Il Tribunale di Brescia ha condannato ieri un cacciatore valsabbino a sei mesi perché “responsabile della detenzione di 20 uccelli da richiamo dotati di anelli alterati, oltre a un’altra cinquantina di anelli in buona parte alterati”. A renderlo noto è una nota della Lav.
“Tali anelli inamovibili, fissati alle zampe degli uccelli da richiamo – afferma il gruppo animalista in un comunicato – sono considerati sigilli dello Stato perché vengono utilizzati per certificare la provenienza degli animali da allevamenti autorizzati. Ma per dotarsi di richiami più performanti, spesso i cacciatori catturano illegalmente gli uccelli in natura, ai quali inseriscono gli anelli rimossi da altri uccelli deceduti. In queste operazioni gli anelli vengono inevitabilmente manomessi per poter essere infilati nelle zampe degli animali adulti, dimostrando così l’inequivocabile provenienza illegittima degli animali”.
L’operazione – segue a una perquisizione operata dai Carabinieri Forestali in spazi nelle disponibilità del cacciatore condannato e “ha permesso di rimettere in libertà buona parte degli uccelli da questo illegalmente detenuti, mentre gli altri sono stati affidati a un centro specializzato per il loro recupero”.
“I cacciatori affermano di condannare il bracconaggio, ma poi nei fatti molti cacciatori sono anche bracconieri – dichiara Massimo Vitturi, responsabile LAV Animali Selvatici – ne è l’ennesimo esempio l’odierna condanna emessa dal Tribunale di Brescia nei confronti di una persona dotata di regolare licenza di caccia. Per noi di LAV – continua il comunicato – non c’è molta differenza fra caccia e bracconaggio perché entrambe le attività causano la morte di milioni di animali selvatici ogni anno. Chiediamo che il Ministro Cingolani dia finalmente attuazione al piano nazionale antibracconaggio, incrementando fra le altre cose, le pene previste in casi come quello che ha portato alla condanna del cacciatore bresciano”.
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