In un incidente muore Raniero Gatta

Molti ancora lo ricorderanno, magari non dal nome, sono passati tanti anni, ma ad un accenno della sua storia. La memoria non può che andare all’aprile di 17 anni fa, quando un ragazzo di 21 anni, Raniero Gatta, venne accusato di parricidio per avere sparato al genitore col fucile. Ieri mattina quel ragazzo ora fattosi uomo ha perso la vita in un terribile scontro a Pisogne, lungo la provinciale Sebina che porta in Valle Camonica. Poco dopo le sette di mattina la sua auto, una Opel Astra, stava percorrendo la strada in direzione nord quando appena fuori da una galleria si è scontrata frontalmente con un furgone Mercedes proveniente dalla direzione opposta. La dinamica dell’incidente ancora non è chiarita del tutto, fortunatamente altri veicoli non sono stati coinvolti però non c’è nemmeno un testimone diretto. Sta di fatto che lo scontro frontale è stato violentissimo: i due veicoli erano ridotti ad un unico ammasso di metallo. Raniero Gatta è stato estratto dalle lamiere contorte dell’auto già privo di vita, l’altro conducente, Giovanni Bonardi, 48enne di Pian Camuno, è stato trasportato in eliambulanza all’ospedale Civile di Brescia, le sue condizioni sono gravi ma si sono stabilizzate e non sarebbe in pericolo di vita. La triste vicenda personale di Raniero Gatta parte da lontano, dalla sua infanzia sui monti di casa. Raniero è nato a Graticelle, una frazione di Bovegno. Ha sempre vissuto in una baita isolata dal mondo, raggiungibile solamente da strade sterrate e sentieri ripidi. Per lui una giovinezza diversa da quella dei suoi coetanei, non ha mai frequentato la scuola, non andava mai in paese, mai un contatto con il mondo, solo lavoro, con gli animali da accudire, le vacche da mungere. Il padre una figura autoritaria: imponeva al ragazzo solo obblighi, spesso accompagnati da maltrattamenti. Il ragazzo ha sopportato fino a 21 anni, poi non ce l’ha più fatta. Imbracciato il fucile ha sparato al padre-padrone uccidendolo sul colpo. Incredibile il suo racconto in fase processuale: era letteralmente un ragazzo fuori dal mondo, non era mai stato in città, a fatica parlava l’italiano, mai aveva visto i treni. Raccontò delle vessazioni subite, delle notti passate all’aperto, in inverno, per volere del padre. Il giudice si mostrò sensibile alla vicenda personale dell’assassino: niente carcere ma una comunità dove poter iniziare a vivere. Dopo tanti anni il ragazzo era diventato uomo, ieri quell’uomo ha posto la parola fine alla sua tribolata esistenza.
Au.Bi.

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Redazione BsNews.it

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