria, la parola d’ordine è aggregare.

Condivide il duro giudizio di Dallera sul mondo politico, nazionale e locale?

Sì, anche se non voglio generalizzare. Purtroppo mancano qualità e competenze. C’è gente che se non facesse politica non metterebbe insieme il pranzo con la cena. Sulla Loggia, ho grande stima di Paroli. Può essere un grande sindaco ma deve dare una ritoccata alla sua squadra o, meglio, “squadretta”. Certo, il peso determinante della Lega lo condiziona, ma chi lo conosce sa che sulle questioni importanti Paroli non delega e non si fa condizionare. Anche Molgora potrebbe fare bene con una squadra migliore.

Ha dato alcuni giudizi severi sulla “politica”, ma in fondo anche lei è un politico

Lo sono stato. Nel 2002 Saglia mi chiese se ero disponibile – come tecnico – ad entrare in Broletto. Sono stato chiamato in Provincia come rappresentante del mondo economico. Al tempo mi occupavo di energia, economia, rifiuti: e questo ho fatto. Ma potrei dire che è stata una parentesi tant’è che oggi non ho alcun incarico politico nonostante abbia ricevuto molte proposte.

Quindi mai più in prima linea?

Il mio posto è nel centro destra e nel Pdl, non certo con Fini, anche se certe spinte correntizie non mi sono piaciute. Però potrei anche essere interessato a un serio progetto alternativo. Io come tanti imprenditori di Brescia. Oggi non c’è, ma se si costituisse una lobby delle imprese potrei prender parte al progetto.

Ovvero?

Mi interessa quello che sta facendo Montezemolo. Io penso che qualcosa potrebbe partire anche da Brescia: la fusione delle organizzazioni di categoria, che è il sogno a cui accennavo prima, potrebbe avere anche una declinazione politica in grado di allargarsi a livello lombardo prima e nazionale poi. Si tratta di un mio vecchio pallino, un progetto per l’Italia che produce. Oggi i piccoli imprenditori sono disincantati, molti non andranno a votare; un’aggregazione di questo tipo avrebbe un consenso spaventoso. 

 

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Redazione BsNews.it

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