De.Co. sta per Denominazione Comunale ed è un marchio con cui le amministrazioni comunali identificano e proteggono i prodotti tipici dei loro territori. A nessuno, va precisato, è impedito di preparare la propria versione di tali pietanze e servirla al pubblico. Il De.Co. non è una forma di “copyright”, è semplicemente un modo per custodire la tradizione di un piatto e fornirne la versione “originale”, quella tramandata sul territorio e frutto della storia culinaria – spesso fatta di molte varianti – di un paese.
Di seguito riportiamo alcuni gustosi piatti bresciani tutelati da De.Co. e altri che aspirano a diventarlo in tempi brevi. L’elenco – va precisato – non è esaustivo.
1- IL MANZO ALL’OLIO DI ROVATO
E’ il piatto principe dell’enogastronomia franciacortina, il più noto fuori dai confini di Brescia insieme allo spiedo. E ne esistono ricette scritte risalenti a cinque secoli fa (come quella della nobildonna Veronica Porcellaga: qui trovate alcune ricette del Manzo all’olio, compresa la sua). Il piatto originale è oggi garantito da De.Co, con tanto di logo, realizzato dagli artisti della scuola “Francesco Ricchino” di Rovato (lo stemma della cittadina al centro, accompagnato da un bovino e da un ramoscello d’ulivo). Nel disciplinare si legge che l’unico taglio di carne autorizzato è il cosiddetto cappello del prete (capèl del prèt in bresciano). A questo vanno aggiunti olio extravergine, aglio, acciughe, pan grattato, prezzemolo e Grana Padano Dop. Ma non solo: la delibera spiega anche i tempi di cottura e ricorda che la carne – al fine di garantire una maggiore morbidezza al palato – va lasciata riposare per una nottata in un luogo fresco prima di essere servita.
2 – LA TINCA AL FORNO DI CLUSANE
La tinca al forno è un altro storico piatto bresciano, che recentemente è stato tutelato con il marchio di denominazione comunale De.Co. La tinca al forno – tipica di Clusane, frazione del Comune di Iseo – ha una preparazione piuttosto complessa. Il pesce, dopo essere stato pescato, deve riposare un paio d’ore e va poi inciso dalla testa alla coda eliminado il grosso delle lische. Per la preparazione del ripieno si devono mescolare pane grattato, burro, olio, formaggio Grana, pane grattato e un mix di spezie (cannella, noce moscata, chiodi di garofano, sale e pepe) e di aromi (prezzemolo, alloro e aglio in quantità modesta). Il pesce va poi riempito con parte (abbondante) del ripieno e adagiato in una teglia di terracotta bagnata con olio insieme alle foglie d’alloro; in seguito è da ricoprire con il ripieno rimasto. A questo punto si aggiunge il burro e si inforna per circa due ore, a una temperatura di 160 gradi.
3 – I MALFATTI DI CARPENEDOLO
Il Malfatto di Carpenedolo è un primo tradizionale della cucina bresciana, tipico del territorio di Carpenedolo che ha acquisito dal 2014 lo stato di “De.C.O.”. Si tratta sostanzialmente di gnocchi fatti con ingredienti “poveri”, di recupero. L’impasto, composto da spinaci, erbette, cicoria, uova, grana, farina bianca, noce moscata, pangrattato e sale, viene amalgamato e arrotolato in piccoli cilindri della lunghezza di circa 4 centimetri. I malfatti – solitamente sistemati su vassoi – vengono quindi lessati e conditi con burro, salvia o pomodoro.
4 – LO SPIEDO DI GUSSAGO
Lo spiedo, va precisato, è un piatto che Brescia condivide con la vicina Bergamo. Ma ogni zona ha la sua versione. Nella nostra provincia la versione più famosa è probabilmente quella di Gussago, ma sono da segnalare anche quella di Serle e quella gardesana (la variante, in quest’ultimo caso, è che al posto del burro viene utilizzato l’olio del Benaco). A Gussago il piatto è tutelato da DeCo. Le carni – rigorosamente non congelate – utilizzate con maggiore frequenza sono: lonza o coppa suina arrotolata (per i cosiddetti “mombói”), cosce, petto o ali di pollo (o anche di anatra ed altri avicoli), coniglio (qualsiasi parte tranne la testa e le interiora) e uccelli da cacciagione (il cui utilizzo è stato, però, di recente vietato per tutti i locali pubblici e ristoranti: una questione su cui non sono mancate polemiche). L’altro ingrediente immancabile nella versione bresciana tradizionale è il burro, preferibilmente nostrano. Il rito della spiedatura prevede che i pezzi di carne (o “prese”) vengano infilzati su lunghi spiedi (chiamati anche “schidoni” o “bracoi”) uno ad uno – alternando pezzi di carne più compatta a pezzi di carne grassa – ed interponendo qualche foglia di salvia tra l’uno e l’altro. La sequenza ideale – secondo alcune fonti – prevede: costoletta, pollo, lonza, coniglio, uccello. Mentre le patate vengono posizionate all’inizio ed alla fine di ogni spiedo. La cottura – a fuoco lento, allo spiedo – va dalle 4 alle 6 ore.
5 – IL LUCCIO ALLA PORTESINA
Il Luccio alla portesina è un piatto tipico del Benaco, la cui ricetta originale sarebbe stata inventata da un pescatore di Portese, frazione di San Felice, e rappresenta una variante della ricetta del luccio tramandato dalle massaie gardesane: gli elementi ricorrenti sono la cottura del luccio nella court boullon, la presenza di diverse verdure e il fatto che il piatto viene servito con polenta. A inizio 2020 l’amministrazione comunale ha reso operativo l’iter per la denominazione De.Co. A questo link trovate la ricetta.
6 – LA POLENTA TARAGNA DI SERLE
A Serle (dove anche lo spiedo è De.Co.) hanno perfino riunito un team di esperti – guidato dal maestro Bernardo Zanola – per accertare la perfetta preparazione della Polenta taragna di Serle, ovvero la polenta condita con burro e formaggio secondo l’antica ricetta del Comune valsabbino. Il disciplinare prevede le caratteristiche degli ingredienti e le metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidate nel tempo in base agli usi locali, ma anche gli strumenti utilizzati per la preparazione.
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