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L’eterna italina di Berlusconi

di Paolo Corsini – “Riflettere sul presente con gli occhi e gli strumenti dello storico – cogitata  et visa – è un compito particolarmente rischioso” poiché l’ultimo fotogramma può segnare uno stacco provvisorio e ingannevole, quasi il preludio di un epilogo diverso da quello immaginato. Un’alea che Aldo Schiavone sceglie di correre in quest’ultimo suo saggio, l’Italia contesa, recentemente edito da Laterza, volto ad una ricognizione sugli ultimi vent’anni della vicenda politica, e non solo, del nostro Paese. Storico di vaglia, protagonista del discorso pubblico attraverso ricorrenti contributi sulla stampa quotidiana, lo studioso prende di petto la “grande trasformazione” che ha connotato, a partire dagli anni Novanta, la vita economica e il sistema politico italiani: le due metamorfosi insieme, post-industriale e post-democristiana, che ci restituiscono l’immagine di un Paese provato, alle prese con una infinita, mai conclusa transizione, con un futuro percepito come minaccia, ripiegato su quella “sindrome del guscio” che ne costituisce il riflesso condizionato, incapace di misurasi con l”’economia dell’incertezza”, con una competitività sempre più serrata, con una multietnicità ormai  a dimensioni europee. La “scomposizione”, dunque, è la figura dominante del nostro presente. Non solo il perdurare di antichi “vizi d’origine”, di una storica incompiutezza – la fragile unità della nazione, l’inadeguatezza dello Stato, la labilità di uno spirito pubblico dalle gracili virtù repubblicane – , ma soprattutto, in presenza di un motore politico del tutto inadeguato e di perentorie trasformazioni del costume, un profondo mutamento nel modo di elaborare tradizione morale e ideale, una “consapevole discesa nell’oblio, uno slittamento del recente passato italiano […] dal piano caldo e attivo della memoria a quello più freddo e lontano della sola storia”. L’Italia dell’ultimo decennio del secolo scorso vive il collasso della Iª Repubblica che la decostruisce politicamente proprio mentre la neoeconomia prodotta dalla globalizzazione la destruttura socialmente: sparisce dall’orizzonte simbolico la lotta di classe, tramonta la classe operaia, si dissolve il vecchio universo borghese schiacciato dagli effetti della forbice che si apre fra i ceti affluenti dei nuovi ricchi e un nuovo ceto medio sì in crescita vertiginosa, ma che, tuttavia, per mentalità e cultura, non ha più nulla di propriamente “borghese”. Al loro posto un universo sociale molecolarizzato, una galassia di schegge omologate dalla dinamica dei consumi e non più dalla socializzazione produttiva, ideologicamente unificate da un individualismo acquisitivo e da un egoismo anomico diffusi in forma contagiosa. Cittadinanza debole e cura forte del privato, relativismo morale e bisogno di leadership, spettacolarizzazione e verticalizzazione della politica definiscono un “popolo” sul quale imprime il proprio sigillo – il sigillo di un’epoca, come ha scritto Ezio Mauro – Silvio Berlusconi. All’attuale dominus, il sultano – imperatore,  Schiavone dedica pagine assai penetranti, per molti versi più incisive, quanto alla possibilità di definirne un ritratto etico-politico, di quelle di alcuni suoi più o meno recenti interpreti, da Fiori a Ginsborg, da Stille a David Lane, da Marc Lazar a Massimo Giannini. A partire dalla definizione del “berlusconismo” come “ideologia della transizione italiana”, in grado di offrire ad una parte rilevante del Paese uno specchio nel quale riconoscersi, una “postdemocrazia” personalizzata, un “bonapartismo strisciante”, retti sul partito del presidente, il partito della costituzione materiale, rivelazione dell’“eterna Italia” di leopardiana ascendenza, di quell’autobiografia della nazione che perennemente si riproduce, la versione “locale” di quel rapporto tra conservazione (politica) e nuova modernità (economica) che con Reagan e Thatcher ha inaugurato l’età dell’ultima rivoluzione tecnologica dell’Occidente. Accentuato  desiderio di “privato”, egoismo di massa e abbandono del sociale; richiamo anticomunista come capacità del mercato di incarnare la forma suprema della razionalità e come gestione di una scia di detriti, di riflessi condizionati; antistatalismo quale pulsione antiistituzionale, espressione della plurisecolare diffidenza italica verso le regole generali e l’uniformità della legge, di un costume che premia l’intenzione e svilisce la responsabilità; vocazione populista, a metà strada tra sovversione del sistema ed ambizione ad esserne integrato; abilità ad elaborare un racconto, un ordine simbolico degno del carisma di un grande imprenditore,  comunicatore mediatico che esibisce il  proprio corpo come potente fattore di seduzione politica; infine un neoguelfismo che, pur privo di particolare sensibilità etica, attribuisce alla Chiesa l’esercizio di una sorta di protettorato sulla vita civile, la custodia dell’unità morale della nazione garantita con forza di legge: questi i diversi tasselli che Berlusconi inserisce nella propria combinazione, nella rete di domande insoddisfatte utilizzate come leve del  consenso. Su questo impianto riconducibile ad un evidente neogramscismo, ad un’attualizzazione rivisitata della teoria dell’egemonia – la rivoluzione borghese mancata, il difetto di classi dirigenti, la nozione di blocco sociale, il nesso tra intellettuali e popolo –,  Schiavone innesta la proposta di una “nuova politica”, di un ritorno alla Politica come condizione atta a colmare un vuoto, un limite, le gravose lacune fatte di carenze consustanziali alla storia d’Italia, anche dell’Italia contemporanea. Anzitutto attraverso il recupero della memoria su cui la nazione si fonda, in nome di uno storicismo in grado di alimentare un “nuovo umanesimo”, di ricostituire un patrimonio ideale per una Sinistra alla quale si addicono i versi dell’Addio alla Corte di W. Raleigh: “beffato il mio amore; congelata la mia fantasia, di tutto il passato non mi resta che il dolore”. Un impegno, un orizzonte resi possibili oggi dal fatto che il ciclo berlusconiano starebbe per concludersi alla luce di un contesto caratterizzato dall’esaltazione dell’anomia capitalistica, dall’apologia incondizionata del mercato, dalla vocazione liberista, insomma da una deregolazione che si sta rovinosamente ribaltando su se stessa. Appunto lo sfondo dal quale ci stiamo allontanando nell’approssimarsi di una nuova fase che dovrà porre al proprio centro un rinnovato rapporto fra potenza e ragione, fra i grandi poteri – scienza, tecnica, finanza, mercato – e razionalità dell’universo sociale. Non si tratta di coltivare ambigue nostalgie o struggenti rimpianti, ma di vincere la sfida che si prospetta: “un’etica che sappia scoprire il divino nell’accrescersi infinito delle potenzialità umane, piuttosto che nella sacralità della natura come vincolo e come limite”; la piena realizzazione del nostro ruolo europeo e planetario; la ricomposizione morale e civile del Paese fondata su una pratica comune della cittadinanza e sulla ricostituzione dei legami sociali mediante adeguate politiche di integrazione; una nuova idea di eguaglianza non puramente proprietaria e distributiva, ma connessa al superamento delle “disparità di accesso” generate dalla relazione tra innovazione tecnologica, suo uso sociale e democrazia. Da qui la necessità di un leader e con lui di un partito, di una classe dirigente, di un “principe” all’altezza del compito. Per realizzare il quale non basta certo la consolatoria convinzione dell’autore – qui il limite di una intera riflessione – secondo cui la Sinistra  “dispone ancora di più conoscenze, di un pensiero più educato, di un miglior allenamento alla riflessione”.

Paolo Corsini

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Redazione BsNews.it

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