🔴 Corsini: molti amici mi hanno deluso, ma amo Brescia e nel 2023 ci sarò | L’INTERVISTA
di Andrea Tortelli – In tempi di zona Gialla o Arancione lo si potrebbe perfino vedere in sella a un’e-bike salire sul monte dei bresciani, la Maddalena. Un’immagine molto diversa da quella, istituzionale, con cui i cittadini della leonessa lo ricordano: serio e preparato – come nella migliore tradizione politica bresciana – secondo i sostenitori, troppo “professorale” secondo i detrattori. Di certo non estraneo ai piaceri del bon mot, la battuta brillante, e della provocazione intellettuale.
Oggi, a 74 anni, Paolo Corsini non fa più politica di partito. Nelle sue giornate si dedica alla famiglia e alle amate “carte” nello studio di viale Venezia. Il 3 aprile uscirà il suo nuovo libro da storico, l’ultimo di una ventina: “Democrazie populiste /storia, teoria, politica” (Morcelliana, 20 euro, 298 pagine). E basterebbe il titolo a dimostrare che la passione politica non gli è mai venuta meno.
Arnaldino, laureato in Lettere classiche, professore di Storia moderna all’università di Parma, Corsini è stato sindaco di Brescia dal 1992 al 1994, quindi vicesindaco di Mino Martinazzoli fino al 1996 e deputato con il Pds. Nel 1998 ha rinunciato al seggio e si è candidato in Loggia (vinse al ballottaggio con il 53,1% dei voti), venendo confermato nel 2003 (53,7%). Poi, nel 2008, è tornato alla Camera dei deputati con il Pd e nel 2013 è passato al Senato, diventando anche membro della Commissione Cultura e Istruzione del Consiglio d’Europa. Nel 2017, in polemica con le scelte di Renzi, ha abbandonato il partito, aderendo al Gruppo parlamentare di Articolo Uno.
Da quel – “doloroso” – momento, Corsini non ha più tessere di partito. Studia, scrive, partecipa a webinar, pedala, pratica scialpinismo. Continua ad amare Brescia e continua a dividere i bresciani tra coloro che ancora lo elogiano e quelli che lo hanno sempre criticato. Come Cesare Galli, ex leghista, che pure in una recente intervista rilasciata a BsNews.it ha cambiato mira, affermando: “Ad avercene di Corsini, oggi”…
DOMANDA – Dica la verità: è saltato sulla sedia leggendo le parole di Galli, suo storico avversario negli anni della Loggia?
RISPOSTA – Mi ha fatto piacere, ma non mi ha stupito: ho sempre apprezzato la sua signorilità. Ricordo scontri molto forti con lui sui temi amministrativi, ma gli ho sempre riconosciuto statura culturale e intellettuale, pur nella diversità delle posizioni politiche.
D – Nella stessa intervista, però, Galli le ha rimproverato due errori: la nascita di A2A, che avrebbe penalizzato Brescia rispetto a Milano, e la scelta della metro, che “non è stata felice, perché i nodi del trasporto pubblico bresciano sono altri”. Che risponde?
R – Credo che su A2A i fatti diano ragione a me. Oggi parliamo di una delle maggiori multiutility italiane: cosa sarebbe successo se Asm non si fosse fusa con Aem? Forse sarebbe stata assorbita da competitor stranieri e avrebbe visto ridimensionato il suo ruolo nel settore. Peraltro Galli era a favore della privatizzazione, una scelta che rivendico come un merito di aver contrastato. Per quanto riguarda la metropolitana i numeri confermano la bontà della scelta. Senza contare che in questi anni mi è capitato spessissimo di essere avvicinato da cittadini, a me sconosciuti, che avevano votato contro l’opera al referendum e che poi mi hanno ringraziato. Mi sia concessa una battuta, detta con simpatia e senza polemica: potrei dire che Galli, con quelle critiche, sostiene di aver ragione di aver avuto torto.
D – Una delle critiche che le hanno sempre mosso i suoi avversari, ma anche qualche “amico”, è quella di aver fatto scelte coraggiose, ma talvolta impopolari. Riempiendo la città di cantieri e aprendo di fatto la strada alla successiva vittoria di Adriano Paroli.
R – Quando si amministra bisogna avere il coraggio anche di fare scelte impopopolari. Io lo rivendico, ma rivendico anche di non aver mai fatto scelte anti-popolari. Quanto alla seconda parte del ragionamento, ricordo ancora un sondaggio dell’epoca – per il valore che hanno questi strumenti – il cui esito diceva che se avessi potuto ripresentarmi al voto avrei vinto anche alle comunali del 2008. In qualsiasi caso, tengo a sottolineare che i riflettori dei media sono sempre puntati sul sindaco, ma le scelte importanti fatte in quegli anni sono state merito di una squadra di governo di grande livello: penso a Mario Venturini all’Urbanistica, Ettore Brunelli all’Ambiente, Dionigi Guindani alla Sicurezza. Penso ai miei vicesindaci: Giuseppe Onofri e Luigi Morgano. Ma dovrei citarne tanti altri…
D – L’altra critica che le muovono alcuni è di aver puntato troppo sulle “Grandi mostre”, dimenticando la cultura “dal basso”.
R – E’ un tema su cui vorrei fosse fatta chiarezza, giudicando con cognizione di causa. Nei dieci anni in cui ho tenuto la delega alla Cultura la Loggia non si è occupata soltanto di grandi mostre. E vorrei che chi ancora dice il contrario avesse la pazienza di leggere un libro che scrissi nel 2008, “Sulle ali della Vittoria”, che contiene un lungo bilancio su quanto fatto sul versante culturale in quegli anni. Una persona intellettualmente onesta non può non riconoscere che a Brescia, oltre alle Grandi mostre, sono state realizzate molteplici iniziative e numerosi interventi. Abbiamo sostenuto concretamente le strutture per l’esercizio dell’attività culturale ed esposizioni locali, recuperato numerosi monumenti e promosso diverse azioni per valorizzare la produzione artistica bresciana.
D – C’è qualche amico che l’ha delusa dopo la fine della sua esperienza in Loggia?
R – Sì, purtroppo. Negli anni successivi ho visto disconoscimenti che mi hanno molto assai amareggiato e in alcuni casi offeso, anche da parte di persone che avevano collaborato con me e a cui avevo assegnato ruoli. Cambiare opinione è legittimo, talvolta doveroso, ma l’opportunismo di alcuni denota anche il mascheramento dell’atteggiamento tenuto con me in precedenza. E mi dispiace.
D – Chi l’ha stupita positivamente, invece?
R – Alcuni esponenti del centrodestra con cui avevo avuto rapporti conflittuali. Penso ad esempio a Paola Vilardi, che – pur ribadendo la sua contrarietà ad alcune scelte – mi ha sempre mostrato rispetto.
D – Lei oggi si dedica a tempo pieno all’attività di storico, ma vive quotidianamente la città, nei limiti dei Dpcm. Come vede oggi Brescia rispetto ai suoi tempi?
R – Tra l’esperienza di Roma e quella a Strasburgo, sono stato assente per circa un decennio, ma da quando sono tornato osservo con rinnovato interesse la città. Per me Brescia è una passione irrefrenabile. Vedo oggi una città ben amministrata, nel solco di un’alta tradizione, una città ben tenuta e curata, con un’amministrazione efficiente e un sistema di servizi alla persona, alla famiglia e alla comunità che funziona: un aspetto molto importante soprattutto in tempi di Coronavirus. Il mio giudizio su Del Bono, certo, è quello di un “testimone sospetto”, nel senso che siamo legati da rapporti di condivisione politica e personali, dato che sono stato il suo testimone di nozze. Ma ha operato certamente bene e un aspetto che mi ha positivamente impressionato del suo lavoro è che, in un periodo in cui il Patto di stabilità e le ristrettezze della finanza pubblica hanno limitato di molto l’attività degli enti locali, il livello dei servizi di Brescia non è stato condizionato negativamente.
D – A Del Bono, da ex sindaco, darebbe qualche consiglio?
R – Del Bono è un sindaco adulto, in grado di orientare le sue scelte con assoluta consapevolezza. Quando poi uno smette di fare il sindaco il suo telefono, nel giro di poco, tace, ma sono certo che avrà la forza per affrontare questo silenzio. E per goderselo.
D – Quella della Loggia è una storia di forte continuità amministrativa. Nel 2023 il centrosinistra dovrà trovare una soluzione di continuità nuova… Lei come la vede?
R – Di continuità e di innovazione ad un tempo… Non sarà una sfida facile se verranno confermati gli attuali rapporti di forza tra coalizioni, con una forte espansione del centrodestra. Il mio auspicio è che chi ha responsabilità pensi a un campo molto largo di alleanze, guardando con grande attenzione al mondo dell’impegno civico e ponendo al centro la questione ambientale. Si tratta, a mio avviso, di un passaggio preliminare all’individuazione del candidato o della candidata.
D – Quando parla di allargamento pensa anche ai Cinquestelle?
R – Certamente sì, tenuto conto del processo di istituzionalizzazione in corso e della nuova linea che Conte si appresta ad attribuire al movimento.
D – I nomi che circolano per il dopo Del Bono li conosce. E certo va rilevato che il mondo che viene dalla sinistra ha molti meno “papabili” di quello cattolico. Qual è il profilo del candidato “giusto”?
R – E’ vero quel che lei dice. La sinistra bresciana, intesa come area che ha raccolto l’eredità dei vecchi partiti, paga la limitatezza della sua presenza, un debito di insediamento sociale e limiti di natura culturale. In qualsiasi caso credo che il centrosinistra nel suo insieme non manchi di figure significative, sia in campo politico, sia in quello dell’impegno civico. I nomi che ho letto come possibile candidato sono tutti di assoluto rilievo, sono il meglio che il centrosinistra può esprimere. Per quanto riguarda il profilo “giusto”, caratteristiche che ritengo importanti sono la passione civile, la competenza amministrativa, la cultura politica e – soprattutto – la capacità di costituire una candidatura la più unitaria possibile.
D – Del centrodestra che dice? Come è cambiato rispetto ai tempi di Galli?
R – In Loggia vedo un’opposizione meno combattiva, meno propositiva e assente su molti temi. Ai tempi di Galli i cavalli di battaglia erano sicurezza e immigrazione, temi che sembrano momentaneamente scomparsi dal dibattito politico anche per le scelte importanti che sono state compiute negli anni sul versante dell’integrazione. Non mi pare che il centrodestra – che sconta anche un deficit di leadership – sia stato poi capace di rinnovarsi e proporre una nuova progettualità.
D – La politica, come evidente, è rimasto un suo interesse. Ha rimpianti?
R – Un grande interesse: anche nella mia attività di storico – come dimostra il mio nuovo libro – sono passato sempre più dal versante archivistico alla politologia e alla teoria della politica. Rimpianti? Il principale è che, quando nel 2008 sono tornato a Roma, non ho valorizzato i ruoli amministrativi ricoperti per affermare la mia presenza nel partito, già allora in preda a deteriori dinamiche correntizie. Un episodio emblematico mi è accaduto quando, appena insediato, ho chiesto di essere inserito nella commissione Antimafia. La collega incaricata di decidere mi rispose che, non essendomi io mai occupato del partito, non sapeva a quale corrente attribuirmi. E quando feci notare che in commissione c’erano numerosi campani e pochi eletti al Nord la risposta non fu che in quella Regione il problema è più sentito che altrove, ma che là c’erano parecchie correnti strutturate e in commissione andava collocato un esponente per ciascuna.
D – Non sembra passato molto tempo rispetto al “ricatto correntizio” evocato da Zingaretti. Cosa pensa oggi del Pd? Come vede la svolta di Letta?
R – Non ho più tessere di partito dal 2017. Vedo positivamente il processo di innovazione che sembra essersi aperto con Letta, di cui ha parlato recentemente anche Bersani invocando una riflessione comune tra coloro che appartengono allo stesso campo. Oggi guardo con molto interesse all’evoluzione del Pd e ai rapporti a sinistra.
D – Potrebbe tornare a iscriversi al Pd?
R – Mi sono sempre detto che a settant’anni avrei terminato la mia militanza di partito e mi sarei dedicato a studio e famiglia. La mia è stata una scelta biografica, prima ancora che politica. In qualsiasi caso la mia attenzione alla città, anche senza tessere in tasca, non viene meno: se possibile darò una mano, anzi due, nella conferma della supremazia amministrativa del centrosinistra in città.
D – Cosa vota?
R – A livello nazionale, nel 2018, scelsi Leu. Alle prossime politiche spero di poter votare a sostegno di un campo democratico e di sinistra unito e plurale.
D – Cosa risponde a chi l’ha definita uno dei tanti scissionisti della storia della sinistra italiana?
R – Che è un’etichetta in cui non mi riconosco. Scissionista è chi esce da un partito per fondarne un altro o aderirvi. Io, dopo la mia decisione di lasciare il P.D.R. – cioè il Partito Di Renzi -, sono andato dal presidente del Senato a sottoporre le mie dimissioni, che non furono accettate, e quindi ho aderito come indipendente al gruppo parlamentare di Articolo Uno. La mia fu soltanto una scelta di testimonianza e di obiezione di coscienza rispetto alla metamorfosi che il Pd stava vivendo. Non credo che le vicende successive mi abbiano dato torto: faccio fatica, oggi, a incontrare esponenti del Pd che riconoscano di essere stati renziani. Non sarebbe una colpa, ma l’ammissione di una verità.