Fissare un tetto agli immigrati nelle scuole non è certo un provvedimento connotato da razzismo, ma così come concepito dal ministro Maria Stella Gelmini dimostra quanto poco chi sta al vertice dell\’istruzione conosca i problemi della scuola italiana. Insegnanti, dirigenti e genitori, invece, sperimentano quotidianamente la scuola pubblica, quella che un tempo aveva proprio tra i suoi obiettivi la formazione di cittadini italiani. La stragrande maggioranza degli alunni entrava parlando solo il dialetto e usciva in grado di misurasi con un mondo ben più vasto di quello di provenienza.
Oggi i docenti tentano di formare i nostri figli in classi da 28 o trenta bimbi dove parecchi sono affetti da disagi o disturbi e dove, come in provincia di Brescia, il tasso di immigrati è uno tra i più alti del Paese. Il tutto senza che la scuola abbia ricevuto finanziamenti in più, anzi l\’anno scorso sulla scuola pubblica è caduta la scure dei tagli camuffata da riforma scolastica.
Al contrario, prevedere una percentuale oltre la quale formare nuove classi più omogenee non contiene nulla di indegno, ma per fare ciò è necessario investire in insegnati e strutture.
A parte il fatto che già il ministro ha già proceduto ad un parziale dietro front quando si è accorta dell\’inapplicabilità della sua circolare, è comunque assurdo pensare ad un tetto negli asili dove la socializzazione prevale sulla formazione e dove i bimbi stranieri imparano nel giro di pochi mesi la lingua italiana. Esattamente come gli italiani, visto che nelle scuole materne anche tanti “cuccioletti nostrani” arrivano senza conoscere molto della lingua dell\’Arno.
Anche alle elementari i problemi sarebbero risolvibili rapidamente. Peccato che da due anni non esistano più le figure deputate in modo specifico all\’inserimento degli stranieri. Insegnati diversi da quelli in classe che affiancavano gli altri sulla lingua portando in aule ad od e solo per qualcho ora gli studenti stranieri. Oggi, invece, sono i docenti della stessa classe che devono occuparsi anche dell\’integrazione linguistica.
Medie e superiori meritano un discorso a parte, visto che la percentuale degli stranieri non culmina nelle cifre a due numeri dei gradi inferiori. Senza contare che scorrendo le pagelle pubblicate dai quotidiani locali alla fine dell\’anno scorso emergevano voti brillanti proprio accanto ai nomi di alunni stranieri.
E che dire dei piccoli paesi dove esiste una sola scuola, dove andrebbero collocati gli alunni che non rientrano nel tetto? Nelle città la soluzione adottata è quella di maggiori investimenti sulla logistica distribuire in diversi quartieri i bambini. Il ministro Gelmini ha promesso anche delle risorse economiche aggiuntive ai Comuni per coprire le spese, ma perfino l\’assessore Arcai ammette che, a Brescia, tale sperimentazione con il passare del tempo diventava troppo onerosa ed è stata interrotta.
Insomma tacciare il ministro di razzismo o sudditanza ai “desiderata” della Lega pare eccessivo perchè il problema esiste e non pochi genitori finiscono poi per rivolgersi alle scuole private. Ma il provvedimento adottato parte dai piedi del problema e la buona fede della Gelmini è continuamente smentita quando la scuola pubblica italiana diventa la protagonista principale dei sacrifici del bilancio dello Stato.
Federica Papetti
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