di Federica Papetti – Giovanni Valenti è stato per quasi dieci anni il consulente per le politiche migratorie della Loggia e oggi collabora con la Cgil e la Fondazione Piccini.  L’Ufficio stranieri, una delle creature di Valenti, smantellato dalla nuova Giunta, nell’era Corsini ha rappresentato il punto di riferimento delle strategie d’inclusione in città, un modello lodato anche all’estero che ha impedito l’esacerbazione del conflitto sociale in una città dove gli immigrati sono in continuo aumento.

 

Signor Valenti lei studia e si confronta da anni con il fenomeno dell’immigrazione. Che giudizio si è fatto della drammatica contestazione degli immigrati sulla gru a Brescia?

 

Innanzitutto quella protesta è frutto di politiche migratorie costruite su dinamiche che non tengono conto della realtà del sistema Paese. Le attuali normative e, non mi riferisco solo alla sanatoria per colf e badanti ma anche al decreto flussi, non tengono conto della realtà. Su questo tema vige un approccio ideologico visto che il mercato italiano continua a chiedere manodopera, in questo periodo soprattutto medio-bassa, e trova risposte parziali. Con le limitazioni della Bossi – Fini si crea scientemente il lavoro sommerso che in Italia si stima rappresenti un terzo del Pil. La protesta sulla gru ne diviene, quindi, un sintomo patologico.

In secondo luogo i continui atti persecutori messi in campo dalle Amministrazioni sia locali che nazionali non fanno che esasperare il disagio presente. Il sistema che vige oggi in Italia era l’approccio utilizzato in Europa negli anni Sessanta, oggi abbandonato perché non risponde più alla complessità della società contemporanea. Possiamo dire che in Italia persiste un approccio lavoristico all’immigrazione, ossia l’immigrato visto come pura manodopera e non come cittadino con dei diritti, non come famiglie da includere nel tessuto sociale e questo nonostante la retorica di chi amministra.

 

Secondo lei quella protesta è stata strumentalizzata dall’associazione "Diritti per tutti"?

 

Per potere strumentalizzare una protesta bisogna avere degli obiettivi ben chiari. Io penso invece, che esistesse una predisposizione ad atteggiamenti di ribellione in quelle comunità protagoniste della protesta sulla gru, un sentimento che quando scatta trova una spalla in chi ovviamente contesta il modo più radicale. Ma va sottolineato come non tutte le comunità abbiano partecipato alla vicenda. Sotto la gru in quei giorni, per esempio, non si sono visti, i rumeni, una comunità di certo non percepita come mite rispetto alle altre, mancavano tutti gli immigrati dell’Est, i filippini. Diciamo che c’era una fetta di immigrazione più arrabbiata.

 

Perché?

 

Da un lato è una questione di numeri: quelle comunità che hanno partecipato alla lotta sono le più numerose e da loro provengono la maggior parte delle richieste. Sono le comunità dalle quali si evidenzia una maggiore dinamicità dal punto di vista della crescita numerica, di fatto sono anche quelli che hanno subito il maggior numero di truffe. Perché è doveroso constatate che i raggiri ci sono stati  e non solo da parte degli italiani, ma anche tra di loro. Esistono filiere che approfittano dei momenti di sanatoria rivelando criticità di coesione sociale anche all’interno della stessa comunità. Inoltre, nel loro lavoro quotidiano le associazioni bresciane, i sindacati o i partiti aggregano immigrati di diversa nazionalità con una modalità che riflette un po’ anche la reciproca affinità. Mi spiego meglio, esistono comunità più moderate che probabilmente sono maggiormente vicine alla Diocesi. La vicenda della gru deve quindi essere letta come una protesta, ma sicuramente come evento parziale di una componente dell’immigrazione.

 

Come giudica il comportamento tenuto dalle Istituzioni cittadine in quelle due settimane?

 

Anche in Germania i Governi locali o nazionali stanno dalla parte della Norma e vogliono che sia rispettata, ma nello stesso tempo cercano di non radicalizzare il conflitto. Ciò che conta è anche la modalità con la quale viene fatta rispettare la Norma: esiste un modo che crea condivisione ed un altro che realizza rotture.

Quando le Istituzioni sono deboli e prive di autorevolezza preferiscono utilizzare il manganello e non mi riferisco solo agli immigrati, basta vedere quello che sta accadendo nelle piazze con gli studenti. Ecco anche a Brescia si è preferita la rottura al dialogo.

 

Cosa ne pensa delle nuove ordinanze anti – ghetto presentate dalla Loggia?

 

Guardi le dico solo che spesso quando torno da Roma con il treno che arriva in stazione a Brescia alle 22.00 e vorrei bere un caffè non so dove andare perché a quell’ora è già tutto chiuso. Ma quel tipo di provvedimenti senza senso sono l’ennesimo atto nei confronti degli immigrati. E dico senza senso perché che a Monaco fosse diffusa la mafia italiana è noto, ma il Governo non si è mai sognato di far chiudere prima le pizzerie. Inoltre con il nuovo pacchetto sicurezza le varie ordinanze dei sindaci, atti che dovrebbero essere emanati in costanza di indifferibilità ed urgenza, dovranno prima essere valutati tramite un’ istruttoria anche dal Prefetto. Segno che, perfino il ministro Maroni, si è accorto di un uso disinvolto di tale strumento da parte dei sindaci che  qui si sentono i “podestà” o i “duchi” del territorio solo perché sono stati leletti. Del resto anche Una, il dipartimento che si occupa di discriminazione ed è costituito in seno al Ministero delle Pari opportunità, con Mara Carfagna ha  già messo in guardia dall’atteggiamento discriminatorio contenuto in questi atti provenienti soprattutto da molti comuni bresciani.

 

So che non può avere la palla di vetro, ma lei come crede si possa evolvere la realtà bresciana rispetto all’immigrazione?

 

Brescia ha dimostrato la propria incapacità a gestire l’inclusione sociale.  I nostri amministratori, a differenza di altri di centro destra come a Cremona o a Prato, hanno voluto distruggere ciò che era stato creato in questo ambito in più di venti anni. Hanno agito come se dovessero vendicarsi. Ora non esiste nulla di innovativo, ma la Loggia delega queste politiche alla carità di varie associazioni senza assumersi il ruolo guida di un processo.

 

Ci saranno altre gru?

 

Se fossimo in Francia dove l’immigrazione conta molte seconde generazioni forti e consapevoli un episodio come la gru e, dopo pochi giorni, la morte di un immigrato in carcere avrebbero già scatenato la guerriglia urbana . Segno che a Brescia si sta ancora vivendo un po’ di rendita sugli elementi di coesione messi in campo nel passato. Ciò che spiace e vedere come gli attuali amministratori abbiano buttato al macero venti anni di convivenza della città. Sarà comunque la storia che li giudicherà.

   

 

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Redazione BsNews.it

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