di Renato Borsoni – Nei miei frequenti andirivieni tra Brescia e Udine, con la consueta sosta gastronomica a S. Stino di Livenza dove una cortese piccola signora in una confortevole trattoria cucina un baccalà che a me sembra ottimo , mi capita, se le giornate sono belle, di farmi guidare nellinterno del Friuli: terre molto belle, riservatamente appartate, con centri storici ben conservati e ben vissuti e che ostentano negli interni grandi focolari non solamente simbolici. Recentemente abbiamo visitato Venzone, una tappa significativa per il terremoto del 76. Quasi trentacinque anni dopo il sisma nulla traspare più di quei giorni tremendi: la cittadina ha ripreso il suo respiro quotidiano e forse soltanto la cattedrale ricostruita quasi per intero mostra i segni del rifacimento che avranno bisogno ancora di molto tempo per rivestirsi delle patine che amiamo nei monumenti del passato. A Venzone cè una mostra (si intitola in modo suggestivo Terrae motus) che illustra con strumenti visivi aggiornatissimi, un percorso coinvolgente e grafici di bella qualità, oltre limpressionante violenza del fatto naturale e le sue conseguenze sulla vita della comunità, liter della ricostruzione. In questi tempi in cui il terremoto dellAquila, dopo quasi un anno, invade ancora i mezzi di comunicazione tra polemiche infinite, spettacolarizzazioni senza freno, politici nazionali che ostentano solo il già fatto con il casco e il giubbotto da eroe delle macerie, e la gente del luogo tra un presente indecifrabile e un futuro senza prospettive, inviterei tutti a visitare la mostra di Venzone: dove la ricostruzione ha avuto una storia di responsabilità condivise tra pubblico e privato, dove il commissario seguendo leggi ad hoc era responsabile soprattutto del coordinamento, dove i sindaci erano protagonisti, dove comunque la popolazione è stata coinvolta dalle prime fasi di solidarietà fino ai progetti a lunga scadenza. Oggi i responsabili a tutti i livelli, soprattutto a quelli più alti, ricordino che stanno semplicemente facendo il loro dovere. E magari, facciano un salto anche in Umbria: dove le 80.000 case danneggiate dopo dieci anni erano tutte nuovamente abitate, i palazzi restaurati, le chiese restituite al culto. Senza troppi clamori, senza tagli di nastri da mostrare in tv (che se poi fosse accertato solo in parte quel che si vede e si legge in questi giorni ).
DA IL QUOTIDIANO IL BRESCIA – FEBBRAIO/MARZO 2010
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