📕 Wana Mus (parte terza) | 📮 IL RACCONTO DELLA SETTIMANA/30
WANA MUS (PARTE TERZA) ā racconto di Umberto Tanghetti
Il Vecchio cominciĆ² a raccontare dei colori di cui ĆØ fatta la sabbia:
āCerto ā diceva ā il beige ĆØ prevalente, ma anche quello ha sfumature di cui tenere conto; biondo fino ad essere giallo, tendente al rossiccio oppure marrone, passando dal grigio ed arrivando al nero. CāĆØ un colore al quale, perĆ², devi prestare maggiormente attenzione: il bianco che trovi nelle impalpabili chiazze di fech fech, praticamente sabbie mobili a secco.ā
Mohammed ascoltava annuendo perchĆ© aveva visto la varietĆ di cui il vecchio parlava e ne era rimasto assai affascinato, intontito da quelle scoperte cosƬ inaspettate.
Procedendo verso ovest il paesaggio, in effetti, si trasformava pian pianoĀ in territorio lunare dominato da sabbia, dapprima mista beige e nera e poi solo nera sempre piĆ¹ cupa, come fosse lavagna sbriciolata fino ad essere una sabbia un poā piĆ¹ grossalana del solito.
āLa prima volta che venni qua ā disse Youssef ā era il cinquantaquattro e si cominciava a sentire parlare di luna: si diceva che lāuomo ne avrebbe calcato la superficie! Bastava chiedessero a me che ci ero giĆ stato nel mare della tranquillitĆ !
La notte qui ĆØ cosƬ nero che non vedi neanche la punta delle tue scarpe e il cielo lo tocchi con una mano, puoi contare le stelle una ad una.
Ć come essere lassĆ¹.ā
Il vecchio parlava ed era felice, sereno, lo si leggeva nel fondo dllāiride, ma era stanco, col fiato un poā corto, aveva le borse sotto gli occhi e le caviglie erano gonfie. Non disse niente al ragazzo che, preso da quelle scoperte ambientali ed interiori, volgeva lo sguardo fuori dallāabitacolo e non a chi aveva lƬ accanto.
Dopo decine di chilometri su quella sabbia, arrivarono al punto: Wana Mus ĆØ un cratere, un vecchio vulcano appiattito dal sole e dal vento, che, buttata fuori tutta la lava che aveva, si ĆØ via via consumato, dopo aver colorato di nero tutto lāintorno, acquattandosi sornione a nascondere la sua meraviglia.
Si fermarono sul ciglio di quella depressione entusiasmante per sgranchire le gambe e riempirsi gli occhi: il vento scompigliava loro i capelli, facendo svolazzare allāindietro la tunica di Youssef e lo sciarpone del giovane.
Il diametro di quellā antico pertugio verso gli abissi terrestri era di pochi chilometri e lo si vedeva nel suo insieme e sul fondo, da dove una volta usciva il magma, ora sgorgava acqua sorgiva e una vegetazione non rigogliosa, ma prepotente che ondeggiava beffarda al ritmo del vento, come ad accogliere quei due forestieri.
Tornarono in auto e scesero lungo il declivio di quel mare tranquillo: cāera lo stesso silenzio che regala il deserto, ma quelle primitive forme di vita che avevano vinto sul niente predominante nelle centinaia di chilometri attorno, davano un senso quasi sacrale a quel luogo.
Vicino alla sorgiva di acqua un poco salmastra, dove le piante lacustri avevano riempito lo spazio, parcheggiarono lāauto per predisporre il campo.
Il giovane abbandonĆ² il posto di guida per esplorare lāambiente e si fermĆ² a guardare il vulcano da dentro.
Il dislivello dal suo punto di vista alla sommitĆ di quel cono rovesciato era qualche centinaio di metri e questo tagliava le visioni di prospettiva infinita alle quali si era abituato in quei giorni. Erano protetti da quella conca nera, quasi fosse lāabbraccio di tutta la terra.
Mohammed cominciĆ² a tirare pietre nello stagno per un innato istinto che rimane sin da bambino e lo fece senza alcun motivo preciso.
Ne trovĆ² una un poā piĆ¹ grossa che gli occupava perfettamente tutta la mano e stava per scagliarla nellāacqua, quando il Vecchio gli si mise di fianco dicendogli:
āNon tirarla quella! Guardala bene, non noti che ha una forma particolare? Piatta da un lato e ricurva dallāaltra? Ć una macina quella e tu sei fortunato. Trovarne una non ĆØ cosa da poco..ā
Il ragazzo aprendo le dita col palmo rivolto verso lāalto, guardava ora la pietra con occhio diverso e capiva fin lĆ ..
āCome una macina? Cosa vuol dire?ā chiese a Youssef che rispose con il fiato sincopato, come ansimando, ma in modo impercettibile allāacerba esperienza del suo interlocutore:
āĆ una pietra che uomini preistorici usavano per frantumare granaglia con cui fare farina; la parte appiattita ĆØ quella che scorre, la parte ricurva lāimpugnatura. Se ne trovi unāaltra piatta compagna di quella che hai in mano, hai trovato lāattrezzo completo e tu sei lāuomo piĆ¹ fortunato del mondo.ā
Il ragazzo si incuriosƬ e cominciĆ² a camminare lƬ attorno, scartabellando con i piedi in mezzo alla sabbia dava colpetti leggeri a casaccio e la fortuna, se ĆØ fortuna, arriva comunque, anche senza fatica.
ToccĆ² una sporgenza piatta che sbucava come la punta di un iceberg e cominciĆ² a liberarla: era inequivocabilmente la compagna che stava cercando e corse dal vecchio come ad avere trovato un tesoro: āEccola Vecchio!!! Eccola!!ā
Si abbracciarono felici come ad aver vinto la Coppa del Mondo: questi sono i regali che sa fare solo il deserto, gioire di pietre e di niente come ad aver in mano la pepita piĆ¹ grande del mondo!
Il Vecchio disse:
āQuesta scoperta merita una bella pagnotta!ā
CosƬ accesero il fuoco per fare il pane e la notte arrivĆ² il meglio, perchĆ© dal fondo di quella conca appiattitaĀ e nera non si percepiva distinzione tra cielo e terra: sembrava davvero di essere sulla luna come Youssef gli aveva promesso.
Il freddo era piĆ¹ marcato rispetto alle notti vissute finora durante quel viaggio ed il sonno del giovane risultĆ² un poco agitato: si immaginĆ² di esser in un vicolo della medina in penombra, illuminato solo da un raggio di sole, mentre sosteneva un carico madornale.
Era fermo e il muratore ubriacone continuava a caricare una specie di gerla che aveva sulle spalle: le gambe gli vacillavano era sudato e ferito sulle ginocchia e sul viso, come se fosse stato picchiato e il peso continuava ad aumentare.
Solo Alhimar lo capiva ed era venuto a trovarlo portando legati alla sella dei dolcetti di miele.. āGrazie caro mulo, tu solo puoi capirmi!ā
Si svegliĆ² quando ormai era giorno e si stupƬ di vedere il Vecchio ancora addormentato li accanto; non era mai capitato durante quel viaggio che si svegliasse prima lui.
Lo guardĆ² e vide il suo aspetto ceruleo, con la bocca aperta come il dromedario appeso in macelleria: si paralizzĆ² al pensiero che quello che era evidente fosse vero, al pensiero che il Vecchio fosse schiattato di notte lƬ accanto a lui.
āYoussef! Youssef!ā lo chiamava scuotendogli il braccio, ma era giĆ rigido e non rispondeva.
Mise il suo orecchio al petto di quello e non sentƬ nulla, solo il freddo di morte che lo aveva abbracciato e puzza di piscio e di merda.
Gridava Mohammed col fiato che aveva:
ā Vecchio bastardo non puoi morire e lasciarmi qui solo in questo buco di culo! Lasciarmi da solo di nuovo! Nooo!ā
Imprecava confuso Mohammed, piangeva lacrime cui era avvezzo, sempre per lo stesso motivo, sempre a ricominciare dopo lāinciampo che lo stendeva per terra.
Gridava inarcando la schiena allāindietro, contraendo la muscolatura con tutta la forza che aveva in spasmo tetanico a scacciare il reale declino dellāesistenza. A non volerlo vedere.
Quando fu nauseato da quella disperazione, si calmĆ² aggrappandosi a razionali azioni, piccole e semplici, passetti da bimbo che impara di nuovo a camminare.
Parlava ad alta voce per scandire la logica che doveva seguire:
āAllora che faccio? Non posso portarlo con me..In realtĆ non ho molta scelta, devo seppellirlo qui..SƬ, devo iniziare a scavare, oggi sarĆ questa la mia occupazione e domani riparto.ā
Scelse dove scavare risalendo a piedi il pendio dellāabisso vulcanico per vedere dallāalto quel palcoscenico e individuare il punto migliore:
āEcco, scaverĆ² lĆ ā disse indicando a se stesso una zona a nord dello stagno che pareva piĆ¹ riparata. Poi gli venne spontaneo borbottare:
āRiparata da cosa? Vecchio rincoglionito che sei morto nel posto piĆ¹ assurdo in cui lasciarmi nei guai. Qui non passa nessuno da anni..Ora mi tocca tornare a casa da solo o morire..ā
A questo pensiero gli venne paura, ma ebbe la forza di pensare di fare un passo alla volta:
āOra scavo e poi si vedrĆ .ā
Quando la buca fu pronta trascinĆ² lƬ il cadavere e lo depose avvolto in un telo che lo proteggesse dallāidea di essere abbandonato da solo: era come un abbraccio pietoso e decise di mettergli sul petto la macina che avevano trovato, per non sprecare la fortuna di averlo conosciuto davvero.
CominciĆ² a coprirlo con la sabbia che aveva rimosso e usĆ² la parte piatta della macina, quella su cui scorreva la pietra, come lapide conficcata lƬ sopra.
Incise solo il nome ā Youssef ā: in quel luogo il tempo non esisteva e non aveva senso scrivere alcuna data.
Persino la macina era ancora attuale ad indicare il significato piĆ¹ vero dellāesistenza.
Il giorno seguente partƬ e risalito per lāennesima volta il pendio del cratere, fermĆ² lāauto e senza scendere tirĆ² giĆ¹ il finestrino guardando con le lacrime agli occhi la vegetazione ondeggiante laggiĆ¹ in fondo:
ā Ciao Vecchio, scusa per le brutte parole che ti ho gridato, non le meriti certo. VerrĆ² a trovarti in futuro. Ora vai Mohammed, inizia un nuovo capitolo.ā si disse per farsi coraggio.
Ā
Ā
Guidando ripensava allāAntonov russo smembrato in ogni sua parte fruibile e rivendibile: si immaginava gli squali in umane sembianze puntare quellāanimale possente e ferito volteggiante nellāaria, fiutarlo, seguirne la traiettoria in planata emergenziale e individuare il fumo di resa vitale laddove era avvenuto lo schianto.
Puntata la preda, quei pesci a piĆ¹ file di denti andavano a ondate con camion rombanti a serrare le mascelle dellāinteresse sulle inermi lamiere, per rivenderle al mercato nero dei metalli e delle parti meccaniche.
Abbandonarono poi lo scheletro ossuto da cui nulla poteva piĆ¹ essere triturato e quello rimase lƬ esangue, conservato dal clima secco incapace di corrompere il ferro che ne restava.
Ai piĆ¹ sembrava rottame, a Mohammed pareva invece qualcosa di piĆ¹ significativo: un monumento di quello che sa essere lāuomo, di quanto possa sfruttare il suo simile con opportunismo, vivendo in branco come cani randagi a fiutare la preda bisognosa dāaiuto per farla fuori del tutto.
Il Vecchio gli aveva mostrato che poteva anche non essere cosƬ: dove gli altri vedevano rovina, lui poteva volare.
Dāimprovviso una folata di vento via via piĆ¹ decisa alzĆ² della polvere davanti alla macchina che procedeva prudente: era un fumo bianco, fugace, calcareo; apparve e sparƬ in un istante come presagio sinistro e poi di nuovo biancastro seguendo una nuova folata che rimontava ritmata e superava Mohammed in modo deciso.
Fece in tempo solo a pensarlo e giĆ la dinamica dellāauto sembrava cambiata, come se una forza piĆ¹ forte di tutti i cavalli che aveva a disposizione lo impantanasse gommoso, gli sembrava quasi di sprofondare nellāinconsistenza.
āFech Fech!!!ā gridĆ² spaventato ed imprecĆ² a squarcia gola, come quando si era arrabbiato col vecchio che aveva deciso di morire in quel buco terrestre.
SchiacciĆ² a fondo lāacceleratore, ma la macchina arrancava perdendo la coppia; scalĆ² rapido in quarta e cercĆ² di lavorare di sterzo spostandolo a destra e a sinistra sperando le ruote trovassero presa; mise la terza, la secondaā¦
La macchina non respirava, troppo impari lo sforzo: miliardi di granelli di borotalco contro soli quattro pistoni, il mezzo arrestĆ² la sua corsa.
ProvĆ² inserendo le ridotte, ma lāauto aveva spanciato, il fondo scocca galleggiava sulla polvere fine e le ruote giravano a vuoto: pareva una testuggine rivoltata sul suo carapace, che annaspa, allunga il collo, la coda, pedala nellāaria con le zampe impacciate, ma niente, desiste.
Lāauto era ferma, avvolta da una nuvola di polvere odiosa.
GridĆ² in preda al panico perchĆ© quello non era uno scherzo: non riuscire a muovere il mezzo avrebbe voluto dire morire.
GiĆ si immaginava la vecchia Toyota ritrovata chissĆ quanto tempo dopo da chissĆ che carovana, smembrata come lāaereo a rivenderne i pezzi ed anche i suoi poveri averi sciacallati dagli squali di cui quel mare di sabbia era pieno.
AprƬ la portiera e scese: la caviglia sprofondĆ² in quel fondale impalpabile e si allontanĆ² per osservare la scena da un altro punto di vista a trovare soluzioni salvifiche percorribili.
Era teso, un fischio inesistente gli perforava il cervello: era il panico che non riusciva a gestire; aveva le mani sudate, la bocca prosciugata dalla paura.
Improvviso gli venne in mente Giovanni, quel brontolone italiano che aveva imposto al Vecchio di saldare al paraurti anteriore un verricello di cui Youssef continuava a sminuir lāimportanza.
āEh cĆ sso, se ta saā mpantĆ netĀ che fet? Ta sĆ¼biet?ā aveva pronunciato quella volta senza che Mohammed capisse.
Lāaveva detto ripensando alle valli bresciane in cui capita di essere colti da fango inatteso e di impantanarsi senza riuscire a tornare a casa.
Non sapeva quel montagnino che ci si potesse impantanare anche a secco, ma il buon senso ĆØ duttile e si adatta ad ogni evenienza.
āIl verricello!ā gridĆ² nuovamente.
Ora si trattava di trovare un appiglio al quale ancorare il cavo, ma in mezzo al niente non cāĆØ niente o cosƬ pare..
Decise che avrebbe scavato una buca nella quale buttare la ruota di scorta con il cavo del verricello fissato e lāavrebbe ricoperta con lāasse che aveva nel cassone e con tutta la sabbia che costituiva il Sahara.
SrotolĆ² il cavo lungo una trentina di metri e cercĆ² di capire dove finisse il fech fech: trovĆ² un punto propizio ed iniziĆ² a scavare.
Sembrava Sisifo che spostava la silice fine e quella ricadeva a ricoprire la badilata appena tolta, ma non desistƬ continuando cocciuto come il vecchio Alhimar, il mulo suo amico.
Ci mise piĆ¹ di due ore, ma alla fine si ritenne soddisfatto di una buca profonda quasi quanto la propria altezza.
Era sfinito, le mani gli si erano piagate entrambe intento come era stato a fare scavi in quelle ore: il giorno prima a fare buca di morte per seppellire Youssef ed ora a fare buca piena della sua vita e della sua ultima speranza.
Sorrideva amaroĀ pensando a come uno scavo possa essere inizio o fine e come in un niente lāuno si possa tramutare nellāaltra.
Le braccia per la tensione di quel lavoro cosƬ ripetitivo e faticoso tremavano in un cortocircuito di conduzione nervosa, non riusciva a governarle.
GirĆ² le spalle allo scavo, tornĆ² verso la macchina e appoggiandosi alla portiera chiusa, sembrava ai suoi sensi di esser circondato da mosche che provava a scacciare: le vedeva, era sicuro e blaterava qualcosa tra i denti in uno stato di semi incoscienza dovuto alla fatica fisica e alla tensione emotiva.
Le ginocchia vacillarono un poco e piegandole, la schiena scivolĆ² sulla lamiera dellāautocarro finchĆ© il suo bacino non si arenĆ² nel borotalco.
Rimase svenuto per qualche secondo e nellāincoscienza voleva a tutti i costi destarsi e aprire gli occhi: ci provava con tutte le forze, ma il cervello non rispondeva.
FinchĆ© non rivide i suoi piedi e poi le gambe eĀ le braccia che si erano un poco fermate: si toccĆ² il viso ed alzandosi con circospezione andĆ² a bere un poā dāacqua.
āForza Alhimar, si diceva, muovi quel culo e vai a sotterrare la ruota che hai appena svitato dal cassone dellāauto!ā
Si dava ordini come ad essere fuori di sƩ e si immaginava cosa gli avrebbe detto il muratore ubriacone:
āGiovane, che fai, piangi? Sotterra la ruota imbecille! Che se ci riesci ti offro un goccetto! Col cazzo che te lo offro! Coglione!ā e bevve anche quello ridendo.
Il Vecchio, invece, non avrebbe parlato a quel modo: lo avrebbe calmato, gli sarebbe stato vicino e gli avrebbe detto di scavare la buca per provare a districarsi.
Pensava queste cose e si rese conto che quello che gli avrebbe detto Youssef lāaveva giĆ fatto: questo gli diede morale e scacciĆ² sia le mosche inventate che i fantasmi esistenziali.
Riemerse la grinta di chi si rendeva conto che i morti soltanto non li avrebbe mai piĆ¹ rivisti, ma finchĆ© erano in vita li aveva conosciuti davvero, senza i fronzoli cui corrono dietro in molti e cosƬ era un poā come se i suoi morti fossero lƬ con lui e lo aiutassero a fare le scelte corrette.
Sapeva quello che gli avrebbero detto se fossero stati lƬ. Non era poco, era come avere sempre un asso nella propria manica.
Accese la macchina lasciando la marcia disinserita e andĆ² sul davanti ad azionare il verricello che entrĆ² in tensione costante.
Fece un salto per mettersiĀ sul punto in cui la cordina dāacciaio scompariva nella sabbia per avvantaggiare la ruota di scorta appesantendola: ci fu un primo strattone, ma lāauto era ferma, era la gomma che si stava muovendo.
āMerda!ā pensĆ² e cambiĆ² posizione tirando la corda il piĆ¹ possibile nellāillusione che il suo sforzo potesse cambiare le sorti di quella partita.
Fu lāauto a desistere dalle proprie convinzioni immobiliste e si mosse, cosƬ Mohammed le corse incontro e vinta lāinerzia, salƬ al volo ingranando la prima con grande dolcezza: funzionava!
Si ritrovĆ² sulla sabbia compatta, quella su cui ci si poteva fermare e ripartire e cosƬ scese di nuovo a spegnere il verricello e a scavare per recuperare la ruota.
Finito il lavoro era distrutto, spense il motore e senza rendersene conto si addormentĆ² fino al mattino seguente.
Al risveglio sentƬ subito il dolore profondo delle sue mani: nella destra aveva uno spacco lungo quanto il suo palmo; sentiva pulsare la carne in quel punto, mentre la sinistra, anchāessa piagata, era meno dolente.
Aveva dormito seduto sul sedile di guida, abbassando lo schienale allāindietro, ma non aveva ricordo di quando nĆØ come si fosse cosƬ organizzato; scese ad allungare la schiena e sbloccarsi le gambe e rivide dietro di sĆØ la traccia che aveva lasciato abbandonando il fech fech: ne fu felice, ma ancora incredulo di avercela fatta.
TornĆ² in macchina desideroso di allontanarsi davvero da lƬ e girando la chiave per ripartire, si accorse di essere in riserva.
Spense nuovamente il motore in quel continuo singhiozzo di procedura, come a subire continui sgambettiĀ e pensĆ² di farsi il pieno usando la prima tanica supplementare che si trovava bloccata allāesterno nel cassone posteriore. Prendendola, un biglietto caddeĀ dalla maniglia, Mohammed se ne accorse e lo lesse:
ā Figliolo se stai facendo gasolio vuol dire che ti sei spostato verso ovest di almeno cinquecento chilometri, sei a buon punto, non temere alcunchĆ©, sei bravo, per questo ti ho portato con me. Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto, hai dato un senso al mio ultimo viaggio senza chiedere niente, non mi hai mai giudicato e mi hai conosciuto davvero. Quando la paura si metterĆ in mezzo, confida in te stesso e falla sedere sul sedile lƬ accanto, non scacciarla, ma impediscile di andare alla guida.
Ć questo il segreto, ma tu giĆ lāhai capito.
Io sarĆ² sempre con te, come i tuoi genitori.ā
Ancora una volta quel Vecchio indecifrabile ai piĆ¹ lāaveva stupito predisponendo tutto e imponendo al ragazzo la prova aggiuntiva di ritornare a casa da solo.
RipartƬ con un misto di sentimenti difficili da gestire: era triste in prevalenza, ma si sentiva libero come quel vecchio gli aveva insegnato e consapevole di dove poteva arrivare confidando in se stesso. Scavallava le dune con grande padronanza e decisione, come il battitore di rame che nella medina dava colpi decisi e asciutti senza perdere forza in inutili mosse, cosƬ lui guidava diritto verso lāobiettivo di chiudere il viaggio iniziato col Vecchio.
Quella notte il cielo non era completamente buio: vedeva in lontananza uno strano chiarore sulla linea dellāorizzonte verso ovest; era un alone assai tenue, ma in un punto preciso, secondo i suoi calcoli doveva essere la cittĆ di Sebha.
Il giorno appresso procedette costante rallentando verso il tardo pomeriggio per passare la notte ancora sulla sabbia senza dovere cercare un albergo in cui andare a dormire: il bagliore della notte precedente era ora luce fissa che impediva di cogliere appieno lo splendore della volta celeste.
RipartĆ al mattino e dopo poco, incrociando la prima strada asfaltata dopo migliaia di chilometri sulla sabbia, si fermĆ² a rigonfiare le gomme per ripristinare le cose secondo le umane abitudini ed abbandonare le leggi al contrario che regolavano il nulla.
Ora guidando alzava polvere e la macchina che fino a poco prima era pulita come quando era nuova, cominciĆ² a sporcarsi di giallo e di grigio come il cerone che ricopriva il volto dellāimmancabile gigantografia di Gheddafi che proprio a Sebha era nato.
Cerone e polvere: ipocrisia di una propaganda che di se stessa si nutriva per restare in vita e che a quel ragazzo faceva non poco disgusto.
PassĆ² i vari posti di blocco, salutando i gendarmi, ma ormai lāinerzia accumulata in quel viaggio lo faceva procedere rapido fin verso la sua cittadina per andar a parlar con Giovanni.
Ā
āSalĆ m a lĆØs!ā pronunciĆ² Mohammed incrociando lo sguardo bresciano e quello di rimando rispose:
āA lĆØs El salam!ā
Sorrisero entrambi, capiva il ragazzo che quel suono di cui non sapeva il significato era segno di amicizia raggiunta, come ad essere una famiglia.
āVecchio in mare di sabbiaā disse nel suo italiano stentato.
Giovanni annuƬ, non ne era sorpreso, se lo aspettava; era come se i due amici ne avessero parlato, come se Youssef avesse predisposto ogni cosa anche con lui.
Il ragazzo uscƬ dalla medina, era sera e il sole si buttava lento lento in direzione di Tripoli, cittĆ che a lui non piaceva.
AndĆ² al parco archeologico, ma non defecĆ² e non si accese una sigaretta che detestava: ognuno cerca la propria di strada.
Guardava il mare dalle terme antiche, lĆ dove la sabbia confluisce nellāacqua e non viceversa, calzando gli occhiali interiori per decifrare le cose che paiono fatte al contrario, come il Vecchio gli aveva insegnato.
UMBERTO TANGHETTI, CHI Eā?
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