📕 Mare Nostrum | 📮 IL RACCONTO DELLA SETTIMANA/27
MARE NOSTRUM – racconto di Umberto Tanghetti
C’è un posto in fondo al Mare Nostrum dove si ritrovano i pesci spazzini ed i più dotati in questo mestiere sono i branzini, quelli che sulle tavole finiscono dopo aver fatto un giro in forno in compagnia di quattro pomodori.
Più sono grandi, più hanno spazzato e più sono buoni di sapore, più hanno vissuto.
Si dà il caso che da tempo si ritrovano in agitazione sindacale in una fossa molto profonda nel canale di Sicilia, per discutere di quanto stia scadendo la qualità del loro di cibo: quello che ciancicano galleggiante a pelo d’acqua o affossato sul fondale dove tra le alghe, indaga e indaga, un piccolo boccon lo trovi sempre.
La quantità di plastica è indicibile, ma questo non è il loro primo problema.
Nel corso della loro storia evolutiva è successo, inaspettatamente, che una stirpe di branzini sapesse comprendere ogni forma di comunicazione, sia essa visiva o verbale, sonora o intuitiva.
Non è tutto: potevano parlare anche con i morti, ma ogni cosa a tempo debito.
Imprevedibilità della selezione naturale!
Così, con tal vantaggio evolutivo, quella stirpe è diventata via via preponderanza e sono molti quelli che capiscono tutto al volo,
non solo la lingua dei branzini, appunto.
Già dal tempo dei Saraceni sapevano i branzini che quando sulle torri di segnalazione della costa troneggiavano le fiamme, qualcosa stava accadendo: era probabile che da sud sarebbero arrivati vascelli di conquistatori e allora si che sarebbe stato tutto un cadere in acqua di carne fresca e buona, mica putrefatta.
E loro a spazzare: il pranzetto dei branzini, quello buono di una volta.
Che epoca gloriosa!
O anche al tempo dei Cartaginesi arrivavano di quelle prelibatezze!
Navi che si speronavano che era una meraviglia!
I rostri si incagliavano nelle fiancate, disarcionando rematori, timonieri, financo il comandante: giovani muscolosi ed allenati dalla polpa soda che finivano giù a mollo.
Era proprio allora che arrivavano i branzini a fare andare le ganasce.
Ci fu un periodo in cui (ed i branzini si tramandano quelle gesta con gran perseveranza) arrivavano degli uccelli enormi con le ali fisse, lucenti, come quando il gabbiano plana.
Erano molto rumorosi quegli uccelli ed espellevano dal fondo schiena, proprio come anche gli altri volatili fanno, ciò che avean mangiato; tuttavia era un periodo in cui, evidentemente, non digerivano bene e cagavano uomini tutti d’un pezzo, come se alcun valore avessero, come fossero carne da cannone. Cadevano con un fazzoletto grande attaccato sulla schiena a decine non ancora digeriti e capitava spesso che anche l’uccello finisse in acqua tra le fiamme.
Sputavano proiettili quegli uccelli e spesso litigavano tra di loro inseguendosi l’un l’altro.
Eran più o meno gli anni quaranta del Novecento.
Ma quella era ancora carne ottima: soda, profumata, slanciata; per sbocconcellare un ufficiale dalla testa ai piedi, il branzino ci metteva un sacco, ma vuoi mettere alla fine che soddisfazione?
Ora, invece, arriva certa carne!
Continuano a salpare dalla Cirenaica dei barchini improvvisati in cui si stipano anche in trecento, caricando taniche di nafta, ma non è più la carne dei cartaginesi cui prima si faceva accenno..
Siamo, in fine, giunti al punto: coi sobbalzi del moto ondoso e l’approssimazione del natante, quel carburante si ribalta e si mischia all’acqua di mare all’interno della barca.
È proprio così che tutto quel cibo macera nei policiclici aromatici diventando poi immangiabile!
Capita spesso, infatti, che il barchino affondi e con lui tutto il carico prezioso: proprio allora arrivano i branzini, ma sono nauseati dall’odore di petrolio. Devono aspettare giorni perché si dilavi della nafta il tanfo e intanto parlan coi cadaveri.
Ricordava un branzino di un ragazzo che, galleggiando morto, lo guardava e gli chiedeva: “Ma perché non mi mangi? Neanche tu mi vuoi? Che male ho fatto io?”
(Ah, si accennava prima che i branzini parlano coi morti ed anche i morti sanno comunicare. Non si sa come sia possibile, ma hanno avviato uno studio in doppio cieco per averne qualche lume: acqua in bocca, non ditelo a nessuno!).
I morti poi rimangon prigionieri dei fondali per l’eterno e vagano in cerca di una spiegazione.
I branzini si affezionano a quei morti e così li riconoscono.
Ce n’è uno assai famoso che in giro va gridando:
“Cartago delenda est! Cartago delenda est!
Si dispera.
I branzini che orami l’han già mangiato da millenni, lo consolano: “Non ti preoccupare, l’hanno ricostruita da un’ altra parte!” Ma lui che è morto non può capire..
Un altro defunto è proprio forte, gira terrorizzato gridando: “Hic sunt leones! Hic sunt leones! L’ho letto sulla mappa!”
I branzini lo guardano con gli occhi da cefalo (gli occhi da cefalo fan colpo anche sulle branzine) e gli dicono, sempre senza proferir parola: “Non ti preoccupare, qui non ci sono leoni, sono più a sud quelli! E sei già morto, ti abbiamo già digerito da mo’, non hai più nulla da tenere!”
E poi ce n’è uno della Val Trompia che è incazzato nero, lo chiamano “Diaol porco” anche i branzini perché in giro va dicendo:
“Diàol porco!! Disperso nel Mediterraneo a me che piace la montagna! Diàol porco per davvero!”
Insomma ora, però, ci son quelli non ancora digeriti che puzzan di petrolio: li chiamano i figli della globalizzazione e i branzini non ci stanno, non ne vogliono sentir parlare!
Vogliono le prelibatezze di una volta!
Così si stanno organizzando per diffonder la protesta!
Mala tempora currunt e se riusciranno nell’organizzazione saranno pranzi amari per tutti!
P.S.Informazione di servizio: Comunque meglio avere un branzino per il pranzo che esser pranzo del branzino!
UMBERTO TANGHETTI, CHI E’?
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