Consumo ergo sum
Ammontano a 350 mila i bresciani che non arrivano alla fine del mese. Il dato è emerso da un’ inchiesta condotta da Claudio Venturelli, giornalista del Giornale di Brescia che ha presentato la ricerca a Teletutto. Sono, dunque, quasi un terzo della popolazione le persone che, in provincia, dichiarano meno di 11 mila euro di reddito all’anno. E’ il parametro tecnico utilizzato dal servizio, ma anche dall’Istat, per definire la soglia sotto la quale si può parlare di povertà.
Mentre la recessione avanza i consumi calano o quanto meno rivelano stili di vita schizofrenici (si spende meno per gli alimentari, ma si comperano comunque telefonini, video giochi o televisori sofisticati) la politica prosegue con ostinazione a proporre ricette più o meno efficaci per lo sviluppo. Sviluppo, ma per andare dove? Me lo chiedo da parecchi anni, da quando le luci di Natale appaiono a metà novembre. Me lo chiedo da quando mi sembra che le persone vivano per lavorare e non veceversa. Me lo chiedo da quando, per sostenere il mercato dell’auto, ci invitano calorasamente a cambiarla ogni tre anni. Me lo chiedo ogni volta che tento una riflessione sul nostro modello economico e mi sento rispondere che altri sistemi di sviluppo sono stati bocciati dalla storia e dall’economia.
Eppure, mentre il divario tra chi s’impoverisce e chi accresce la propria ricchezza aumenta e mentre la classe media rischia di scomparire noto che questo dibattito ha ripreso ad interrogare le Istituzioni, i media, i politici e le associazioni.
Anche a Brescia, provincia che deve la propria notorietà all’etica del lavoro e ai conti correnti da Paperon de Paperoni custoditi nelle banche disseminate in ogni angolo territorio, emergono disagio e nuove povertà.
Rimango convinta che riflettere sui consumi e quindi sulla lotta alla povertà imponga anche un rinnovato approccio alla questione economica. E non si tratta più solo di verificare il grado di redistribuzione della ricchezza in un territorio.La grave crisi di oggi chiede di alzare il tiro. Serge Latouche individua la strada in una decrescita felice. Non so se sia la risposta, ma credo che questo intellettuale e i movimenti che ne sono scaturiti abbiano il merito di avere centrato il cuore del problema.
Federica Papetti