di Elio Marniga – Il conterraneo e contemporaneo, questo nel senso proprio che apparteniamo alla stessa era, Egidio Bonomi, in un bell’articolo sul GdB, invita i lettori interessati a esprimersi pure loro sul tema della fede religiosa nel tempo che percorriamo. Con un poco di faccia tosta accetto l’invito.
Che il sacro sia presente nella storia dell’uomo sin dal suo apparire cosciente molti studi lo provano: l’homo religiosus, con i suoi simboli, miti e riti è anche quello che, in Australia, Africa, America, non conosce la scrittura. E’ il sacro infatti che, attraverso varie ierofanie, dà una risposta al primo perché dell’uomo. Ma è con l’arrivo di Abramo che il sacro si dà una struttura più stabile e più organizzata, quindi più visibile: da lui nasceranno le tre grandi religioni monoteistiche, cui si affianca lo zoroastrismo, che ancora sopravvive dalle parti dell’antica Persia. Simboli, riti e miti hanno anche le varie religioni politeiste, che proprio per queste presenze non possono essere relegate solo a organizzazioni sociopolitiche. Non è quindi l’ateismo, ossia la fede di chi crede che non esiste un Principio, che si sta diffondendo, bensì lo è l’indifferenza verso il sacro, ovverosia l’oblio della domanda prima.
A noi che viviamo in un Paese cristiano, anzi, cattolico, questa indifferenza appare più evidenziata dalla sempre minore partecipazione ai riti; dalla dimenticanza, che si accentua sempre più, dei simboli; dalla crisi delle vocazioni sacerdotali, dal minor peso che la religione ha nella società. Ci si chiede quindi quali sono le cause di tale decadenza. Con molta pretesa, dico la mia.
Credo che circa duemila anni fa, in Palestina, sia veramente vissuto un predicatore, di nome Gesù, detto il Nazareno; lo credo non per scienza storica, bensì perché nessun movimento, religioso o politico, ha mai potuto svilupparsi e crescere senza l’iniziale presenza di un capo carismatico che dà le parole d’ordine alle quali il movimento deve attenersi. Capo carismatico e parole inaudite sono i cardini sul quale è imperniato il successo di ogni movimento; e il Cristianesimo ha avuto entrambi.
Le parole dette da Gesù sono inaudite, ma semplici, di facile comprensione per tutti, precise e indicano traguardo e strada per raggiungerlo: ama il prossimo tuo come te stesso e avrai eterna vita felice. Erano parole adatte al tempo e al popolo che le ascoltava: parole attese e attuali in quel mondo e fatte conoscere usando linguaggio e riti e simboli di quel tempo e di quel mondo.
Lo sono ancora oggi? O simboli e riti non sono più comprensibili all’uomo di oggi? Cioè, in sintesi, la Chiesa, cioè l’organizzazione che s’è data il compito di far conoscere a tutti gli uomini il messaggio di Gesù, è al passo con i tempi? Francesco sta predicando, con l’esempio, il messaggio primo e si guarda bene dall’entrare negli arzigogoli della teologia, dove il suo predecessore potrebbe fargli da suggeritore, ma in tal modo la “modernità” si manifesta solo nel mostrare la Chiesa come la miglior ONLUS e non vengono affrontati temi come, ad esempio, la parità di genere, la riforma della gerarchia, la presenza dei laici. (Aggiornare il linguaggio della teologia sarebbe ancora più arduo; significherebbe, ad esempio, dire che un Dio che è Padre non può condannare all’inferno eterno un suo figlio; bisognerebbe almeno dare un tempo finito a quell’eternità, cosa che solo i teologi possono riuscire a fare.)
Pieno di inciampi invero il sentiero che le parole di Gesù devono percorrere, se esso è tracciato usando strumenti vecchi; a meno che ciascun individuo si senta libero di intrattenere un rapporto personale con l’Unico, sotto qualsiasi nome o simbolo o rito Egli si manifesti. Ma questo sarebbe troppo rivoluzionario.
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