A Gussaggo… Mangia con arte per agire con arte
Cari amici e bibliofili,
dal 17 al 20 maggio apriremo al pubblico l’abitazione di via Pratolungo per questa seconda mostra “fatta in casa” dopo quella dedicata lo scorso anno a “Il Gusto del Moderno”, con il patrocinio dell’assessorato della Cultura e del Turismo del Comune di Gussago. Saranno ospiti e si intratterranno col pubblico Giampiero Mughini, Alberto Capatti, Italo Rota.
A fare da sfondo ci sono 150 rari ricettari e manuali di gastronomia con 60 libri sulla birra e il vino, tutti in edizione originale. Una raffinata collezione di oltre 50 libri e documenti sui formaggi, venti pezzi fondamentali sulla cucina futurista e alcuni manoscritti originali ottocenteschi, completano il panorama bibliografico. La parte iconografica è costituita da numerose opere: disegni e bozzetti originali di Dino Buzzati, Erberto Carboni, Pablo Echaurren, Augusto Majani (Nasica), Studio Boggeri; locandine pubblicitarie e manifesti originali illustrati da Boccasile, Depero, Golia, Seneca e molti altri; alcune fotografie vintage – fra cui un ritratto di Alberto Moravia mentre si prepara il tè – e immagini di Tano d’Amico. Non mancano gli oggetti, dagli strumenti ottocenteschi per la misurazione dell’acidità dei mosti alle scatole di latta e di cartone fra liberty e moderna pubblicità, dalle ceramiche degli anni Trenta di Andlovitz e MGA agli oggetti di design per la cucina progettati da Aldo Rossi e Alessandro Mendini.
La mostra racconta insieme ai segreti del convitare l’evoluzione del gusto, lo straordinario apporto della pubblicità e il dinamismo di tante ditte produttrici – alcune attive anche oggi, altre scomparse – nel contesto reale della cultura cucinaria e vinaria: arte e scienza, industria e tradizione, letteratura ed economia.
A sottolineare l’aspetto conviviale della mostra, alcuni famosi collezionisti insieme a specialisti della cultura gastromonica, interagiranno coi visitatori con un occhio al buffet, dove specialità e vini franciacortini faranno da cornice a una delle delizie tradizionali di casa Tonini: le polpette della Resi.
Nato a Vilna nel 1915, premio Nobel della letteratura nel 1980, Czeslaw Milosz era metà lituano e metà polacco. In un suo libro che Adelphi ha appena tradotto (Abbecedario, Milano, 2011, pagine 327, 23 euro) Milosz racconta di un suo amico lituano che era un gran viaggiatore e che ovunque andasse si portava appresso le ricette della cucina lituana per poi mostrarle ai suoi eventuali ospiti a chieder loro se le conoscessero. Quelli, sudamericani o altro che fossero, cadevano ovviamente dalle nuvole. Che ne potevano sapere di cibi e di spezie alla maniera lituana? Al che l’amico di Milosz lanciava loro uno sprezzante: «Che ignoranti che siete!». E voleva dire che erano degli ignoranti non perché non conoscessero uno scrittore o un musicista lituano, e bensì perché non conoscevano le ricette della cucina lituana. Quelle ricette che raccontano la cultura e l’identità di un popolo esattamente quanto la letteratura o la musica o la pittura.
L’amico di Milosz aveva ragione? Aveva straragione, e lo dimostra a iosa questo ennesimo prodotto della fucina antiquaria bresciana che ha nome L’Arengario. Un catalogo dedicato ai libri che hanno comunque per argomento e canovaccio i cibi e le loro combinazioni. E dunque l’apologia ora dei maccheroni ora della salsiccia, l’escogitazione di una tecnica a parare i danni del troppo “pappare”, e le trecento maniere di cucinare le uova, e il modo di arredare quei cibi per portarli in tavola, e i cerimoniali di pranzi e cene, magari di pranzi o cene in cui sono uno davanti all’altra un uomo e una donna e basta talvolta un sorso di buon vino per fare andare le cose nel verso giusto. E sotto quest’ultimo aspetto resta per me indimenticabile il libro scritto nel 1926 da un mio conterraneo catanese, Omero Rompini, che avevo acquistato su una bancarella quaranta e passa anni fa. La cucina dell’amore (numero 98 del catalogo Arengario) è il libro dove lui non si nega nulla in fatto di dandysmo erotico-gastronomico, al punto da raccomandare menù diversi – e diversi accostamenti tra cibi e vini – a seconda che l’ospite femminile a cena sia bruna o bionda.
Quanto fosse importante il cibo giusto al momento giusto, e la presentazione la più accattivante di quel cibo, nessuno lo sapeva meglio di un uomo politico francese che sta al vertice della storia dell’Ottocento. Charles-Maurice de Talleyrand sapeva talmente zigzagare tra i sentieri impervi della politica da essere stato prima ministro di Napoleone e poi dei Borboni che ne avevano preso il posto. Il suo capolavoro fu il Congresso di Vienna, dove riuscì a far giocare un ruolo considerevole a una Francia che pure era stata sconfitta sul terreno di battaglia. E siccome in politica tutti i mezzi sono buoni, e siccome Talleyrand (gran gourmet, è lui che ha inventato la pratica di grattugiare il parmigiano sulle minestre) sapeva a puntino quanto la combinazione stomaco/mente volesse la sua parte, s’era assicurato i servizi del più grande cuoco del mondo, il francese Antonin Carême. Una cena preparata da lui, e a quel punto non c’era convitato che potesse impacciare le trame politiche di Talleyrand. E difatti il personaggio che allude a un tale cuoco figura sullo sfondo di un bellissimo film francese del 1992, A cena con il diavolo, dove si misuravano nientemeno che Talleyrand e l’ex ministro della polizia napoleonica Joseph Fouché, e a forza di piatti sontuosamente preparati da Carême Talleyrand lo convince di passare anche lui al servizio dei Borboni.
A parlarmi per la prima volta di Carême era stato Arnaldo Bagnasco, il finanziere ligure che era andato a vivere in Svizzera dove custodiva la più grande collezione di libri di gastronomia al mondo. Nel 1994, un paio d’anni dopo il nostro incontro, quella collezione sarebbe stata onorata da un sontuoso catalogo in tre tomoni. Le meraviglie di quella collezione Bagnasco me le aveva mostrate una a una. Forte della sua sterminata conoscenza della cucina di fine Quattrocento, Bagnasco avrebbe utilizzato una cena di quel tempo come il sito in cui si svolge un thriller elegante e avvincente. Edito da Mondadori nel settembre 1997, Il Banchetto non poteva mancare nel catalogo di cui sto parlando.
E adesso alzatevi in piedi, perché sto per nominare il nome di Pellegrino Artusi (di cui Bagnasco mi mostrò una copia della prima edizione) e torniamo qui alla grande nel tema dei rapporti tra cucina e cultura. Era successo difatti che per tutto l’Ottocento il dominio culturale della cucina alla francese, della cucina che s’era inventato Carême, fosse stato assoluto. Una cucina scenografica, fastosa, stracarica di ammennicoli. Finché uno sconosciuto italiano di provincia cui piaceva mangiar bene, Pellegrino Artusi, nel 1891 non pubblica a sue spese in 1000 copie un manuale della buona cucina italiana che era una sorta di missile terra-terra contro la dittatura della cucina francese. A Pellegrino Artusi degli ammennicoli e delle creme in cui era avvolto e da cui era decorato il cibo proposto dai francesi, gliene importava meno che niente. Lui voleva fare cucina, e sapeva di poter fare della buonissima cucina, con quello che aveva tutt’attorno a casa: con i prodotti poveri dell’agricoltura della sua regione. E’ lui a creare la cucina all’italiana, una cucina che a tutt’oggi detta legge nel mondo. In quella prima edizione del suo libro (un’edizione stratosfericamente rara, e tanto più in brossura), di ricette ce n’erano un paio di centinaia. Per altri vent’anni e sino alla sua morte, Artusi di edizioni ne fece altre 14 e in ciascuna irrompevano nuove ricette, sino ad arrivare a oltre 700. Dal risotto alla milanese al vitello tonnato, è la carta costituzionale della cucina all’italiana. Tanto che ciascuna di quelle 14 edizioni è ricercata e collezionata. Nel catalogo Arengario figurano la undicesima e la quattordicesima. Da trent’anni che colleziono, che io sappia, la prima edizione dell’Artusi (e per giunta un’edizione in brossura) è comparsa una sola volta, e non poteva non essere destinata alla collezione Bagnasco, dove si aggiunse alla copia rilegata in mezza pelle che lui mi aveva mostrato a Lugano. Qui lo dico e qui lo confermo: è il libro che più desidererei avere al mondo.
Quanto ai libri che a prima vista raccontano la cucina e che invece stanno raccontando il mondo tutto, nella cultura italiana del dopoguerra non vedo un gioiello maggiore della prima e seconda edizione de L’uovo alla Kok di Aldo Buzzi, rispettivamente l’edizione Adelphi del 1979 e quella ampliata del 2002 (entrambe presenti nel catalogo Arengario). Il primo Svevo a parte, Buzzi è uno dei grandi scrittori italiani del Novecento più trascurati e più costretti a un pubblico di nicchia. Che di meglio di un “uovo alla cok” ad accendere la qualità mirabile del suo raccontare?
GIAMPIERO MUGHINI
MANGIARE E’ RINGRAZIARE
“Mangia con arte per agire con arte” proclama F.T. Marinetti nell’Almanacco Cucinario del 1939. Se non sai gustare i piaceri della tavola, se a tavola ti abbuffi solo per riempirti la pancia, ti manca un pezzo di umanità e di felicità. E non parlo dei piatti raffinatissimi dell’alta cucina, dei vini per milionari e dell’etichetta da osservare nelle cerimonie. Certo c’è anche questo ma l’essenza è altro: è sufficiente un panino che il giovane operaio pregusta, portandolo alla bocca con grazia impareggiabile, in una foto di Tano D’Amico. Bisogna avere rispetto per quello che si mangia di buono: per il pane e il prosciutto, per il caviale, il vino rosso, lo champagne. E’ questa la prima delle regole non scritte che sono a fondamento di tutti i galatei.
Da sempre l’uomo tramanda di generazione in generazione i segreti dell’arte cucinaria. C’è un sapere essoterico che si trova sparso in numerosi manuali nel corso dei secoli, come quello forse più importante per la tradizione italiana, L’Arte di Mangiar Bene di Pellegrino Artusi, e ce n’è uno esoterico, tramandato di padre in figlio, da maestro a adepto. Mi chiedo chi ha conservato – lo spero – la ricetta del meraviglioso Biscotto Bresciano di Vicarielli, questa antica pasticceria che non esiste più, e mi preoccupo per le polpette o il ripieno di mia mamma, perché credo che perdendone la memoria, il mondo avrebbe perduto qualcosa di importante.
Ancora oggi sono segrete le ricette di ottimi prodotti pur di largo consumo, dall’amaro Ramazzotti alla Coca-Cola, dalla Nutella al pesto della Carli. Ai segreti dell’arte che attraversano i secoli, si abbina la storia relativamente recente dell’industria e della pubblicità, che quei segreti rivelarono in parte e in parte rinnovarono.
Artisti e autori di grande inventiva si misero al servizio delle case produttrici: davano uno stile, aprivano la mente ad altre prospettive, lavoravano più o meno consapevolmente per la modernità, rendendo meraviglioso ora un brandy ora un panettone, e ancora oggi rimangono tracce indelebili come il logo rosso e blu della Cinzano, la dama bianca della Martini disegnata da Marcello Dudovich, o i motivi deperiani per Campari. Artisti e geniali imprenditori, avventurieri e imitatori, rinomati cuochi, pasticceri e vinai, ma anche la fatica e il lavoro, l’intelligenza dei poveri che si facevan bastare poche frattaglie, sapori a cui oggi diamo la caccia – e quanto pagheremmo per ritrovarli in qualche osteria non avendone nessuna speranza presso i più famosi ristoranti.
Quanta storia e quanta civiltà nel mangiare e nel bere. Basta e avanza a capire che la fame è all’origine di ogni oppressione, di ogni umiliazione e sfruttamento. Che dove la fame è abolita c’è una speranza in più per la comunione degli uomini. E torniamo al rispetto, alla grazia e al ringraziamento.
Paolo Tonini
ENOLOGIA E GASTRONOMIA IN ITALIA
DALL’OTTOCENTO A IERI
Mostra di libri, immagini, oggetti originali
Dal 17 al 20 maggio 2011 a Gussago, Via Pratolungo 192
presso L’Arengario Studio Bibliografico
Sito web: http://www.arengario.it