Parla di complotto politico, di caso montato ad arte, di errore giudiziario clamoroso. Roberto Manenti, ex sindaco di Rovato famoso in tutta Italia per le ordinanze contro i musulmani a cui era proibito avvicinarsi alla chiesa, si difende dalle accuse di aver ripetutamente partecipato a stupri di gruppo ai danni di una ragazza romena,
all’epoca dei fatti diciannovenne. La ragazza è sola ad accusare Manenti, l’unico indizio concreto, a parte la testimonianza, è un taccuino trovato in casa sua che riporta un presunto numero di telefono di Manenti accompagnato dalla scritta "Roberto sindaco Rovato". La condanna di primo grado con rito abbreviato è stata
fissata dal tribunale di Verona in 6 anni e 8 mesi di reclusione, Manenti e il suo legale Filippo Cocchetti non ci stanno. L’ex uomo della Lega, ora in minoranza a Rovato con una lista civica, dalle colonne del Bresciaoggi in edicola rilancia: «Mi sento vittima di un complotto politico o peggio ancora di un errore giudiziario simile a quello di Enzo Tortora. «Non conosco quella ragazza; la mia faccia, ai tempi, era su tutti i giornali ma anche sui muri perché ero candidato alle europee. È una condanna che si spiega solo come una vendetta politica maturata anche sotto la spinta mediatica dei fatti degli ultimi giorni in materia di violenze sessuali. A mio carico non c’è uno straccio né di prova né di indizio, se non la denuncia della vittima che risale a dieci anni fa. Qualcuno ha voluto vendicarsi, sbattendomi in prima pagina come un mostro. Ho l’inquietante sensazione che sia un
avvertimento a tutti i sindaci che pestano i piedi alla criminalità. Qualche potere colluso con la delinquenza organizzata vuol fare capire che si può tenere chiunque sotto scacco: lei è una prostituta clandestina, protetta perchè aveva denunciato i suoi aguzzini e per questo sapeva che non avrebbe mai
dovuto prendersi la responsabilità delle sue affermazioni. Ma non mi arrendo: mi batterò a testa alta: non sono colpevole».
au.bi.
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