🔻 Amo un dodecaedro… | 🔺DAL GRUPPO G9

E’ nato nel 1948, anche se lo sfottono come “archeologia industriale”. Lo datano addirittura al 1932, anche fosse, non è archeologia, è vecchiaia. Non beve, non fuma, non mangia, può generare oltraggiose fantasie sessuali. Agli edifici intorno dona la sua saggezza. E’ alto 43 metri, di nome fa Gasometro. Fino agli anni Cinquanta fu il grattacielo di Brescia

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Brescia, il Gasometro, foto per gentile concessione di Annalisa Taurchini e Roberto Spinoni

di Viola Allegri – Amo un dodecaedro. E’ nato nel 1948, anche se lo sfottono come “archeologia industriale”. Lo datano addirittura al 1932, anche fosse, non è archeologia, è vecchiaia. Non beve, non fuma, non mangia, può generare oltraggiose fantasie sessuali. Agli edifici intorno dona la sua saggezza. E’ alto 43 metri, di nome fa Gasometro. Fino agli anni Cinquanta fu il grattacielo di Brescia.

La sua forma è perfetta, porta in cima vetri che al sole lo illuminano per intero; la sua posizione urbanistica è interessante. Nato fuori città, in via Malta, in un‘ area disabitata negli anni Trenta, ora vede un cavacaferrovia affollato di macchine, a sud vede il parco Tarello e la parte di città più avanzata e moderna, Brescia2, dominata dal Crystal Palace. In realtà nessuno lo domina perché non ci sono a Brescia veri grattacieli, ma grattacieli-nani, come li chiamava Bruno Fedrigolli. Il “matitone”? E’ un controsenso statico, diceva Fedrigolli.

La domanda è ovvia: cosa ci fa un edificio del 1932 (la costruzione iniziò però l’anno seguente, dopo accanite discussioni e l’acquisto dell’area), rinato nel 1948 con la sua forma quasi sferica proprio a svergognare la ruvida geometria dei grattacieli moderni?  Che c’azzecca, direbbe Di Pietro, un edificio, pensionato nel 1989, ermeticamente chiuso, fatto di lamiere in acciaio dolce “di primissima qualità”, circondato da cespugli e rossi papaveri, indifferente all’intorno rumoroso di automobili, studi, uffici e impiegati che sembrano sempre in ritardo? Scriveva Kafka: non capisco la gente che corre per strada. Se è in ritardo prende un mezzo pubblico (oggi si direbbe un’auto), se non lo è, inutile che corra.

Solo un sentiero raggiunge l’amato gasometro, ma nessuno osa avvicinarlo per il rispetto che incute.

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Un’altra domanda: che farne?

Proprietaria ne è l’Azienda dei servizi municipalizzati, la gloriosa Asm poi sposata ad un milanese fighetto con cui partorì un oggetto: A2A.

All’età della pensione il mio gasometro aveva 70 anni, aveva dato il necessario contributo ai cittadini ma ora? L’Asm cominciò a chiedersi: dobbiamo abbattere questa torre? Alta 43 metri, con una capacità utile di mc 15.000, una fortezza di metallo con le pareti esterne mezze ruggini in una zona stramoderna ampiamente costruita.

Una storia dolorosa: il padre dell’attuale gasometro era caduto in guerra, come scriveva il geometra Luciano Pierucci al direttore generale dell’Asm: Il nostro gasometro Man (il più avanzato modello a secco) alle ore 10 del 3 gennaio (era il 1945) è stato oggetto di azione di mitragliamento nemico e colpito da numerosi proiettili. Il gas che si è immediatamente incendiato fuorusciva nella misura di 3.100 mc l’ora.

Quando il pistone raggiunse la prima falla incendiata, ci furono due esplosioni consecutive, si alzò un immenso fumo denso e nero. Altre esplosioni avvennero a sera. L’unica soluzione era controllare l’incendio in attesa di estinguerlo. Un lavoro pericoloso che impegnò i vigli del fuoco e qualche cittadino. L’attacco degli americani a guerra quasi finita era stato letale, ferito a morte poteva solo essere sostituito dal figlio, come succede in azienda.

La spesa per ricostruirlo era enorme, L. 560.000 per la demolizione e 6.200.000 per la ricostruzione, ma all’epoca alle disgrazie si reagiva. Il 10 giugno del 1948 il gasometro riprese a funzionare e da allora non ci furono problemi fino al pensionamento quando arrivò il metano.

Ritorniamo quindi alla domanda: che farne?

ll dibattito continuò per anni, sempre un po’ sottotono. Intanto la ruggine avanzava.

Il grafico Paolo Mucciarelli vi disegnò sopra un’immensa lucertola che spiccava allegra, ma in fondo significava: questo è un rudere, ci giochiamo sopra.

Negli anni gli architetti fecero varie proposte, ci fu anche un concorso nazionale, nessun progetto risultò fattibile e convincente. Siamo negli anni 1990-1995.

Stimolati dal concorso altri architetti progettarono soluzioni perlopiù puntate al suo recupero.

Ivan Tognazzi dello studio Associati Associati propose di collocare nel gasometro un museo della tecnica “che può riscuotere a Brescia largo interesse date le tradizioni industriali della provincia”. A fianco doveva sorgere un’altra torre delle stesse dimensioni, ma di vetro e acciaio contenente mostre, biblioteca scientifica, book shop.

L’architetto Gino Bozzetti, noto per i recuperi realizzati in centro città, propose di trasformare il gasometro in un ambiente per mostre. L’ambiente verrebbe mantenuto all’esterno il più possibile identico, ma riempito all’interno con piattaforme mobili in ferro che si alzano e abbassano per accogliere anche oggetti di grandi dimensioni. Ascensori all’esterno e scale intorno all’edificio darebbero l’idea del movimento. L’ultimo piano (torretta esterna) è l’occhio di tutto il complesso: realizzato in acciaio si svincola dalla struttura esistente. In cima alla torre andrebbe inserita una piattaforma mobile che può girare e alzarsi di una decina di metri. La piattaforma potrebbe ospitare un ristorante, mentre di notte sarebbe ravvivata da insegne luminose. Due grandi portici a un piano ai due lati dell’ingresso, aperti per non interrompere l’altezza della torre, collegano l’atrio all’eventuale zona destinata agli uffici direzionali. L’edificio diventerà una macchina vivente in contrasto con quelli che si stanno realizzando a sud, sarà un centro di vita culturale e vivrà una seconda vita integrandosi con prepotenza e spavalderia nella sua nuova destinazione.

Gli architetti Annalisa Taurchini e Roberto Spinoni, laureatisi con una tesi meticolosa (p. 205) su Il gasometro di Brescia come reperto di archeologia industriale, pubblicata nel n 45 dei “Quaderni di Sintesi” dell’Asm, più di tutti hanno approfondito, studiato e visitato il gasometro, paragonandolo anche ad altri esistenti fuori d’Italia. E hanno proposto di farne un archivio. A Brescia gli archivi sono frammentati: l’archivio di stato, decine di altri archivi sparsi di solito in luoghi angusti e senza possibilità di parcheggio, la biblioteca Queriniana.

Il loro progetto: in primo luogo la struttura dell’edificio non va alterata all’esterno. Il gasometro è costituito da elementi di acciaio che si possono ripulire con solventi e sabbiature, la bonifica con le attuali tecniche costa poco. All’interno è un colosso vuoto, fragile quindi vi si costruisce una struttura in muratura che regga gli archivi. Nel gasometro a due metri di altezza si trova il pistone di 22 metri di diametro, che una volta saliva al tetto, da sotto entrava il gas e il pistone scendeva spingendolo nelle condotte. Il pistone viene mantenuto, ma vi sia crea sopra un piano a 5 metri di altezza cui si accede da una passerella attraverso cui si può vederlo.

Si divide l’interno in muratura in 11 piani di 3 metri di altezza. Nel mezzo c’è un cavedio che contiene un ascensore trasparente e una scala attraverso cui, salendo, si gode la vista dell’edificio dall’interno. Ogni piano è diviso in 12 celle simili a spicchi di 25 mq con 60 mq di parete dove è raccolto il materiale d’archivio. All’ultimo piano (dove ora si trova la botola per scendere) si colloca una piccola piramide a vetri esagonali che dà luce fino alla piastra d’entrata. Al primo piano si trovano il banco delle informazioni, servizi igienici e bar. Per consentire un’areazione naturale le fasce dell’edificio sono eliminate in modo alterno, fatto che non altera la percezione del reticolo originale.

A Bologna, tra la fiera e il centro, si vede un altro gasometro Man, come il nostro, ma con 14 lati. Sta solo, ai margini di un parchetto.

Quando vado all’estero e vedo gasometri diventati edifici, il cuore ha una stretta. A Vienna i gasometri sono quattro di un bel colore rosso, vicini tra loro. Sono più vecchi del nostro, costruiti in muratura e soprattutto più larghi, architetture che li hanno rivitalizzati con un cambio di destinazione d’uso. Dentro vi si trovano 615 appartamenti, tutti con relative finestre.

Ma il mio dodecaedro, io continuo ad amarlo.

ARTICOLO A CURA DEL GRUPPO G9

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