Tintoretto, attenzione a non ripetere lo stesso errore
di Alessandro Benevolo* – Premetto che non ho nessun interesse a difendere la presenza della torre Tintoretto o delle altre torri a San Polo, né per scelta ideologica e nemmeno per difesa d’ufficio dell’opera di Leonardo Benevolo. Sono cresciuto a pane e San Polo e ho avuto il privilegio di lavorare nella Cascina Aurora fin da studente tra il 1979 e il 1981. Chiunque abbia partecipato (anche da umile disegnatore) a quella stagione ha ben chiaro quali siano i valori del quartiere da difendere e tra questi non ci sono le torri. Questi edifici, meglio identificabili come case alte, sono infatti un “incidente di percorso”, una soluzione di ripiego derivante dal rifiuto dell’allora IACP a costruire alloggi popolari sparpagliati secondo la prevalente tipologia delle case a schiera e il conseguente desiderio di costruirli in un posto unico e specifico. Aggiungo che il loro progetto avvenne a cura dell’ufficio tecnico dell’IACP con solo una modesta e superficiale supervisione di Benevolo (quello anziano).
A distanza di quasi 40 anni da quei fatti c’è purtroppo ancora chi pensa che il degrado delle case alte dipenda dalla loro tipologia, dal fatto di essere grandi, brutte o colorate e pensa che una volta abbattute e ricostruiti in forma diversa nuovi volumi avremo per incanto la riqualificazione urbana che tutti speriamo. In realtà prevedendo la medesima concentrazione di alloggi popolari (adesso si chiama edilizia sociale) o una concentrazione simile si verrebbero a ricreare le stesse condizioni di degrado che qualche anno fa consigliarono lo spostamento degli inquilini e che possono ancora essere osservate nella casa alta gemella della Tintoretto lì vicino (la Cimabue): condizioni abitative precarie, vandalismo diffuso delle parti comuni e scarsa sicurezza degli utenti. Sia che si decida di ristrutturare la casa alta, sia che si facciano altri edifici al suo posto; non è il contenitore edilizio il problema, ma il suo contenuto. E questo non per disistima delle famiglie con bisogno sociale, ma per la loro concentrazione in un unico luogo: basta un 10% di nuclei famigliari problematici per mandare in tilt il luogo dove convivono.
La prima cosa da fare è scegliere nuove destinazioni per l’area che occupa la torre Tintoretto (oltre 2 ettari) prescindendo dal fatto che si conservi l’edificio esistente o se ne prevedano di nuovi: residenze libere, per categorie speciali, uffici, atelier, presidi pubblici, asili e anche alloggi sociali (in misura minima, se si vuole) secondo un mix adeguato che approfitti anche della presenza della stazione del metrobus.
Poi e solo dopo, raccogliendo l’invito apparso su queste pagine dell’ex assessore Di Mezza, si decida laicamente tra sostituzione o ristrutturazione dell’edificio prendendo in esame le sole circostanze oggettive confrontabili, ovvero i costi per l’adeguamento (sismico, strutturale e impiantistico) a confronto coi costi di demolizione e ricostruzione, da paragonarsi entrambi coi ricavi possibili per le destinazioni scelte.
Si tenga infine conto che la soluzione che si sceglierà per la Tintoretto, augurabilmente nella sequenza corretta prima descritta, deve poi trovare applicazione nelle altre case alte (a cominciare dalla Cimabue). Non può. Deve, visto che stiamo parlando di un elemento seriale che o si mantiene com’è con una successione di edifici alti o si varia con una combinazione di edifici diversi che si ripetono uguali. Nelle altre case alte una complicazione ulteriore deriverà dal fatto che gli edifici non sono vuoti e per garantire il corretto mix necessario solo alcuni inquilini potranno essere riallocati nello stesso posto.
* Architetto