L’ORTO FASCISTA | romanzo di Ernesto Masina | CAP. 37-38
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CAPITOLO XXXVII
Don Arlocchi arrivò in parrocchia tutto trafelato.
Non era neppure passato dalla propria abitazione
per bere il suo amato caffellatte e questo lo innervosiva
un po’. Ma era preoccupato per il Parroco, che sapeva
essere rientrato la sera prima da Brescia in precarie condizioni
fisiche e, soprattutto, per quanto era avvenuto
nel corso della notte.
– Diciotto persone, mamma mia! – non aveva smesso di
pensare neppure celebrando la messa. – Diciotto persone,
molti padri di famiglia. Li conosco tutti, tutte brave persone.
Quelli giovani, a pensare, o li ho battezzati io o insieme
al Parroco. Tutti bravi ragazzi. Potranno mica ucciderli.
Oh Signur, oh Signur! Pensaci Tu con la tua immensa
bontà. Mica lascerai che si distruggano 18 famiglie. Non
è possibile, non è possibile. E poi il sangue ne chiamerebbe
altro. Guarda te: da quella bravata che è costata la vita
del soldato tedesco adesso si parla di 18 possibili vittime.
Dove andremo a finire? Se da 1 a 18, poi quanti, quanti
altri: 180, 200… no, no, Signore! Prendi me piuttosto, che
sono vecchio e stanco e non ho quasi più forze per adorarti
e servirti. Ma non lasciare che si distruggano tutte queste
famiglie. Ti prego, ti prego…”
“Signor Parroco, signor Parroco, ha sentito cosa è successo.
Oh beato il Signore! Ma potevamo aspettarci una cosa
simile? Questa è una maledizione. Non doveva mica suc-
cedere. A proposito… lei come sta, che mi hanno detto che
è tornato da Brescia indisposto? Non c’ha mica una bella
cera se è per quello. Cosa si è preso, una infreddatura che
ha gli occhi lucidi. Se posso fare qualche cosa, me lo dica.
Ma torniamo a noi. Ha sentito 18, e dicono in giro che li
vogliono ammazzare tutti. Dicono per rappresaglia. Cosa
possiamo fare, signor Parroco? Perché fare dobbiamo fare
di sicuro qualche cosa e subito. Vero signor Parroco?”
“Don Arlocchi, un po’ di calma” disse don Pompeo con
il tono di voce più rassicurante possibile. “Cerchiamo di
ragionare sui fatti. Per quello che so io, sono andati a
prelevare dei parrocchiani scelti, probabilmente su informazione
della Muti, tra quelli che ritengono i loro peggiori
nemici. Sono andati a prendere quelli che avrebbero
potuto o hanno partecipato all’uccisione del tedesco.
Vogliono trovare notizie per prendere i colpevoli. Ci
saranno, prima di arrivare ad una decisione, degli interrogatori,
forse delle torture. Ma secondo me per ora di
fucilazioni non se ne è ancora parlato. Dobbiamo trovare
una soluzione per salvarli tutti, dobbiamo cercare di
ingannarli e forse… forse… una certa idea io ce l’ho. Vada,
don Arlocchi, vada e cerchi di stare più sereno possibile.
Si fidi di me, e mi tenga informato di qualsiasi novità.”
Poi, quasi fosse impegnato mentalmente in altri
argomenti, con un tono di voce assente continuò: “Fratello,
la prego, faccia come se io fossi ancora malato. Le
affido la messa delle 8 e le confessioni di tutta la giornata.
E preghi, preghi per me, soprattutto perché Dio mi
illumini e mi faccia ragionare nel migliore dei modi.
Vada, vada che, io so, c’è ancora il suo caffellatte che la
aspetta. Sa… le nostre perpetue sono delle pettegole e si
raccontano tutte le nostre piccole stranezze. E grazie,
don Arlocchi, grazie per quello che so ha sempre fatto
per me, che farà per me e per questa nostra parrocchia”
e lo abbracciò, lasciandolo trasecolato.
– Quasi un testamento spirituale, mi è sembrato quasi un
testamento spirituale! E poi quel “fratello”: mica gli ho
mai sentito usare una parola come quella e… non vorrei
sbagliarmi, l’ha pronunciata con affetto, quasi commosso.
Ma cosa mi sta succedendo? Da un po’ di tempo tutte
cose nuove e così strane. Oh Signur, oh Signur aiutami
tu! Tutti mettono un fardello sulle mie povere spalle, ma
io mica so se riuscirò a reggerlo. Anche tu Madonnina
dammi una mano! E così sia. –
CAPITOLO XXXVIII
Don Pompeo rientrò nel suo studio e si inginocchiò
davanti al crocefisso. Si sentiva veramente un’altra
persona. Stava vivendo quelle ore, così complicate sia per
la sua situazione personale che per quella della sua comunità,
con una serenità che non aveva mai conosciuto
e che non si immaginava neppure potesse esistere.
Pregò a lungo, quindi uscì e si recò al centralino telefonico.
Fece chiamare il numero riservato dell’Ovra che
non appariva, per ovvie ragioni, sull’elenco. Chiese del
commissario e, senza nessun preambolo, lo avvisò che
avrebbe cercato un appuntamento con le SS per importanti
comunicazioni e che sarebbe stato lieto se anche lui
potesse presenziare all’incontro. Lo pregava di tenersi libero
per il pomeriggio e che più tardi gli avrebbe comunicato
l’orario che avrebbe convenuto con i tedeschi.
Si recò all’albergo Fumo e, non avendo trovato alcun tedesco,
si portò al comando della locale brigata Muti. Trovò
il Passera, il Comandante, e lo incaricò di far sapere urgentemente
allo Sturmbannführer che voleva incontrarlo,
possibilmente alle ore 14, per importanti comunicazioni.
Il Passera, che si rendeva conto di aver ricevuto un incarico
importante ma sapeva altrettanto bene di non capire
una sola parola di tedesco, ritenne giusto passare dalla
casa di Annetta, caricarla in macchina ed andare a cercare
il tedesco presso la nuova casa requisita.
Aveva paura dello Sturmbannführer ed evitava, se possibile,
di incontrarlo. Giunto alla casa del Salvetti, scaricò
Annetta e rimase in macchina ad attendere la risposta.
Aspettò quasi un’ora e quando Annetta riapparve la trovò
sconvolta ma non ebbe il coraggio di chiederne la ragione.
La donna, nervosamente, gli comunicò che il tedesco
aveva accettato e aspettava il Parroco alle 14 all’albergo
Fumo. Quando la vettura si fermò davanti alla propria
abitazione, Annetta fu presa da una crisi di pianto,
scese precipitosamente senza neppure salutare e si infilò
di corsa nel portone.
Don Pompeo, avuta dal Passera la conferma dell’ora dell’appuntamento,
richiamò l’Ovra di Brescia e decise con
il commissario di incontrarsi qualche minuto prima
delle quattordici davanti all’albergo. No, non gli avrebbe
dato nessuna anticipazione su quanto voleva comunicare
all’ufficiale tedesco, disse al commissario prima di
interrompere la comunicazione.
Ora che aveva preso la decisione e fissato l’appuntamento
con il tedesco, non poteva più tornare indietro e gli era
venuta una gran fame. Si ricordò che non mangiava dalla
mattina precedente e decise di far ritorno in parrocchia.
Era quasi mezzogiorno e sperava che l’Elvira avesse preparato
qualcosa per pranzo. Rimase deluso non trovando la
donna. Aprì la credenza, si versò un bicchiere di vino,
tagliò un pezzo di mascherpa, una fetta di pane e si sedette
a tavola. Finì il povero pranzo con una pera che proveniva
dal brolo dell’avvocato Duchi. Più che il sapore, tutte
le volte che ne mangiava una, lo sorprendeva il profumo.
Scrisse su un biglietto, che lasciò al centro del tavolo per
l’Elvira: “Vado a riposare, svegliami alla una. Grazie”.
Lasciò in bella evidenza le poche stoviglie sporche perché
la cameriera capisse che aveva già mangiato e se ne andò
in camera. Era proprio stanco, si stese vestito sul letto e
si addormentò immediatamente.