Insegnanti oggi? Travolti da un insolito destino! | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

Tempo d’estate e di scuola si parla meno, ma la tematica è sempre di attualità. Brescia per certi versi, può essere considerata una “cittadella della pedagogia”, poiché sempre molto attiva sui temi dell’apprendimento e dell’educazione, anche grazie all’editrice La Scuola che ha sede in città e che da oltre cento anni pubblica testi di fondamentale importanza per il mondo scolastico...

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

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Non tutti i supereroi hanno mantelli,
alcuni hanno gradi di insegnamento.
(Heidi McDonald)

intervista di Irene Panighetti a Doriana Galderisi* – Tempo d’estate e di scuola si parla meno, ma la tematica è sempre di attualità. Brescia per certi versi, può essere considerata una “cittadella della pedagogia”, poiché sempre molto attiva sui temi dell’apprendimento e dell’educazione, anche grazie all’editrice La Scuola che ha sede in città e che da oltre cento anni pubblica testi di fondamentale importanza per il mondo scolastico.

Di scuola parliamo oggi con la dottoressa Galderisi che è stata per 11 anni docente di ruolo a Chiari e che, come prima specializzazione nella sua attuale professione di psicologa abbracciata dopo aver lasciato il mondo dell’insegnamento, vi è proprio quella di psicologa scolastica. Inoltre le dottoressa Galderisi è membro AI.RI.PA (Associazione Italiana Ricerca Piscopatologia dell’apprendimento).

Dottoressa Galderisi, l’anno scolastico è terminato, per la gioia di studentesse e studenti ma anche di molti docenti. Eh sì, perché il lavoro da insegnante negli ultimi anni è diventato davvero pesante, tra disagio giovanile e burocrazia resa spesso esasperante dalle difficoltà informatiche. Ma non solo questo e allora cerchiamo di capire quali sono nello specifico i problemi che gli insegnanti di oggi si trovano a sostenere…

Buongiorno e grazie per la proposta di un tema come questo che mi è veramente molto caro per diversi motivi: sia perché tocca da vicino la mia vicenda biografica sia per il fatto che nel lavoro che svolgo la presenza delle scuole è molto importante e, in qualità di psicologa scolastica e formatrice interagisco molto spesso con insegnanti di ogni ordine e grado.

La figura del docente è oggi sotto i riflettori per molti aspetti, alcuni di tipo pratico e altri legati al grande numero di richieste, spesso molto diverse, che un insegnante si vede rivolgere al punto che potrebbe essere legittimato a chiedersi quale sia la reale professione che sta svolgendo!

Eh sì, infatti a chi insegna infatti viene chiesto di essere, al contempo, un educatore, un esperto della materia, una figura in grado di gestire e talvolta “risolvere” tante criticità, da quelle legate ai disturbi specifici dell’apprendimento a quelle legate a gravi problematiche di comportamento, che possono presentarsi talvolta in maniera dirompente e che colpiscono una percentuale non irrilevante di allievi. All’insegnante viene chiesto inoltre di essere capace di integrare studenti provenienti da livelli diversi, per status, per origine o per cultura, quindi di gestire tutta la partita dell’inclusione che non riguarda solo i deficit o gli handicap. E in tutto questo, un aspetto non secondario è…. lo svolgimento del programma!

Non solo: ad un docente viene richiesto anche di essere un esperto digitale, perché la scuola è connotata da sempre più aspetti tecnologici. Ancora: un altro compito che viene attribuito all’insegnante è la capacità di gestire in maniera ottimale anche la rete di partner educativi, in primis i genitori, che sempre più spesso intrudono, letteralmente, nella scuola, portando richieste non sempre compatibili con il ruolo di genitore né tanto meno con la professionalità del docente. Oltre che alla relazione con i genitori il docente deve curare anche quella con gli altri colleghi, quella con figure istituzionali, con enti sul territorio di vario tipo tra cui le autorità sanitarie.

In altre parole, riassumendo, il docente di oggi si trova a gestire tanti problemi, non solo di tipo curriculare e didattico ma sempre più di gestione della classe, di disciplina, talvolta non solo degli allievi, ma anche  dei genitori, incluse tante emergenze quotidiane.

Un altro aspetto da considerare è il cambiamento avvenuto nel tempo: in passato la scuola era l’elemento che faceva la differenza e consentiva ad una persona di cambiare il proprio status, di elevarsi, di migliorare la propria condizione materiale e spirituale. Oggi invece la scuola non ha più questa caratteristica e all’insegnante viene disconosciuto il ruolo della persona sapiente, cioè quella persona che conosce ed è in grado di far conoscere. Ci pensano “maestri” come Google, Tik Tok, i vari social, a dare, in pochi secondi le informazioni che cerchiamo in una sorta di “effetto bancomat”! Ma il ruolo dell’insegnante non è quello di erogare mere informazioni bensì è quello sia di creare domande, dubbi e nuove domande, sia di insegnare all’alunno come si costruisce la conoscenza, ovvero il processo che porta ad una conoscenza. E’ un compito complesso, oneroso, impegnativo, che si scontra con la richiesta usa e getta del mondo di oggi. Lo dice bene l’educatore indiano Shiv Khera, che sostiene: “I migliori insegnanti non ti daranno da bere, ti faranno venire sete. Non ti daranno risposte ma ti metteranno sulla strada per cercare risposte”.

A tutto ciò si aggiungono due elementi essenziali che concorrono a costituire una realtà decisamente spiacevole. In primo luogo vi è sicuramente il fatto che un insegnante deve affrontare tante fatiche prima di diventare di ruolo! Oggi molti docenti all’inizio del loro percorso lavorativo si trovano in una condizione di precariato che, lungi dall’essere circoscritto ad un primo periodo limitato, si prolunga per molti anni! In secondo luogo il fatto che, al lavoro di docente, a livello sociale viene attribuito un valore e uno status, sia simbolico sia concreto (leggasi stipendio!), che non contribuiscono ad incorniciare positivamente la professione. Va da sé che questo tutto produce tranne che un aumento o un mantenimento della passione, della motivazione al lavoro. Vi sono insegnanti che svolgono il loro mestiere con amore e dedizione, ma purtroppo sono sempre di più quelli che perdono queste fondamentali componenti, andando ad aumentare le fila di docenti molto affaticati, stanchi, talvolta molto in difficoltà e in crisi. La crisi lavorativa di un insegnante non è scollata spesso a una crisi personale e la perdita di motivazione, di slancio, di dedizione, viene avvertita e porta con sé anche, negli studenti, la demotivazione, in una sorta di paradossale horn effect, ovvero “effetto alone inverso”.

Come affiancare i docenti in queste fatiche?

Il primo aspetto da affrontare è legato alle due grandi criticità sopra descritte, ovvero lo status dell’insegnante e la sua condizione di precariato. Per risolvere questi due gravi problemi serve un cambio radicale di prospettiva, occorrono investimenti per migliorare i salari, acquistare strumentazione didattica all’avanguardia e predisporre edifici scolastici adeguati; ma servono anche regole certe, che si mantengano, cioè che non cambino di legislatura in legislatura o addirittura all’interno dello stesso anno scolastico!

Un secondo elemento che potrebbe essere un sostegno agli insegnanti, in particolare ai giovani che iniziano la professione, è un maggior affiancamento con un collega esperto, per apprendere direttamente sul campo, cioè a scuola, come si esercita il mestiere di insegnante. Non è semplice infatti essere catapultati da soli in un’aula con 25-30 studenti, uno diverso dall’altro e ciascuno portatore di una propria identità e, talvolta, problematicità.

Una volta affrontato questo periodo di “training”, l’insegnante, in tutta la durata della sua carriera, deve poter accedere a piani di formazione e di aggiornamento continuo e, perché no, aggiornamento retribuito.

Piani che in teoria ci sono da sempre ma che in pratica oggi non funzionano appieno, non sono più strettamente obbligatori, a volte nemmeno così attrattivi nei temi proposti e molto spesso condizionati dai budget dell’istituto… morale: i corsi d’aggiornamento spesso non sono  né così  frequenti, né così costanti, né così affollati come un tempo.

La formazione deve portare ad ampliare il set di strategie e di strumenti disponibili nella didattica, ma soprattutto ad approfondire aspetti legati alla relazione, alla gestione della classi, alle fondamenta di quello che è un atteggiamento positivo verso l’apprendimento, quindi gli aspetti motivazionali e tutte quelle dinamiche che si intrecciano nella complessa, delicata e biunivoca relazione di insegnamento-apprendimento. L’aggiornamento deve riguardare anche la delicata condizione di stress specifico della categoria dei docenti, predisponendo dei piani di lavoro proprio per fronteggiare questa condizione psico-fisico-relazionale molto complessa.

Del resto Alfred Adler, uno dei padri, insieme a Sigmund Freud e a Gustav Jung della psicanalisi, affermava che quando una persona prova un disagio, quel disagio richiama sempre una rete di rapporti negli ambiti fondamentali per l’esistenza, e tra questi ambiti vi è il lavoro.

Per un docente i rapporti positivi si creano non solo nell’essere in un consiglio di classe, ma anche nel condividere metodologie con i colleghi. Questa condivisione aiuta ad affrontare un problema che è più ampio di quello che si possa immaginare, ovvero il senso di solitudine che spesso un docente avverte. Si tratta di una sensazione di solitudine legata non solo agli elementi di cui abbiamo parlato prima cioè al riconoscimento sociale molto  cambiato e svalutante, ma ad un solitudine che talvolta è relativa proprio al trovarsi tra colleghi dove ognuno lavora “a modo proprio”, applicando il proprio metodo, generando in tal modo un “linguaggio didattico e relazionale-educativo” che potremmo paragonare ad una lingua nella torre di Babele.

In tale contesto richiamo il concetto di stress da lavoro correlato, un tema che è stato approfondito nella puntata del 24 maggio del ciclo di incontri da me ideato dal titolo: “La scienza di eccellenza”. In quell’occasione avevamo visto come lo stress da lavoro correlato colpisca soprattutto le cosiddette helping profession, le professioni di aiuto, tra cui vi è anche quella dell’insegnante. E ciò avviene perché ad un insegnante è richiesto tantissimo: concentrazione, conoscenza, empatia, fortissimo autocontrollo, capacità di passare continuamente e contemporaneamente da una situazione all’altra, resistenza fisica, capacità di dialogo e di comunicazione… L’aiuto ai docenti può derivare quindi anche dalla solidarietà, che significa sia una maggiore condivisione di linee di lavoro ma anche una volontà maggiore di mettersi nei panni di un professionista della conoscenza e dell’educazione come è il docente, cercandone di coglierne, letteralmente le fatiche di Ercole

A tutto questo si aggiunga che all’insegnante farebbe bene una maggiore tutela della professione, poiché oggi sono sempre più frequenti aggressioni, verbali ma anche fisiche, da parte di alunni e, talvolta, da parte di genitori. Eppure, anche se non sempre noto a tutti, l’insegnante è un pubblico ufficiale e quindi qualsiasi atteggiamento non congruo è perseguibile per legge. Per una maggiore “protezione” del personale scolastico a fine gennaio 2023 è stata avanzata la proposta di modificare gli articoli 336 e 341 bis del Codice penale, proprio per cercare di aumentare la protezione di questa specifica figura di pubblico ufficiale quale è l’insegnante. Anche questo tipo di misure è in grado di fornire all’insegnante un senso di riconoscimento e di valore

In tutto ciò che ruolo ha avuto la pandemia? E come andare oltre?

La pandemia ha avuto un ruolo grandissimo, se non altro perché ha obbligato ad un’accelerazione del processo di digitalizzazione degli istituti scolastici, dei docenti e delle famiglie. Questo è un aspetto che ha due facce. Ha un lato positivo perchè ha aperto scenari nuovi nelle modalità di insegnamento, portando la possibilità di utilizzare strumenti digitali che appartengono ormai alla nostra quotidianità ma che a scuola, specialmente prima della pandemia, si usavano poco. Possibilità che ancora non sono entrate in maniera strutturata nei programmi scolastici e questo alimenta una sorta di scollamento tra mondo scolastico e mondo extrascolastico.

Ma tutto ciò ha un risvolto negativo perché ha creato, nei docenti, in particolare in quelli meno giovani che hanno dovuto imparare ad avere a che fare con la tecnologia (e che vengono chiamati “immigrati digitali”), un aumento dello stress legato proprio all’uso degli strumenti digitali, una sorta di tecnostress che in alcuni casi ha portato al burnout, all’esaurimento, del docente per la fatica di gestire queste innovazioni.

Per andare oltre, poiché la pandemia sembrerebbe finita, o per lo meno così ci si augura, bisogna cercare di vedere questo momento come un’altra fase di un processo di cambiamento, guardare il più possibile avanti e non indietro. Questo tipo di “visione prospettica” è fortemente raccomandato in ambito psicologico: a sostenere il valore di una prospettiva temporale corretta è il celebre psicologo italo americano Zimbardo, autore della famosa teoria della prospettiva temporale.

Esistono alcune tecniche che possono facilitare questo passaggio: dapprima dare un tempo alle cose, capire cioè quando fare qualcosa, tenendo sempre presente che l’aspetto più importante non è ciò che si trasmette ma come lo si trasmette, quindi non la nozione ma la relazione. Dare il tempo giusto significa anche individuare le priorità  (the first thinks first ovvero per prima cosa pensa a cosa va per primo) e, di conseguenza, sviluppare quelle, trovando le modalità opportune in quel dato contesto e in quel determinato momento. Certo, tutto ciò non è facile: aveva ragione Freud quando osservava: “I mestieri più difficili in assoluto sono nell’ordine il genitore, l’insegnante e lo psicologo”.

E sulle parole del padre della psicanalisi vi ringrazio per l’attenzione e vi rimando all’ultima puntata de “La scienza di Eccellenza”, quella del 21 giugno che trovate sui miei canali web, dedicata ad uno degli aspetti delle fatiche dei docenti cioè il dover affrontare i problemi di attenzione e concentrazione.

L’estate, nonostante gli impegni, è anche un momento di riposo quindi buone vacanze alle e agli insegnanti di ogni ordine e grado.

Ci rileggiamo tra 15 giorni

(Rubrica a cura della dottoressa Doriana Galderisi, nella forma di dialoghi con la giornalista bresciana Irene Panighetti).

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

LEGGI TUTTE LE PUNTATE DELLA RUBRICA DI DORIANA GALDERISI CLICCANDO SU QUESTO LINK


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