Crollano le vendite di agnelli per Pasqua: l’allarme degli allevatori bresciani

Giovanni Garbelli, Confagricoltura: “Situazione pesante, questo è il periodo fondamentale per le macellazioni, servono indicazioni chiare e immediati ristori”

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Un allevamento - Foto di Wolfgang Ehrecke da Pixabay
allevamento - Foto di Wolfgang Ehrecke da Pixabay

È un vero e proprio grido d’allarme quello che stanno lanciando in queste ore gli allevatori bresciani di ovi-caprini. In vista della Pasqua, il periodo di maggiore consumo di carni di pecora e capra, in particolare per il rito del pranzo pasquale con l’agnello o il capretto, con agriturismi e ristoranti tutti chiusi il crollo del settore è verticale. Ci sono allevamenti che non hanno neppure una prenotazione e il tempo per la macellazione degli animali è ormai arrivato. Tutto questo dopo che lo scorso anno è successa la stessa cosa. A causa del lockdown nel 2020 il consumo di questo tipo di beni si è annullato e, in diversi casi, gli allevatori bresciani hanno scelto di donare la carne all’ospedale da campo di Bergamo e ai gruppi alpini, per ringraziarli del loro lavoro. Questa stagione, con già sulle spalle un anno difficile, rischia di ripetersi: i parti degli animali sono stati a metà febbraio e intorno alla metà di marzo va eseguita la macellazione.

A parlare, a nome dei colleghi, è Roberto Alborghetti, 38enne presidente della sezione allevamenti ovicaprini dell’Aral (Associazione regionale allevatori della Lombardia), socio di Confagricoltura Brescia e titolare di un’azienda agricola a Rovato. “Io ho qui 170 animali pronti per la macellazione e il rischio è che restino tutti in stalla – spiega -. Non solo, temiamo di non riuscire a mandare avanti le nostre imprese, anche perché il costo dell’alimentazione, come il latte in polvere, è schizzato all’insù, da 210 a 290 euro al quintale. Tutto è chiuso e molti non fanno neppure l’asporto. Cosa possiamo fare? Non sappiamo più cosa inventarci. Difficile vendere anche ai privati, perché molti clienti storici sono anziani e con il covid sono chiusi in casa e perché, non avendo noi gli spacci interni, dovrebbero comunque andare a prenderli al macello. Quel poco che ci viene ritirato va a due euro e mezzo al chilo, non ci permette di vivere”.

L’amarezza, per i circa duemila allevamenti di ovi-caprini del Bresciano (per quasi 35 mila capi) è anche per la scarsa consistenza dei ristori nazionali ricevuti. Qualcuno sta provando a inventare strade alternative, magari rivolgendosi alle rosticcerie, ma sono soluzioni che garantiscono poco margine. In crisi nera sono pure gli allevatori della montagna, come in Valcamonica, che non possono contare, come in pianura, sulla vendita di prodotti lattiero caseari, vista l’assenza di turisti.

“In questi giorni stiamo raccogliendo le preoccupazioni degli allevatori di ovi-caprini della nostra provincia – dichiara il presidente di Confagricoltura Brescia Giovanni Garbelli -. Si tratta di un settore di nicchia ma molto importante anche per le ricadute in termini di gestione ambientale e contrato all’abbandono dei territori, in particolare nelle aree montane e collinari. In un contesto di differenziazione produttiva, si tratta di beni della tradizione che hanno ancora un grande pregio. Per questo ci siamo subito attivati, contattando l’assessore regionale all’Agricoltura Fabio Rolfi, chiedendogli di lavorare insieme per trovare una soluzione, e muovendoci anche sui tavoli nazionali. La situazione è pesante a livello generale, ma ci sono alcuni settori che soffrono più di altri. Il consumo di carne ovi-caprina viene organizzato su massimo due cicli annuali, ma il momento più importante è quello pasquale: se si cancella anche questo le aziende vanno in grande sofferenza. Per questo servono compensazioni adeguate e rapide, ma anche indicazioni chiare sulla gestione dei capi pronti per la macellazione”.

Fonte: comunicato stampa Confagricoltura

Ultimo aggiornamento il 23 Aprile 2024 23:04

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