Urbanistica: la passione per la città

Non poteva mancare nel percorso di analisi intrapreso l’incontro con il prof. arch. Luciano Lussignoli urbanista libero professionista,docente di Urbanistica al Politecnico di Milano.

Come come giudica il rapporto tra urbanistica e cittadini ?

Perché appassionarsi di urbanistica?

Bella domanda! Credo che architetti, imprenditori, amministratori, cittadini, darebbero risposte diverse. Io spero però che esista un motivo comune a tutte queste categorie di persone e cioè che l’urbanistica si occupa della costruzione della casa comune (la città e il territorio). I maestri del Movimento Moderno scrissero nel 1933 nella Carta d’Atene, che rappresentò lo statuto del movimento, che “la città deve assicurare sul piano spirituale e materiale la libertà individuale e i benefici dell\’azione collettiva” e questo è un tema che tocca tutti.

Quando mi ritrovo a parlare di urbanistica ai non addetti ai lavori spesso quasi sempre mi trovo davanti ad un rifiuto a proseguire sull’argomento,quasi si trattasse di cosa di nessun interesse o addirittura “sconveniente”. Secondo Lei da cosa dipende??

Credo che ciò sia dovuto al fatto che è una disciplina poco conosciuta nella sua reale natura. La maggior parte delle persone crede che l’urbanistica interessi solo ai “costruttori”; sia cioè una “cosa” che serve per ottenere i permessi per costruire e niente di più. Se ci guardiamo attorno, cioè guardiamo la produzione urbanistica,  sembra purtroppo che così la pensino anche molti colleghi e molti amministratori pubblici.

Nella gestione quotidiana dell’urbanistica, troppo spesso, l’aspetto burocratico prevale sui contenuti, i capziosi formalismi sul contenuto.

Le racconto un aneddoto emblematico. In una riunione in cui si stava esaminando un regolamento edilizio, chiesi all’estensore che lo stava illustrando, quale fosse lo scopo della norma che stava leggendo. Dopo un attimo di disorientamento mi rispose: <>.

Quali motivazioni hanno spinto Lei ad occuparsi di urbanistica?

Passioni giovanili, buoni maestri, occasioni fortunate, tanti i motivi. Io ho frequentato le superiori negli anni (’69-’74) in cui il dibattito politico, fuori e dentro la scuola, era una realtà quotidiana. Su quegli anni si è detto di tutto e di più, a proposito, ma anche molto a sproposito. Una cosa è certa: i giovani erano maggiormente stimolati ad occuparsi della cosa comune ed avevano anche le occasioni per farlo, per esprimersi. In città si discuteva del progetto del nuovo quartiere di S. Polo e del nuovo piano regolatore e devo a Vasco Frati, mio professore di lettere, che portò quel dibattito nella scuola. Fu il mio primo incontro con Leonardo Benevolo, il padre di S. Polo e di oltre 20 anni della politica urbanistica bresciana. Un diciottenne che ascolta un Maestro della storia dell’architettura … si può immaginare l’effetto. Poi l’università a Milano e l’incontro con Giorgio Morpurgo, padre della legge urbanistica regionale e mio vero Maestro al quale sono rimasto legato fino alla sua scomparsa nel 1996. Lo sentii parlare, in modo semplice e chiaro, di questioni che a me parevano cosmiche. Aveva la capacità di trascinarti con entusiasmo nelle sperimentazioni più complesse e impegnative senza perdere però di vista concretezza ed efficacia. Queste persone, ricche di valori civili e di esperienza, mi spinsero ad occuparmi di urbanistica i risultati della quale non possono che essere una sintesi felice fra disciplina e amministrazione. Una “passione civile” come uno di loro l’aveva definita.

Riesce a trasmettere, a far riflettere ed eventualmente a far condividere queste motivazioni ai suoi studenti?

Queste esperienze sono molto personali e non sono ovviamente trasferibili. Sperò però di riuscire a trasmettere loro una tensione civile che deve presiedere la disciplina. A differenza di molti “tecnici” anche colleghi, purtroppo, per i quali l’urbanistica è un problema di quantità e di formule che la controllano, nella migliore delle ipotesi di forma, io sono ancora convinto che per fare urbanistica sia prima di tutto necessaria una passione civile e la consapevolezza di una responsabilità che assumiamo nei confronti dei cittadini e del territorio.  Romantica illusione? Non credo. Fredda consapevolezza dell’importanza dei problemi che una società complessa oggi ci chiede di risolvere. Qualità dell’ambiente, condizioni di vita e di lavoro di una società sempre più multietnica, che consuma risorse al di sopra delle proprie possibilità e alla ricerca della felicità.

Quale?

Oggi l’università è molto cambiata e così anche gli interessi degli studenti sui quali l’urbanistica non ha un grande appeal. Gli interventi urbanistici che fanno notizia e che diventano patrimonio comune sono spesso semplici operazioni immobiliari il cui valore si misura solo in moneta. Non è un buon manifesto.

Ritiene che  i temi e le problematiche affrontate dall’urbanistica potrebbero essere oggetto di un proficuo programma di studi anche nella scuola dell’obbligo?

Credo che nella scuola dell’obbligo sia importante formare la coscienza civile e fornire gli strumenti critici per affrontare i temi della vita quotidiana e futura, che sono anche i temi dell’urbanistica.

In tante materie già si affrontano argomenti che hanno contiguità con i temi della città e del territorio. In primis la storia, la geografia e la letteratura. Basterebbe dare agli studenti le chiavi di collegamento fra questi argomenti e i temi dell’urbanistica. Non la vedrei perciò come una nuova materia, ma come una chiave di lettura trasversale alle diverse materie.

Esiste una ricetta per appassionare i cittadini alla materia?

Sinceramente non lo so.

Oggi forse gli unici che ci possono provare sono ancora gli amministratori pubblici attivando reali processi partecipativi. Sottolineo reali perché quanto sta avvenendo anche oggi, nonostante una legge regionale li renda obbligatori, i processi partecipativi finalizzati alla costruzione di scelte urbanistiche condivise, sono ridotti a sterili formalismi. Responsabilità alla quale non sono estranei neppure i tecnici che partecipano alla definizione di tali scelte.

Domani, solo la dimostrata capacità di costruire città in grado di fornire le condizioni per le quali una società possa progredire e svilupparsi offrendo ad ogni cittadino le stesse opportunità di crescita potrà ridare fiducia a chi oggi, il cittadino appunto, si sente, non a torto,una comparsa marginale.

 

arch. Fabiola Zanetti

 

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Redazione BsNews.it

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