di Stefano Bergomi* (stefano.bergomi@tin.it) – In terra di champagne è tempo di dibattito e aspra polemica. Il dardo è stato scoccato con l’approvazione lo scorso 29 Luglio di alcune misure di modifica agroalimentare, avanzate dal syndicat des vignerons, il sindacato dei possessori di terre e vigne.
I promotori hanno dichiarato che alla base della loro iniziativa c’è la volontà di perseguire innovazione e naturalità, con obiettivo di salvaguardia ambientale, azzerando l’uso di erbicidi, riducendo del 50% quello dei pesticidi e del 25% le emissioni di carbonio.
Il punto focale su cui ci si accapiglia è l’introduzione, per il momento soltanto su base volontaria, delle vignes semi larges (VSL, vigne semi-larghe). La regolamentazione attualmente in vigore in Champagne prevede impianti con almeno 6.700 viti per ettaro, con filari posizionati alla distanza massima di 1,50 metri (la media è tra 1,20 e 1,30). Il teorema alla base della filosofia produttiva finora in uso privilegia infatti impianti con densità elevata, con la presunzione che viti vicine riducano vicendevolmente la produzione, a vantaggio della qualità.
Il nuovo regolamento permetterebbe invece la possibilità di avere filari alla distanza di 2 o 2,2 metri, con abbassamento della densità per filare.
Un bel cambiamento, anche solo dal punto di vista visivo per i territori della Champagne, le cui colline sono già oggi patrimonio UNESCO.
Per i favorevoli, il cambiamento prospettato è ineluttabile. Gli studi scientifici condotti dimostrano che le VSL assicurano maggiore resistenza al gelo, alla siccità e alle malattie, ma anche la riduzione dei costi di produzione e delle emissioni di anidride carbonica per i processi produttivi. Altresì, varie commissioni di esperti avrebbero certificato l’ininfluenza del diradamento del vigneto rispetto al profilo organolettico del vino prodotto.
Sulle barricate, sul lato opposto dei contrari, si trovano invece alcuni produttori medio-piccoli, difensori dello spirito tradizionale dello champagne. Nelle loro parole traspare la preoccupazione che le VSL aprano le porte a maggiore meccanizzazione delle lavorazioni in vigna, soprattutto per la raccolta dell’uva, privilegiando in conseguenza produzioni in pianura o bassa collina, soprattutto a base del versatile chardonnay, e con qualche rinuncia in tema di qualità. Un cambio del “modello champagne” al quale non vogliono rassegnarsi, abituati da generazioni a curare maniacalmente i loro fazzoletti di vigneti con lavorazioni minimali a mano, ed inneggiatori nelle loro cuvée della supremazia del pinot, in particolare del meunier.
L’introduzione delle VSL potrà avvenire dal 2023, ma soltanto se il nuovo regolamento verrà ratificato dall’INAO (Institut National de l’Origine et de la Qualité).
Nel frattempo, sono già in molti ad aver sentenziato la morte dello Champagne tradizionale, piegato alla volontà delle grandi maisons.
Ma se il re mondiale delle bollicine da rifermentazione in bottiglia è morto, il trono non rimarrà vacante. E quindi, le roi est mort, vive le roi! (il re è morto, viva il re!).
Champagne Dosage Zero Bio-dinamic Vincent Couche
La maison Vincent Couche è a conduzione famigliare da 3 generazioni, e si trova nella parte più meridionale della denominazione dello Champagne, nella Cote de Bar. In campo, la gestione è basata sul regime biologico e biodinamico, con zero apporto di chimica.
La filosofia produttiva aziendale si base sui principi di valorizzazione del pinot nero e sul lungo affinamento dei vini sui lieviti.
Il Dosage Zero, ottenuto senza l’aggiunta zuccherina della liqueur de expedition, è una cuvée di pinot nero al 65%, proveniente dai terreni calcarei di Buxeuil, e chardonnay 35%, dai terreni gessosi di Montgueux. La prima fermentazione è avvenuta in legno, senza svolgere malolattica, mentre per la seconda rifermentazione in bottiglia si è operato senza l’aggiunta di solfiti. L’affinamento è stato di ben 8 anni sui lieviti.
Nel bicchiere questo champagne si è presentato vestito di un colore giallo paglierino, ravvivato da alcuni accenni dorati indotti dal lungo affinamento. Bolla molto fine e persistente.
I sui profumi solleticano sinuosamente il naso del degustatore, ammaliandolo dapprima con le sensazioni fruttate del pinot nero, quasi pungente con piccoli frutti di bosco ma anche agrumi, poi con la cremosità dei sentori indotti da lieviti e chardonnay, con le tradizionali sensazioni di crosta di pane, crema pasticciera, mandorla tostata, ai quali si aggiunge in finale una leggera nota fumè.
Stupisce al sorso per freschezza, accompagnata da estrema godibilità di beva. Un centrato equilibrio tra un perlage che solletica il giusto la lingua, una tensione intrinseca, generata dalle spigolature del terroir di provenienza, la piacevole morbidezza indotta del metodo di produzione, con legno e tempo a farla da padrone. Non manca infine una nobile nota minerale.
Un ottimo vino che testimonia la felice mano del vigneron che l’ha prodotto.
* Sommelier per passione
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