di Andrea Tortelli – Chi c’era, nei consigli comunali a cavallo tra i due secoli, ricorda le sue “epiche” battaglie con l’allora sindaco Paolo Corsini. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Anzi: sono passati quasi vent’anni e Cesare Galli non è più iscritto alla Lega (movimento per cui è stato anche due volte candidato sindaco in città), né fa più politica di partito dopo le esperienze nel partito liberale (fra il 1984 e il 1990 ne è stato consigliere nazionale) e con Fare per fermare il declino (il movimento, precocemente naufragato, di Oscar Giannino).
Oggi Galli, a 59 anni, è uno stimato avvocato che gestisce quattro studi professionali (Brescia, Milano, Parma e Verona), oltre che professore ordinario di Diritto industriale e Diritto dei brevetti alle Facoltà di Giurisprudenza e Biotecnologie di Parma. Ma non ha rinunciato alla passione per la cosa pubblica. E’, infatti, vicepresidente dell’associazione Per il progresso del Paese, che “si batte per offrire ragionevoli soluzioni al fine di riprendere una crescita felice”. Nè, pur vivendo a Milano da otto anni, ha rinunciato a Brescia: in città torna almeno una volta alla settimana (tra tribunale e affetti), non senza emozioni e “sorprese”. Come dimostra l’intervista che ha rilasciato a BsNews.it.
RISPOSTA – Certamente sì. Quelli in Loggia stati anni di impegno fattivo, di lavoro su idee e proposte concrete per Brescia. Da consigliere ho incontrato persone – magari con idee opposte alle mie – con cui era possibile confrontarsi in maniera costruttiva. Penso al compianto Mario Venturini, che certo non la pensava come me su molte questioni. Penso a Mino Martinazzoli, verso cui provavo affetto. Penso all’allora vicesindaco Giuseppe Onofri. Ma anche allo stesso ex sindaco Paolo Corsini, con cui spesso ho incrociato i fioretti. Con loro mi sono confrontato anche duramente, ma sempre con profondo rispetto reciproco. Un atteggiamento che oggi manca.
R – Con alcuni. Mi vengono in mente Luca Isetti e Mariangela Bogni, per fare due nomi di bresciani che come me sono usciti dal partito. Ma ho ancora legami anche con alcuni che sono rimasti, a partire dal presidente della Regione Attilio Fontana, che ritengo sia stato criticato in modo ingeneroso da molti sulla gestione della pandemia. Per quanto riguarda la Lega, allora era un partito molto diverso. Portavamo avanti la bandiera del federalismo, che ancora coltivo e di cui ho scritto anche recentemente sul Corriere in un articolo a doppia firma con Franco Alberoni. Penso che sia necessaria un’Europa fortemente federalista, con competenze maggiori su alcune questioni (dalla politica estera alla difesa) e maggiore decentramento sul resto. Non ho cambiato idea, io. E come allora rimango un sostenitore dell’indipendenza della Catalogna e della Scozia.
R – Sicuramente, sempre in un’ottica federale europea.
R – Pur non pensandola come lui su molti temi, trovo che il lavoro di Emilio Del Bono sia stato migliore di quello del suo predecessore. A Brescia torno solo una volta alla settimana, non sono in grado di valutare alcune situazioni, ma la città è senza dubbio più vivibile e più vivace, a partire dal centro storico. La circolazione è più fluida, c’è più attenzione per alcuni quartieri in passato dimenticati e sotto alcuni aspetti anche l’integrazione è migliorata. Nella Leonessa torno sempre con grande emozione. Milano è una città modello, la più Europea delle città italiane, ma ha soltanto due salite. Mi mancano le salite di Brescia: i Ronchi, la Maddalena, il Cidneo…
R – Rivalutato no, ma ho sempre avuto stima nei suoi confronti. Pur nel dissenso. L’esperienza A2A, credo, dimostra che erano fondati i miei timori sul fatto che – nella fusione tra Asm e Aem – Brescia potesse essere relegata in un angolino. Allo stesso modo penso di aver avuto ragione quando dicevo che la scelta della metro – anche se poi è stata ben gestita – non è stata felice, perché i nodi del trasporto pubblico bresciano sono altri. In qualsiasi caso, per come è ridotta oggi la politica, ad avercene di Corsini… Noi discutevamo ad alto livello, il crollo oggi è stato verticale.
R – Le difficoltà non sono tutte direttamente imputabili alla politica, ma osservo che la città è ancora molto inquinata, più di Milano, le zone contaminate non sono più state bonificate e anche sul versante economico Brescia continua a non essere in spolvero. Qualcosa si può fare. Le eccellenze del territorio e gli enti locali – come sostengo fattivamente da anni – devono mettere in rete imprese e territorio, facendo cobranding anzitutto sui mercati internazionali. Le imprese possono sostenere il territorio e le eccellenze culturali (penso alla Mille Miglia e a tante altre) e paesaggistiche possono sostenere l’economia, come è avvenuto per esempio con Floating Piers, il lago di Iseo e Beretta. Le istituzioni, in questa prospettiva, possono fare da trait d’union.
R – Ho sempre dato una mano, anche come forma di volontariato, a tutti quelli che me l’hanno chiesto. Lo farei anche stavolta. Churchill diceva: “Mai perdere l’opportunità offerta da una buona crisi”. Ecco: credo che oggi tutti debbano dare una mano per ripartire e sfruttare questa opportunità. A partire dall’appuntamento del 2023, in cui Brescia – con Bergamo – sarà capitale italiana della cultura.
R – Continuo a rimanere un liberista e mi mettono a disagio lo statalismo e il centralismo che si sono creati nella gestione del Covid-19: resto un federalista convinto. Ma “le idee camminano sulle gambe degli uomini” e Del Bono non ha lavorato male, lo ribadisco senza timori. Ritengo che oggi sia importante lavorare tutti insieme per una nuova crescita.
R – Gli do fiducia, ma ho la brutta abitudine di giudicare i suonatori a fine concerto…
R – Allora vivevo ancora in città, oggi non più e quindi lo escludo. Ma sono sempre pronto a dare un contributo di idee a chi me lo chiede.
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